Dove va la Polonia orfana di Kaczynski
13 Aprile 2010
Varsavia. Qualsiasi previsione, analisi o scommessa sul dopo Lech Kaczynski in Polonia non può prescindere da una lumeggiatura del personaggio e di quello che significa la sua legacy politica sia per i polacchi che per l’ Europa e oltre. Lo conoscevo personalmente. Gli parlai per la prima volta quando, da Sindaco di Varsavia, tenne il suo discorso nel 2005 sulla Piazza Pilsudski nel 70mo anniversario della morte del mitico Padre della Patria polacco che aveva fermato i bolscevichi alle porte della capitale nel 1920. Quella battaglia, la cui tattica vincente ancor oggi è studiata nella migliori accademie militari, determinò il brusco mutamento dei piani del Comintern leninista che prevedevano l’esportazione in Europa della rivoluzione comunista sull’onda delle insurrezioni guidate da Mosca e pronte a scoppiare in Germania e altrove, verso il Mediterraneo e i Balcani, Italia compresa.
Lech Kaczynski chiese senza mezzi termini a chi lo ascoltava di riflettere su che cosa sarebbe stata l’Europa odierna senza quella battaglia, vinta da Pilsudski contro l’Armata Rossa dei generali Tukhacevskij e Budienny. Sul palco, alquanto imbarazzati, c’erano con lui i dignitari del governo post-comunista dell’allora Presidente Kwasniewski e del Premier Leszek Miller. Dopo la cerimonia, strinsi la mano al vecchio militante dell’ala dura di Solidarnosc, professandogli in lingua inglese la mia ammirazione. Poco prima, egli aveva plateamente interrotto con efficace simbolismo la liturgia laica del rituale corteo per la deposizione della corona all’altare della Patria, fermandosi – lui solo – per farsi il segno della croce dinanzi al punto della Piazza in cui Papa Wojtyla aveva pronunciato, anni prima, il celebre discorso del non abbiate paura.
Ricordo anche che, nel coro unanimemente stizzito della grande stampa nazionale, mi ritrovai a chiedere (sull’Opinione di Arturo Diaconale) che fosse semplicemente rispettata — prim’ancora che studiata, capita e giudicata — la volontà democratica della massa di elettori che avevano scelto Kaczynski come Presidente, mentre i giornali gridavano allo scandalo per la sua vittoriosa elezione, frutto della peggiore e retriva anima popolare dei polacchi incolti, bigotti e campagnoli… Sempre a Varsavia lo rividi poi altre volte. Come quando, da Presidente, volle officiare nel Teatro Nazionale una commovente e seguitissima cerimonia per ricordare i "Giusti delle Nazioni", cioè quelle persone caritatevoli e coraggiose, come la polacca Irena Sendler e tanti altri, che pur non essendo ebrei avevano salvato da morte sicura altre vittime del crudele Olocausto perpetrato dai nazisti.
Ripenso a lui all’indomani della storica visita in Polonia del Presidente Berlusconi per il congresso del PPE e per gli incontri bilaterali col Governo Tusk, nella immediata vigilia del viaggio di Kaczynski in Italia nel maggio 2009, quando fece visita al Papa e ricordarò i soldati polacchi del Generale Anders caduti per la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Debbo confessare che a differenza degli intellettuali radical-chic che storcevano il naso per le sue cravatte demode e per le sue camicie non proprio a-la-page, che ricordavano un po’ lo stile meridional-trasandato del mio conterraneo Pinuccio Tatarella, mi piaceva lo stile diretto, un tantino casereccio, ma sempre coraggioso di Kaczynski. Specie quando parlava di crimini del comunismo, con una foga ideale e con una vis oratoria che da noi in Italia oggi la esibisce ormai solo il Presidente del Consiglio.
La domanda che oggi si stanno già facendo i polacchi è "quali saranno le mosse del fratello gemello", il sopravvissuto Jaroslaw, che è stato anche Premier e oggi guida il partito della destra populista e cattolico-integralista del PIS? Correrà o no per le prossime presidenziali che saranno annunciate entro due settimane – come prevede la Costituzione – e che si terranno entro giugno? Se Jaroslaw sarà candidato è probabile che vinca. Il che non significa che sia la soluzione migliore per la tremenda crisi di incertezza che si è abbattuta sulla Polonia, dopo che una buona fetta del vertice istituzionale e militare nazional-conservatore del Paese è stato decapitato tra i rottami del Tupolev sovietico 154 schiantatosi a poca distanza da Katyn, per cause ancora tutte da accertare.
Jaroslaw Kaczynski Presidente significherebbe sì un ancoraggio ai valori e alla visione tradizionale di un occidentalismo vetero-atlantista. Ma porterebbe anche il segno naturalmente indelebile del rancore politico e della diffidenza verso la parte avversa e, con essa, verso la parte di popolo che pure la esprime. Detto senza mezzi termini, Jaroslaw non riuscirebbe ad essere il Presidente di tutti i polacchi. Non è facile prevedere cosa accadrà in Polonia, anche se il premier continuerà ad essere quel Donald Tusk che ha battuto proprio Jaroslaw alle ultime consultazioni politiche. Di sicuro, il Paese resta un unicum difficilmente gestibile, sia in politica interna che nella compagine europea, come pure nel contesto delle alleanze bilaterali e delle global policies. E tuttavia, premesso che l’ultima parola l’avranno comunque i polacchi andando alle urne, si può ipotizzare qualche scenario.
Forse non dovremmo credere così tanto nella candidatura, data per vincente, dell’attuale Capo dello Stato facente funzione, Bronislaw Komorowski, che è pur sempre il Presidente del Sejm e che vanta il sostegno di Lech Walesa e detiene la vice presidenza di P.O. (Platforma Obywatelska), il partito liberal-moderato del Premier che lo aveva indicato come candidato. Pochi però conoscono Komorowski fuori della Polonia e al di là della ristretta cerchia dell’establishment politico-istituzionale locale. Anche se sono in parecchi a ritenere che la sua sarebbe la soluzione più indolore e meno azzardata, forse il suo nome non basterà agli elettori chiamati a votare ancora sotto lo shock della tragedia di Smolensk. Nei momenti decisivi della loro storia, i polacchi hanno sempre seguito quello che dettano il cuore, i sentimenti, e le emozioni, prim’ancora del freddo e raziocinante calcolo politico e della valutazione disincantata della contingenza politico-economica e del guicciardiniano particulare.
Nei prossimi mesi, dunque, potrebbe riprendere quota, magari con un cartello elettorale diverso da P.O., la candidatura del Ministro degli Esteri (ed ex Ministro della Difesa) Radek Sikorski, che pure proviene da Solidarnosc e dal PIS dei gemelli Kaczynski. Dai quali aveva rimediato l’incarico a Ministro della Difesa, prima della rottura che lo ha spinto verso Tusk e P.O., e che gli è valsa la nomina a Ministro degli Esteri. Sikorski è giovane, liberale, poliglotta, elegante e di bella prersenza, internazionalmente stimato (specie negli Stati Uniti, dove ha diretto importanti think-thanks filo-occidentali, scrive sulle principali testate e riviste nordatlantiche ed ha per moglie una cittadina statunitense). Conversatore charmant e fine scrittore, frequenta leader come Putin e Medvedev, ma anche i Bush, la Rice ed i nuovi dell’Amministrazione Obama; conosce bene la Merkel, Sarkozy, Berlusconi e tutti gli altri che contano. Infine, oltre ad aver studiato ad Oxford, ha effettuato un numero straordinario di visite di Stato in ogni angolo del globo: compreso l’Afghanistan, dove diversi anni addietro era stato persino corrispondente di guerra per la BBC all’epoca del conflitto con l’URSS.
Qualche notevole credito di stampa e dei salotti buoni della capitale polacca riscuote anche Andrzej Olechowski, già candidatosi come indipendente alle presidenziali del 2000, e poi arrivato secondo come designato del P.O. nella competizione del 2002 per la carica di Sindaco di Varsavia. Moderato, di idee liberali, originariamente del P.O., poi uscitone nel 2009 in polemica proprio con Tusk per dar vita ad una sua formazione propria, P.D. (Partito Democratico), che lo sosterrebbe come candidato presidenziale. E’ improbabile invece che il premier Tusk si faccia avanti, perché sarebbero in tantissimi a ricordargli che, in fondo, su quell’aereo nei cieli di Smolensk avrebbe potuto esserci lui. C’è infine il "fattore F", dove per F si deve intendere la Fede e nella fattispecie quella cattolica, molto peculiare in un Paese che per secoli ha amato definirsi l’antemurale della Crristianità. Al momento, non è chiaro quale orientamento prenderà la Chiesa polacca, che anche nelle competizioni elettorali conta moltissimo.
E per la sinistra, che cosa c’è dietro l’angolo? Molto poco, in realtà, visto che sul famigerato Tupolev ha trovato la morte anche il vice presidente del Sejm Jerzy Smajdzinski, che avrebbe potuto essere uno (anche se non l’unico) candidato capace di ricompattare la sinistra dell’SLD e delle altre microformazioni dell’opposiziopne. Ex Ministro della Difesa (2001-2005) con Kwasniewski Presidente della Repubblica e Miller Premier, Smajdzinski aveva comunque una scarso seguito correntizio nella casa madre SLD. L’unico asso che a sinistra potrebbe sparigliare i giochi, con una fortissima capacità aggregante in senso trasversale rispetto a partiti e schieramenti classici, è una donna, Jolanta Kwasniewska, la moglie dell’ex Presidente Alexandre. Non dimentichiamo che siamo in un Paese ancor oggi a fortissimo orientamento matriarcale, in cui — secondo un antico detto popolare — è vero che l’uomo è la testa, ma è il collo (cioé la donna) che la fa muovere. E anche questa sarebbe una soluzione di continuità nel cambiamento destinata a riscuotere consenso in patria e all’estero. Per amore di Jolanta, sarebbero tutti disposti a dimenticare (e probabilmente buona parte del clero anche a perdonare) persino qualche peccatuccio di gioventù di suo marito, l’ex Presidente, che da giovane fu ministro (dello sport e della gioventù, appunto) nel Governo-Stato comunista satellitare dell’ex Unione Sovietica.