
Draghi lancia l’allarme occupazione e sprona il governo sulle riforme

29 Maggio 2009
Il governatore della Banca d’Italia scatta la fotografia di un anno di crisi economica e indica nella coesione nazionale e nella fiducia due fattori chiave per permettere al Paese di ripartire. Mario Draghi mette tutti di fronte ai propri doveri e alle proprie responsabilità: si schiera dalla parte del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, quando chiede alle banche di non chiudere i rubinetti del credito. Riconosce al governo di aver messo in campo strumenti adeguati per sostenere nel breve termine il bilancio delle famiglie e per il rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito, ma allo stesso tempo sprona l’esecutivo ad accelerare sulle riforme strutturali, senza le quali non è possibile una concreta ripresa. La situazione attuale richiede sforzi straordinari: quest’anno il Pil, cioè l’ammontare complessivo della ricchezza prodotta, diminuirà del 5% dopo la caduta dell’1% nel 2008. E la disoccupazione potrebbe salire oltre il 10%.
All’assemblea annuale della Banca d’Italia, di fronte alla consueta platea di banchieri, imprenditori e politici, Draghi leggendo le sue considerazioni finali ha sottolineato che, nonostante alcuni «segnali incoraggianti», per uscire dalla crisi «molto resta ancora da fare». Bisogna tornare ad avere fiducia che «non si ricostruisce con la falsa speranza, ma neanche senza speranza: uscire da questa crisi più forti è possibile». Anche perché, ha sottolineato Draghi, dalla metà di marzo «le tensioni sui mercati finanziari si sono allentate» e le quotazioni di Borsa sono tornate su livelli di inizio anno. Questo significa che qualcosa si sta muovendo, ma per combattere l’emergenza bisogna che governo, imprese e sindacati lavorino insieme. «La risposta alla crisi è anche nazionale: i suoi effetti per noi italiani saranno più o meno gravi a seconda delle scelte che noi stessi faremo».
Il governatore ha espresso forti preoccupazioni sul fronte dell’occupazione. I lavoratori in cassa integrazione e coloro che cercano un impiego, oggi pari all’8,5% della forza lavoro, potrebbero salire oltre il 10% ha detto Draghi, che ha sottolineato come «gli interventi governativi a supporto delle famiglie meno abbienti e gli incentivi all’acquisto di beni durevoli stanno fornendo un temporaneo ausilio». Bankitalia stima che «1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento. Tra i lavoratori a tempo pieno del settore privato – ha aggiunto Draghi – oltre 800mila, l’8% dei potenziali beneficiari, hanno diritto a un’indennità inferiore a 500 euro al mese».
Di fronte a questi dati, il governo deve agire anche perché senza adeguate misure sul fronte occupazionale non c’è spazio per una ripresa dei consumi. «La prima preoccupazione della politica economica – ha sottolineato il governatore – attiene al rischio di un ulteriore deterioramento del mercato del lavoro. La crisi ha reso più evidenti manchevolezze di lunga data del nostro sistema di protezione sociale: esso rimane frammentato. Lavoratori altrimenti identici ricevono trattamenti diversi solo perchè operano in un’impresa artigiana invece che in una più grande».
Le imprese stanno reagendo alla crisi con forti riduzioni del personale. Il 40% delle aziende con oltre 20 dipendenti ridurrà gli occupati nel corso di quest’anno e la riduzione «sarà probabilmente maggiore nelle imprese più piccole. Per oltre 2 milioni di lavoratori temporanei – ha aggiunto il governatore – il contratto giunge a termine nel corso di quest’anno; più del 40% è nei servizi privati, quasi il 20% nel settore pubblico; il 38% è nel Mezzogiorno».
Le banche devono aiutare le imprese ad affrontare le loro difficoltà. Il sistema bancario italiano dimostra la capacità di «resistere anche a scenari più sfavorevoli». In questa fase, ha sottolineato Draghi, serve però «lungimiranza» da parte delle banche nel valutare i finanziamenti da dare alle aziende, evitando quindi eccessive restrizioni nell’offerta di credito. «Le banche italiane valutino il merito di credito dei loro clienti con lungimiranza. Prendano esempio dai banchieri che finanziarono la ricostruzione e la crescita degli anni Cinquanta e Sessanta».
A governo e sindacati il numero uno di Palazzo Koch chiede di trovare l’accordo su una riforma organica e rigorosa degli ammortizzatori sociali esistenti, che renda più universali i trattamenti, spiegando che il nuovo sistema può essere ridisegnato attorno ai due tradizionali strumenti: cassa integrazione e indennità di disoccupazione. L’emergenza non deve comunque gettare nel panico coloro che hanno il compito di prendere decisioni. Il governo, avverte Draghi, deve sempre tenere sotto controllo i conti pubblici che in questo momento di difficoltà generale rischiano di sfuggire di mano: il debito pubblico italiano torna ai livelli dei primi anni Novanta con il pericolo «che sull’economia gravi a lungo una pressione fiscale molto elevata». Il disavanzo pubblico nel 2009 supererà il 4,5% e nel 2010 il 5%. L’incidenza della spesa primaria corrente salirà, nell’anno in corso, di tre punti percentuali. La spesa pubblica complessiva supererà largamente il 50% del Pil. Contemporaneamente si registra un calo delle entrate tributarie: nei primi quattro mesi dell’anno l’Iva riscossa è stata inferiore del 10% rispetto al corrispondente periodo del 2008. L’imposta sui redditi delle imprese, scesa di oltre il 9% nel 2008, potrebbe flettere in misura ancora maggiore nel 2009.
Occorre dunque «assicurare il riequilibrio prospettico dei conti pubblici, attuare quelle riforme che, da lungo tempo attese, consentano al nostro sistema produttivo di essere parte attiva della ripresa economica mondiale». In particolare «le misure di riduzione della spesa corrente vanno introdotte nella legislazione subito, anche se con effetti differiti, senza rinvii a ulteriori atti normativi e a decisioni amministrative». Draghi propone anche di aumentare gradualmente l’età pensionabile per assicurare più reddito alle famiglie e un «potenziale produttivo» maggiore per l’economia. Per il governatore della Banca d’Italia «il graduale incremento dell’età media effettiva di pensionamento assicurerà l’erogazione di pensioni di importo medio unitario adeguato. Un più alto tasso di attività nella fascia da 55 a 65 anni innalzerà sia il reddito disponibile delle famiglie sia il potenziale produttivo dell’economia».
Draghi riconosce che la politica economica in Italia è oggi più difficile che in altri Paesi, proprio a causa della pesante situazione dei conti pubblici. «Negli ultimi vent’anni – ha ricordato il governatore della Banca d’Italia – la nostra è stata una storia di produttività stagnante, bassi investimenti, bassi salari, bassi consumi, tasse alte». Un passato pesante, ma proprio per questo «dobbiamo essere capaci di levare la testa dalle angustie di oggi per vedere più lontano». Una risposta incisiva all’emergenza «è possibile solo se accompagnata da comportamenti e riforme che rialzino la crescita dal basso sentiero degli ultimi decenni».