Dubbi sulla moralità del moralizzatore Di Pietro
22 Febbraio 2008
Per il Pd di Walter Veltroni l’apparentamento con l’Italia
dei Valori di Antonio Di Pietro sta rivelandosi un boomerang. E questo non solo
perché la figura dell’ex pm di “mani pulite” ha fatto storcere il naso a tutti
i garantisti e riformisti presenti nel nuovo partito veltroniano. “Ma anche”
perché il grande moralizzatore della politica italiana si ritrova di nuovo
sotto inchiesta con accuse pesantissime che vanno dal falso in atti pubblici
alla truffa aggravata di contributi erogati dallo stato alle formazioni
politiche. Accuse tutte da dimostrare e per le quali c’è stata anche un
richiesta di archiviazione, non accolta dal gip, da parte della procura di
Roma. Richiesta in realtà motivata con il fatto che la legge sul finanziamento
pubblico dei partiti non prevede precise fattispecie penali sull’utilizzo dei
soldi erogati dallo stato. Insomma una lacuna normatica che potrebbe salvare
l’ex eroe di “tangentopoli”. Ma che lascerebbe intatti tutti i sospetti
“morali” sull’utilizzo di quei soldi.
Che nel caso dell’Idv assommano ormai a 22 milioni di
euro. E che, nelle tante denunce che
hanno raggiunto Di Pietro (alcune squisitamente civili o politiche), si ritiene
siano stati gestiti e utilizzati con criteri esclusivamente personalistici.
Il prossimo 27 febbraio davanti al gip romano Carla Santese
potrebbe persino essere disposto un rinvio a giudizio per l’ex simbolo di
“tangentopoli”. O peggio ancora essere chiesto un supplemento di indagine che
rischia di rovinargli la campagna elettorale. Tutta puntata sulla moralità, la
trasparenza e perfino sulla perentoria
richiesta di abolire ogni contributo per i partiti politici.
C’è da dire che Di Pietro è perseguitato anche da altre
denunce di appropriazione indebita di quei fondi pubblici. Come quella degli
eurodeputati Achille Occhetto, Giulietto Chiesa e Elio Veltri (ex amici che ora
ne dicono peste e corna ai microfoni di Radio radicale) i quali lo accusano di
essersi intascato i cinque milioni di rimborso elettorale per le europee
lasciando a secco il famoso “cantiere”.
E proprio nella stessa data del 27 febbraio il parlamento
italiano deciderà se aprire un’istruttoria per congelare i rimborsi elettorali
dovuti all’Idv per le prossime politiche. Questo per evitare che per la prima
volta in Italia siano pignorati i soldi della Camera dei deputati e del Senato
della repubblica su precisa istanza di soggetti terzi.
Come se non bastasse tutto ciò, Di Pietro da giorni è
bersagliato dai suoi ex sodali, non solo l’ex amministratore dell’Idv, Mario Di
Domenico, il cui esposto ha generato l’inchiesta in cui è indagato, ma anche i
tanti responsabili regionali silurati dal Tonino nazionale.
Il più duro con lui è stato Franco Romano, ex responsabile
della Calabria, che lo ha praticamente accusato di essersi annesso tutte le
clientele una volta appannaggio dell’Udeur.
In un’intervista a Radio radicale, Romano ha parlato anche
di una new entry dell’Idv in Calabria, l’avvocato Armando Veneto, legale di
mafiosi e esponenti della ‘ndrangheta, che nel 1979 aveva tenuto l’orazione
funebre del boss Girolamo Piromalli e che per questo è anche citato negli atti
della commissione antimafia.
Di Pietro ovviamente si difende e dice che tutte queste cose
altro non sono che accuse già in parte scartate dalla magistratura civile e
penale e parla genericamente di fango preelettorale buttato su di lui.
Restano alcuni pesanti rilievi a suo carico contenuti anche
nell’esposto presentato da altri vecchi collaboratori alla fine della campagna
elettorale del 2006. I quali accusarono l’Italia dei valori di essere gestita
in maniera assai disinvolta, spesso non pagando neanche le contribuzioni a chi
ci lavorava.
Come resta il mistero sulla società Antocri, dai nomi dei
tre figli del magistrato (Anna, Totò e Cristiano), proprietaria di case poi
affittate al partito e di investimenti immobiliari persino in Romania.
Il sospetto dei magistrati infilato nell’esposto di Di
Domenico è anche sulla provenienza di quel denaro contante con cui gli
appartamenti sono stati comprati e riaffittati al partito: non è che per pur
caso le somme anticipate per integrare i mutui siano state direttamente
prelevate dai finanziamenti pubblici?
Sotto accusa è anche lo statuto dell’Italia dei valori, già
duramente censurato dal presidente della prima sezione del tribunale civile di
Milano, Giuseppe Tarantola, il quale si mostrava assai meravigliato che
“venisse consentito al fondatore di approvare i rendiconti preventivi e
consuntivi per milioni di euro” . Praticamente senza alcun controllo. Come a
dire: lo statuto dell’Idv permetteva a Di Pietro comportamenti contrari alla
legge civile. E forse anche a quella penale.
Magari nulla di illecito è mai stato commesso, però la
trasparenza amministrativa dell’Idv con queste premesse sembra non essere superiore
a quella di tante altre forze politiche. E rischia di ridicolizzare una
campagna elettorale, come quella voluta dall’ex pm, tutta centrata su ben
diversi “valori” di legalità di quelli di cui parlano i documenti contabili in
mano ai giudici e al parlamento italiano.