Dudù, la bellezza e i malamente: il Sud di La Capria fra croce e delizia

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Dudù, la bellezza e i malamente: il Sud di La Capria fra croce e delizia

Dudù, la bellezza e i malamente: il Sud di La Capria fra croce e delizia

29 Giugno 2022

Solo chi ha una visione giacobina, e in fondo un po’ frigida, è aduso a disegnare la realtà col bianco e col nero. Senza neanche le sfumature di un disegno a carbone, senza le gradazioni possibili di un tratto a matita. No, col bianco e nero della china su un foglio candido. O di qua o di là, o buono o cattivo, o paradiso o inferno, spesso negando peraltro all’idea dell’aldilà quel discrimine ultimativo che si vorrebbe applicare su questa terra.

Ecco, il Mezzogiorno di Dudù La Capria era invece un olio su tela. Vivido nel bene e nel male, sagace nel tratteggiarne i vizi fin quasi a scarnificarli, elegiaco nel descrivere la conturbante bellezza dei luoghi che ha così profondamente amato durante tutta la sua vita.

La Capria era napoletano fin nel midollo, di quella napoletanità che sapeva però incarnare dell’antropologia partenopea il miglior carattere restando pressoché immune dai suoi aspetti più deteriori. Aspetti che tuttavia vedeva con grande lucidità, al pari dei vizi più atavici del Sud. A cominciare da quella radicata propensione all’assistenzialismo come dato consustanziale, quasi che per una società non esistesse vita che non fosse in qualche modo alle spalle di qualcun altro, e preferibilmente dello Stato.

Di quel Meridione così affascinante e così duro a redimersi, di quel “paradiso abitato da diavoli” per dirla con Benedetto Croce, La Capria ha scolpito a imperitura memoria la perenne ricerca della “grande occasione”: quella inclinazione fra il pigro, il poetico e il quarto di nobiltà che porta a rifuggire la fatica dell’intraprendenza quotidiana in nome dell’attesa della grande svolta, possibilmente calata dall’alto. Una visione che tanta narrazione ha ispirato e che con diagnosi impietosa spiega tanto dei ritardi di oggi.

Che Dudù se ne sia andato proprio nell’anno nel quale la sua adorata Procida, che ha cantato in pagine mirabili, riveste l’ambitissimo ruolo di capitale italiana della Cultura, è in fondo l’ultimo numero giocato sulla ruota del destino da questo napoletano indimenticabile. E’ una metafora, triste e al contempo gravida di responsabilità per chi resta. Perché se è vero che le occasioni vanno costruite ogni giorno, ogni tanto quella “grande” arriva davvero. E non bisogna farsela scappare.