Due o tre modi per fermare l’Iran di Ahmadinejad

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Due o tre modi per fermare l’Iran di Ahmadinejad

17 Giugno 2009

Ieri, alla Camera dei Deputati, si è tenuta una conferenza stampa a porte chiuse sulla questione iraniana, organizzata dall’associazione di Amicizia Italia-Israele. Tra i partecipanti, Efraim Sneh, Efraim Inbar e Irwin Cotler. Tre gli orientamenti emersi nella soluzione del "problema Ahmadinejad": uno diplomatico, uno militare, e un altro di tipo legale.

Parlando della rivolta in corso a Teheran, il politico israeliano Efraim Sneh si è detto convinto che “questo potrebbe essere l’inizio di un cambiamento radicale”. Le proteste sono interessanti perché spontanee e provenienti “dall’interno” del Paese. A parte la rivolta, però, la questione della “bomba iraniana” è solo la punta dell’iceberg, visto che il fine ultimo degli Ayatollah sarebbe niente meno che l’egemonia mondiale sotto l’egida della Sharia. Anche la Spagna dovrebbe tremare visto che, nelle intenzioni del regime iraniano, ci sarebbe la volontà di aprire dei “canali” di transito e comunicazione verso il Mediterraneo proprio attraverso la "Andalucia" (i radicali islamici chiamano la Spagna ancora con il suo nome arabo).

Sempre riguardo al fronte interno iraniano, Sneh ritiene che a questo punto ci si trovi di fronte a un bivio con due possibilità d’uscita: la scintilla della rivolta potrebbe provocare una incendio e la fine del regime di Ahmadinejad; oppure l’attuale governo potrebbe trovare la forza di reprimere le proteste e riconfermarsi più forte di prima. Nessuna soluzione alternativa.

Come intervenire nei confronti di Teheran? Per mezzo delle sanzioni imposte dalle Nazioni Unite, ma anche tagliando l’approvvigionamento di petrolio raffinato (il 50% delle riserve petrolifere iraniane proviene da paesi “amici”). La chiusura di questo mercato, che appare comunque difficile visti i buoni rapporti tra “Stati Canaglia”, dovrebbe coincidere con un embargo sul petrolio iraniano: nessun paese occidentale dovrebbe quindi rifornirsi dall’Iran. L’ultima condizione posta da Sneh è il boicottaggio del sistema bancario iraniano, un altro modo per tagliare le gambe al gigante islamico.

Di tutt’altro avviso il professor Efraim Inbar, direttore del Centro Begin-Sadat per gli Studi Strategici, Università di Bar-Ilan. Nel suo caso l’approccio ricorda quello tracciato da Norman Podhoretz, cioè  un attacco militare preventivo contro Teheran. Secondo il professor Inbar non ci sarebbero spiragli per puntare al dialogo con il regime iraniano.

Il tempo a disposizione per gli occidentali non è molto (e soprattutto per Israele, che si troverebbe inevitabilmente in prima linea in caso d’un eventuale attacco). Inbar è convinto che questo sia il momento ideale per la conquista di una egemonia regionale da parte degli ayatollah. Proprio attraverso la lotta contro altri Paesi che si battono per ottenere la supremazia in Medio Oriente (l’Egitto come l’Arabia Saudita), l’Iran potrebbe realizzare il suo piano di conquista. In questo senso, la bomba atomica è un elemento imprescindibile del progetto espansionista iraniano, così come lo era la corsa alla conquista dello spazio tra Usa e Russia durante gli anni Sessanta del secolo scorso.

La diplomazia – aggiunge ancora Inbar – è un’arma spuntata anche in considerazione dei forti alleati su cui può godere l’Iran (Cina, Russia, Venezuela…). L’apertura Obamiana nei confronti del nucleare iraniano (definita “naive”) non farebbe che peggiorare le cose. Ecco spiegato perché sarebbe preferibile un approccio bellico. Una opzione che a dire il vero neanche il “moderato” Sneh scarterebbe del tutto, visto che, nel corso del question time, egli stesso ha ammesso che “quella militare deve essere una possibilità, seppur estrema” (pur definendosi contrario in linea di principio alle posizioni “d’attacco” del suo collega Inbar) .

La "terza via" la fornisce l’avvocato Irwin Cotler, membro del parlamento canadese. Cotler è uno di quelli che chiedono "l’incriminazione per incitamento al genocidio" di Ahmadinejad, a causa dei suoi reiterati appelli alla distruzione di Israele e nella cornice legale della Convenzione sul Genocidio, di cui l’Iran è un paese firmatario. In questo senso, anche Cotler ha puntato il dito sull’inattività di Obama, il Presidente del “Rule of Law”, dello stato di diritto, come si è autodefinito il presidente.

"Come mai Obama – si chiede sempre Cotler – che si richiama alla validità del principio della legge, non si comporta in linea con quelli che lui stesso definisce i valori della sua presidenza, quando Ahmadinejad istiga i suoi cittadini al genocidio nei confronti degli ebrei?”. Una domanda destinata a restare senza risposta. Secondo Cotler non abbiamo casi analoghi nella Storia di una simile campagna di istigazione all’odio, paragonabile a quella di Ahmadinejad (e compagnia)  nei confronti dello Stato Ebraico. L’avvocato canadese ha ricordato come, nel caso del Darfur, il genocidio sia stato preparato da un punto di vista culturale, indottrinando i cittadini all’odio razziale.

Cotler, dall’alto della sua innegabile esperienza di giurista internazionale, ha spiegato quali sono le varie possibilità di incriminazione di Ahmadinejad nell’ambito della Convenzione sul Genodicio: basterebbe, ad esempio, che uno soltanto degli Stati aderenti all’Onu presentasse il caso a Bank Ki-Moon. Ma considerando il fatto che la comunità internazionale, fino adesso, si è mostrata sempre refrattaria all’utilizzo delle vie legali, “ognuno di noi deve mettersi una mano sulla coscienza e riconoscere in cuor suo di essere in un certo senso partecipe a questo gioco al massacro nei confronti dello Stato israeliano”, le cui vicende sono indissolubilmente legate a quelle iraniane.