Durban, Obama usa parole diverse da Bush ma forse la sostanza non cambia

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Durban, Obama usa parole diverse da Bush ma forse la sostanza non cambia

21 Aprile 2009

La tesi potrebbe essere questa: in politica estera Obama sta usando un linguaggio opposto a quello del presidente Bush, tanto soft quanto era duro quello del suo predecessore. Ma il boicottaggio americano alla Conferenza dell’Onu contro il razzismo che si sta svolgendo a Ginevra dimostra che, se è cambiato il vocabolario degli Usa, la sostanza della lotta contro il fondamentalismo islamico resta la stessa.

Durante le ultime settimane, la bozza preparatoria della Conferenza è stata emendata da riferimenti espliciti a Israele come uno stato razzista. Sono anche state smussate quelle sezioni sulla “diffamazione delle religioni” che servono a imbavagliare la libertà di espressione, subordinando i diritti individuali al potere religioso. Ma evidentemente non è bastato. Tutti sapevano che il presidente iraniano Ahmadinejad sarebbe venuto a Ginevra per sparare a zero su Israele. Così gli Usa hanno boicottato il vertice, senza concedere nulla alle scenografie di delegati e delegate che escono polemicamente dalla sala quando Ahmadinejad inizia a straparlare.

Nei suoi primi cento giorni di governo Obama ha espunto dal lessico della Casa Bianca la parola "islamismo" per riferirsi al terrorismo di al Qaeda. Il Dipartimento della Difesa ha invitato a sostituire la definizione “guerra al Terrore” di Bush con un più rilassante “operazioni di emergenza d’oltremare” (Overseas Contingency Operation). Il segretario della Homeland Security, Janet Napolitano, preferisce usare la perifrasi “disastri causati dall’uomo” (man-caused disasters) quando deve indicare un atto terroristico. Ovviamente la guerra mondiale islamica non è finita e gli Stati Uniti non si fermeranno qui. Le truppe americane sono ancore in Iraq, in Afghanistan stanno arrivando i rinforzi, i Predator pattugliano il Pakistan, si combatte anche in Somalia e nello Yemen. Chiamiamole pure operazioni oltre mare se vi piacciono i giochi di parole.    

Nel suo recente viaggio in Turchia, Obama ha dichiarato solennemente: “Lasciatemelo dire nel modo più chiaro possibile: gli Stati Uniti non sono, e non saranno, in guerra con l’Islam”. Che non vuole dire faremo la pace con gli islamisti, è solo una bella e nobile dichiarazione di principio fatta in un Paese islamico che fa parte della NATO.

Certo, nei primi cento giorni ci sono state decisioni discutibili o inopportune. Nel febbraio scorso, la Casa Bianca ha ordinato un primo stanziamento di circa 20 milioni di dollari per l’assistenza ai profughi palestinesi di Gaza, anche se la Striscia è ancora sotto il controllo di Hamas. Obama ha chiuso Guantanamo e vuol dialogare con i Talebani “moderati”. Ha nominato una donna collegata alla Fratellanza Musulmana nel President’s Advisory Council on Faith-Based and Neighborhood Partnership.

Ma, quando si è trattato di sbattere la porta in faccia ad Ahmadinejad, gli Stati Uniti si sono comportati come dovrebbe fare qualsiasi democrazia di fronte a una dittatura. L’hanno chiusa, la porta. Accompagnandola, ovviamentente. Nel senso che mentre l’incaricato d’affari all’Onu della Casa Bianca definiva “vili, odiose e vergognose” le parole del presidente iraniano, il portavoce del Dipartimento di Stato aggiungeva che gli Stati Uniti continueranno ad “avere un dialogo” con l’Iran. Fino a quando il dialogo andrà avanti in questo modo possiamo stare (più o meno) tranquilli. Gli Stati Uniti sono abituati a usare la diplomazia della forza.