E Brexit fu! Via libera dalla Camera dei Comuni per il recesso dall’UE
09 Febbraio 2017
Il premier Theresa May lo aveva promesso, e così è stato. Con 494 voti favorevoli e 122 contrari, la Camera dei Comuni del parlamento britannico ha approvato ieri, in terza e ultima lettura, la legge, denominata European Union (Notification Of Withdrawal) Bill, che autorizza il governo ad invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona per l’uscita dall’Unione Europea ed avviare i negoziati per la Brexit. Il 20 febbraio il testo dovrà essere votato dalla Camera dei Lord. Tuttavia, nel caso in cui il testo venga modificato in questa sede, l’ultima parola spetterà sempre alla Camera dei Comuni. E con questi numeri è difficile pensare un risultato diverso: la Brexit si farà.
Chi si aspettava un risultato diverso, è rimasto deluso. Tanto più dopo che tutti gli emendamenti presentati al testo sono stati respinti. Tra gli emendamenti bocciati, c’è anche quello che mirava a fissare per iscritto a priori gli impegni del governo a tutelare anche in futuro i cittadini Ue residenti nel Paese. In aula, i laburisti avevano presentato e caldeggiato anche una proposta finalizzata ad obbligare il parlamento ad un voto vincolante sui contenuti degli accordi di negoziazione che si andranno a stipulare con l’UE nel corso dei due anni di trattative previsti dai trattati.
Anche in questo caso, niente da fare. La maggioranza Tory ha tenuto ed ha respinto la proposta. Il risultato politico di cui può farsi forte il premier May è proprio questo: le defezioni all’interno del suo partito e della maggioranza parlamentare sul suo piano di “Hard Brexit” non sono aumentate. Anzi, il premier ha fatto di tutto per ricompattare i suoi, contenendo anche i malumori dell’area meno euroscettica del partito conservatore.
Chi, invece, esce con le ossa rotte è il Partito Laburista che deve fare i conti con i mal di pancia interni, ormai sempre più evidenti. Il ministro ombra del Commercio, Clive Lewis, si è dimesso subito dopo il voto. Aveva, infatti, già annunciato che se non fossero passati alcuni emendamenti proposti dalle opposizioni, lui non avrebbe seguito la linea del partito, cioè di non impedire il passaggio di Brexit.
Jeremy Corbyn, leader del Partito Laburista, da tempo è accusato di essere sostanzialmente d’accordo con Brexit, e di non essersi opposto con forza durante la campagna prima del referendum. Dopo l’annuncio della “three line whip”, con la quale ha imposto ai parlamentari dei suo partito di non opporsi alla legge sull’invocazione dell’articolo 50, nel rispetto della volontà popolare, si sono dimessi dal governo ombra altre personalità di spicco come Jo Stevens, ministro ombra per il Galles, che aveva bollato come «terribile errore» l’uscita dall’Europa. Alle dimissioni di Stevens, hanno fatto seguito anche quelle di altre due “ministri” del governo ombra: Rachael Maskell e Dawn Butler.
Insomma, la “Hard Brexit” targata Theresa May compatta i conservatori e spacca i laburisti e, proprio per questo, può procedere spedita. Dopo il passaggio alla Camera dei Lord, secondo quanto previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona del 2009, il Regno Unito deve comunicare formalmente al Consiglio europeo la sua intenzione di lasciare la UE, facendo appello alla procedura di recesso. Da qui, in base agli orientamenti del Consiglio, verranno avviati due anni di negoziazioni al termine dei quali, se non saranno raggiunti gli accordi previsti, il recesso del paese dall’UE sarà automatico, a meno che il Consiglio non decida di prorogare il tempo di previsto per le trattative.