E’ caos sulla regolarità contributiva degli ambulanti

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E’ caos sulla regolarità contributiva degli ambulanti

01 Dicembre 2009

Che la burocrazia freni l’iniziativa imprenditoriale dovrebbe essere ormai un fatto assodato. Pagine intere scritte per misurare “tempi” e “soldi” spesi tra uffici e pratiche, quasi si trattasse di una extra tassa che incombe sulle imprese e, in definitiva, sui cittadini. Però se ci si mettono i ministeri a complicare le “carte”, la situazione diventa sarcastica.

I fatti: con la manovra anticrisi  di quest’estate (precisamente con la legge n. 102/2009 in vigore dal 5 agosto di conversione del dl n. 78/2009), viene esteso il requisito della “regolarità contributiva” all’attività di commercio su aree pubbliche. Un’operazione giustificata dalla necessità di garantire pari opportunità a chi è sul mercato nel rispetto delle regole (così la relazione al provvedimento).

La “regolarità contributiva” è la condizione dell’impresa in regola (appunto) con gli adempimenti e i pagamenti degli oneri previdenziali ed assicurativi nei confronti del titolare dell’azienda, nonché degli eventuali dipendenti. Tale situazione, prima demandata a una serie di certificazioni di diversi enti pubblici (Inps, Inail, etc.), oggi è provata con l’esibizione di un unico documento denominato “durc” (acronimo di documento unico di regolarità contributiva).

La novità è stata introdotta con modifiche al Dlgs n. 114/1998 (riforma del commercio), toccando le regole per l’esercizio dell’attività di commercio su aree pubbliche. Per tale s’intende l’attività di vendita di merci nonché la somministrazione di alimenti e bevande effettuate su aree pubbliche, comprese quelle del demanio marittimo delle quali il Comune abbia la disponibilità, o su qualsiasi altra area purché in forma itinerante (per esempio i “vu cumprà”). Nell’una o nell’altra forma, l’esercizio dell’attività è soggetta ad autorizzazione rilasciata dai Comuni. A questo punto arriva la novità: l’autorizzazione diventa subordinata alla presentazione, da parte del richiedente, (anche) del durc. Non solo; annualmente entro il 31 gennaio, poi, il Comune deve verificare la sussistenza del durc. Quanto alle conseguenze per la mancata presentazione del durc, iniziale o annuale, è prevista la sanzione della revoca dell’autorizzazione.

Fin qui sembrerebbe tutto chiaro: chi vuole vendere su aree pubbliche oppure in forma itinerante deve dimostrare di essere in regola con i contributi producendo (appunto) il durc. E invece è proprio qui che la situazione si fa buia e controversa.

Il problema: la nuova disposizione è operativa? Una domanda che sembrerebbe avere una risposta scontata: certo che è operativa, una volta che una legge è stata pubblicata sulla gazzetta ufficiale. E invece così non è. Perché quando le nuove norme vanno ad intaccare l’ambito di competenza delle regioni, occorre che siano gli enti territoriali a renderle efficaci (ciò che si dice “legislazione concorrente”). Così è nata la questione se, per rendere efficace il nuovo vincolo, sia necessario o meno l’intervento del legislatore regionale. Per risolverla si è pensato di rivolgersi ai soggetti istituzionali competenti per avere chiarimenti. Pessima idea: la situazione si è intrigata ulteriormente.

Alcune associazioni di categoria hanno sottoposto il caso al ministero del lavoro, ricevendone spiegazione che le nuove disposizioni sono soltanto di indirizzo e, poiché la normativa in tema di autorizzazioni commerciali è di competenza delle regioni, il nuovo requisito del durc è destinato a diventare obbligatorio solo a seguito di una legge ad hoc regionale (nota 12 ottobre 2009). Di fatto, dunque, il ministero del lavoro ha stoppato il nuovo vincolo.

Tutto bene fino a quando il ministero dello sviluppo economico, tre settimane più tardi, non è intervenuto anch’esso sul tema, con propria circolare illustrativa del nuovo vincolo. Nell’affrontare la questione dell’entrata in vigore del requisito del durc ha rappresentato un diverso indirizzo, diametralmente opposto a quello espresso dal ministero del lavoro. Infatti, ha sostenuto “l’applicabilità delle disposizioni anche in assenza di espressa previsione normativa regionale” in considerazione della “necessità di garantire equità e parità di trattamento, nonché di assicurare il carattere unitario nazionale dei requisiti e presupposti per l’accesso e l’esercizio delle attività professionali” (nota del 6 novembre 2009).

Quale conclusione, dunque? Nessuna. Salvo il riproporsi del solito problema: è operativo il nuovo requisito del durc? Una domanda – ormai a quattro mesi dall’entrata in vigore della norma che lo ha disciplinato – che sta assillando qualche migliaio di ambulanti, qualche migliaia di consulenti e gli oltre 8 mila comuni sparsi in tutt’Italia che tali norme devono applicare e far rispettare. Tutti in attesa di una risposta. Di una risposta che sia certa ed univoca, possibilmente.