E’ finita l’estate e il PD si ritrova ancora senza strategia, ruolo e identità
15 Settembre 2011
La manovra, la questione morale, l’offensiva generazionale, l’ingresso ormai prossimo dell’outsider Chiamparino sul palcoscenico delle primarie. E’ una fotografia sfaccettata e decisamente sfocata quella del Pd di questa rovente fine estate. Un’istantanea che descrive un partito all’affannosa ricerca di una strategia, un ruolo e un’identità precisa in vista della lunga volata verso l’ultimo anno e mezzo di legislatura.
Il traguardo elettorale è, infatti, soltanto apparentemente lontano, soprattutto perché non si è ancora in grado di dire con chiarezza agli elettori con quali alleanze e con quali compagni di viaggio si intende presentarsi al giudizio degli elettori. Il tempo passa ma l’oscillazione tra i due modelli politici sulla carta percorribili per Bersani & company continua a ripetersi in maniera regolare. Un giorno la dirigenza di via del Nazareno sembra puntare sulla prospettiva di una convergenza al centro e su un’alleanza organica con il Terzo Polo. Un altro giorno sembra che si faccia strada, invece, la suggestione dell’unità delle sinistre e il ritorno in auge dei vecchi schieramenti multicolor, riedizioni di precedenti esperienze non certo fauste per durata e coesione politica.
Tre giorni fa, su l’Unità, Nichi Vendola ha rilanciato la sua proposta: ricostituire il centro-sinistra con il Pd, Sel e Idv e indire le primarie di coalizione per designare il candidato premier. Sulla volontà di Bersani di creare un nuovo Ulivo capace di convergere con l’Udc la risposta assume toni sconsolati, sia pure confusi nell’immaginifico eloquio del governatore pugliese. “L’ossessivo e monotono appello alle forze centriste non ha consentito finora al Pd di compiere il gesto fondamentale di una chiamata del centro-sinistra per ritrovare la tela dell’Unità. L’inseguimento delle sirene e del moderatismo porta tutti noi verso una sconfitta”. Come dire: i moderati stiano al loro posto, ovvero lontani dal centrosinistra.
Questa coazione a ripetere, questa tentazione di rinchiudersi nel già visto ovviamente non convince i maggiorenti e gli intellettuali vicini al Pd. Due giorni fa Emanuele Macaluso ricordava sul Riformista come “il centrosinistra abbia vinto due volte con Prodi, in situazioni diverse dell’attuale, e i governi con fatica non abbiano retto più di due anni. Veltroni, quando volle l’alternativa “pulita”, il Pd (alleato con Di Pietro) fu votato a stento da un terzo degli elettori (meno del Pci nel 1976). Oggi, piaccia o non, il “Centro”, come forza autonoma, ha guadagnato consensi e attenzione politica. Se si pensa di ingabbiare i processi politici con le leggi elettorali si complicano le cose e si rende sempre ingovernabile questo Paese”.
Il desiderio del Pd di allargare la platea dei possibili alleati è leggibile in filigrana anche in quel sogno neanche tanto segreto illustrato alla Camera da Dario Franceschini, durante la dichiarazione di voto sulla manovra bis. “Tutti devono sapere che se da domani ci fosse un nuovo governo guidato da una persona con una grande credibilità personale questa cosa varrebbe due manovre. Il Pd è pronto ad assumersi una quota di responsabilità a sostegno di un esecutivo di transizione”. Un governissimo, insomma, utile a far tornare il Pd nella stanza dei bottoni e preparare la tela delle alleanze future. Alla faccia di chi, come Antonio Di Pietro, annusa il pericolo e attacca il “caro Pierluigi” con una lettera rimproverandogli di “evitare me e Vendola per rincorrere Casini”.
Sullo sfondo, e su un altro terreno, la partita della premiership inizia a prendere forma. E pian piano si fa strada la candidatura di Sergio Chiamparino, una figura che certo rilancerebbe gli spiriti sopiti della modernizzazione del Pd. Tanto più che Pierluigi Bersani continua a essere in difficoltà rispetto al buco nero di domande senza risposta spalancato dal caso Penati e appare incapace di produrre una riflessione articolata e diretta sul perché certi comportamenti abbiano trovato spazio ai vertici del partito. La sua corsa verso l’eventuale candidatura a Palazzo Chigi ora appare viziata da un handicap probabilmente insormontabile visto che la reticenza a mettere in campo una vera autocritica lo ha trasformato, di fatto, in un cavallo zoppo.
Tanto più che non ci sono solo i Vendola, i Renzi e i Chiamparino a complicargli la vita. Il segretario deve anche fare i conti con il movimentismo dei cosiddetti “Tq”, i trenta-quarantenni del Pd sempre più decisi a farsi notare. Alla Camera si allunga ogni giorno l’elenco delle firme sotto la proposta di legge, presentata da Dario Ginefra, per limitare a tre il numero dei mandati parlamentari. Non trattiene il sorriso Ginefra quando parla del sostegno alla sua proposta. Oltre a lui, hanno aderito Francesco Boccia, Stefano Esposito, Fausto Recchia, Luciano Pizzetti, Antonio Boccuzzi, Giacomo Antonio Portas , Alessia Mosca, Rodolfo Viola, Vinicio Peluffo, Federica Mogherini, Luigi Bobba, Delia Murer, Luisa Bossa, Sandro Gozi, Roberto Marmo e Francesco Laratta.
“La proposta di limitare a tre il numero dei mandati parlamentari non è nuova e non è frutto dell’iniziativa personale: quel principio, infatti, è già contenuto nell’articolo 22, comma 2, dello statuto nazionale del Partito Democratico», ricorda Ginefra. “L’istituzionalizzazione di quel principio dovrebbe rappresentare un progetto condiviso da tutti gli iscritti ed elettori del Pd”, ha sottolineato, “a meno che non si ritenga il nostro Statuto lettera morta derogabile all’occorrenza. Negli altri Paesi al termine di ogni ciclo politico chi perde torna a vita privata, qui è come se vi fosse una sorta di fermo immagine nella società e nella politica del nostro Paese”.
Il 22 e 23 ottobre, invece, si vedranno a Bologna i rottamatori di Pippo Civati, che orfani di Matteo Renzi, hanno trovato in Debora Serracchiani la nuova portabandiera. Nel Pd, insomma, la voglia di cambiare è tanta. E il piccolo esercito degli “strattonatori” alla ricerca di un posto al sole ingrossa le propria fila. Con l’obiettivo di rendere difficile la vita del segretario.