E Gianfranco nel libro dimentica il suo passato fascista e Silvio

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E Gianfranco nel libro dimentica il suo passato fascista e Silvio

11 Novembre 2009

Caro direttore,

ho letto anch’io l’ultimo pamphlet di Gianfranco Fini, e condivido in parte l’analisi del Foglio. Con questo libro del presidente della Camera rappresenta un ulteriore contributo all’apertura di uno spazio di confronto democratico all’interno del Pdl.

Naturalmente, quando si crea una dialettica politica ognuno ha il dovere di far valere le sue idee e di sostenere il proprio punto di vista, in uno spirito di solidarietà di partito e di amicizia personale.

Per prima cosa, la lettura del nuovo libro di Fini mi ha confermato in una convinzione che nutro da tempo, e cioè che la parabola politica e culturale di Gianfranco Fini presenta una certa analogia con quella ella tradizione comunista italiana.

Che cosa c’entra – si dirà – la storia del Msi e poi di An con quella del Partito Comunista? A prima vista niente. Tuttavia entrambe le esperienze a dispetto delle radicali diversità – l’esclusione dall’arco costituzionale del primo, e la partecipazione fondante alla carta repubblicano del secondo – mi pare abbiano affrontato la fine delle ideologie e la scomparsa di schemi dottrinali forti per l’azione politica con la stessa ansia di approdare a un’accettazione della realtà così com’è. Entrambi i partiti ideologici della prima Repubblica, insomma, mi pare siano incorsi alla fine della loro parabola in una sorta di conformismo un pò schiavo della realtà (sia sul piano politico-economico che su bio-etico), senza la capacità di elaborare una autentica riflessione sul proprio passato, che permettesse di superare quella storia senza tuttavia giungere ad abbracciare gli esiti della modernità.

In ogni caso, ciò che mi ha colpito dello sforzo culturale compiuto da Fini è la mancanza di una spiegazione dell’incontro e dell’intreccio della sua storia con quella di Silvio Berlusconi.

Se si considera il fatto che nel libro non compare mai il riferimento all’attuale Presidente del Consiglio, potrebbe sembrare che la storia e l’evoluzione di Fini sia semplicemente giustapposta a quella di Berlusconi oppure si ponga, come molti episodi farebbero temere, in alternativa ad essa.

Non è curioso imbattersi in questa rimozione, che s’aggiunge a quella sul fascismo e su altre figure fondamentali nella storia del Novecento italiano? E’ come se il presidente della Camera si astenesse da una riflessione sulle quelle vicende fondamentali della vita politica italiana di questi ultimi sedici anni che hanno reso possibile di fatto la sua attuale evoluzione politica.

Questo vuoto nella riflessione di Fini lascia un varco aperto ad interpretazioni come quella affacciata da Carlo Galli, secondo il quale il cofondatore del Pdl sarebbe l’espressione di una destra moderna, legalista, egalitaria, consensuale e democratica, in alternativa alla destra caudillistica, populista e autoritaria incarnata da Berlusconi.

In qualche modo il libro avalla questa lettura, almeno per quanto riguarda il versante di una destra che non si riconosce nelle posizioni che il Pdl, nella sua stragrande maggioranza, rispecchia.

La mia preoccupazione è che questa scissione – ove esistesse veramente – metterebbe in discussione l’approdo del Pdl, da sempre considerato un soggetto politico unito sul piano dei valori fondamentali e delle prospettive politiche generali.

Come ho osservato in precedente intervento, si tratta di decidere se vogliamo costruire un partito simile alla Democrazia Cristiana, di fatto una federazione di partiti con una classe politica eterogenea ma capace per ciò stesso di intercettare i voti di segmenti diversi dell’elettorato, o se vogliamo invece dare vita ad un partito che, pur nella cornice di un confronto democratico, giunga a definire una cultura politica condivisa.

Io sono a favore della seconda ipotesi, del secondo modello di partito, nel quale, come è avvenuto per Forza Italia, un aperto confronto democratico permetta di definire un’identità culturale comune, frutto delle diverse identità di partenza.

Un altro punto sul quale dissento da Gianfranco Fini è la metafora a cui ha più volte fatto riferimento, circa il rischio di un partito che si trasformi in una caserma, a causa dell’assenza di un libero confronto democratico e della mancanza di rispetto per le tesi minoritarie presenti nel partito.

Ritengo questo giudizio quantomeno ingeneroso, poiché tutto si può dire del Pdl, che si è formato da pochi mesi, fuorché sia una caserma. L’unificazione di partiti diversi è sempre stato il processo più difficile nella storia dei partiti politici. Si tratta di progetti che richiedono una leadership riconosciuta e tanto, tanto equilibrio, prudenza e soprattutto saggezza politica.

A me pare francamente che, nonostante inevitabili difficoltà, il processo di costruzione del nuovo partito proceda in modo più positivo ed incoraggiante di quanto io stesso non credessi.

Certo, tutti hanno delle responsabilità affinché questo progetto adempia alle sue ambizioni storiche.

In particolare, il ruolo di Fini è determinante per consentire al nuovo partito di istituzionalizzare, come scrivono i politologi, la leadership carismatica di Silvio Berlusconi, cioè di permettere al Pdl di divenire uno degli architravi del nuovo sistema politico dell’alternanza: oggi e nel futuro.

Qui si misurerà anche la lungimiranza di Fini, che può essere uno degli artefici del rafforzamento del nuovo partito oppure la causa del suo possibile fallimento.

Conoscendo le doti politiche di Fini sono certo che egli saprà essere il protagonista di una ulteriore fase di crescita del partito, che tutti abbiamo fortemente voluto.

Per queste stesse ragioni, ritengo che Fini sappia perfettamente che il fondamento della leadership di Berlusconi non risiede in una supposta volontà monarchica, bensì nella sua capacità di guida politica.

Io stesso, che provengo da una esperienza intensamente politica e di partito, ho spesso constatato che la superiorità di Berlusconi rispetto a molti professionisti della politica è consistita nella sua capacità di operare scelte politiche più lungimiranti.

E anche oggi, a dispetto dell’accusa di monarchia o di assolutismo, il fondatore del Pdl è capace di interpretare la cultura liberale di massa (vedi testamento biologico e cittadinanza) con un pragmatismo e un buon senso, che spesso difettano in altri esponenti politici.  

Cordialmente