E’ il carry trade la nuova bolla che investirà la finanza mondiale
04 Novembre 2009
Dopo i subprime, i mutui ad alto rischio d’insolvenza che sono stati una delle cause della crisi americana, arriva il pericolo di una nuova bolla speculativa. Si tratta del carry trade, l’approvvigionamento di fondi in paesi con tassi d’interesse bassi per poi impiegarli in nazioni con alti tassi. Nouriel Roubini, l’economista della New York University che aveva lanciato l’allarme sui subprime in tempi non sospetti, mette in guardia il mondo finanziario dall’utilizzo di queste pratiche.
Un dato è certo. Dal maxi fallimento di Lehman Brothers, oltre 691 miliardi di passività, la finanza non è cambiata di molto. Forse avrà cambiato strategie operative ma il target rimane sempre e solo uno: macinare denaro. Non che questo sia errato, anzi. Ma spesso si sono utilizzati mezzi ai limiti dell’etica. Ecco perché quindi è arrivato il monito comune dei governi mondiali a una maggior coscienza finanziaria.
C’è però da dire che in qualche modo le attività perdute con lo scoppio della crisi subprime vanno ripristinate. Roubini dice che dallo scorso marzo tutti i prezzi degli investimenti ad alto rischio sono aumentati a dismisura. Non è un caso che l’oro abbia superato quota 1.085 dollari l’oncia, che il petrolio sia schizzato nuovamente sopra i 50 dollari al barile e che ci siano stati svariati rally di borsa sui titoli bancari. Allo stesso modo, non è un caso che il dollaro sia diventata la valuta più usata nelle pratiche di carry trade. La sua debolezza strutturale, unita alla politica di bassi tassi operata dalla Federal Reserve, ha permesso al biglietto verde di stabilizzarsi al ribasso come valuta, sospinta dalle aspettative degli investitori. Quest’ultimi si attendono, in gran parte in modo veritiero, che il quantitative easing dellla Fed sia la politica monetaria per i prossimi anni. Lo ha confermato anche il Federal Open Market Committee (FOMC), l’organo decisionale della banca centrale statunitense. Ma questo cosa produce?
Da una parte ci sono gli investitori, bruciati dalle bancarotte finanziarie e desiderosi di riequilibrare le proprie posizioni. Dall’altra la Fed che, per sostenere e rilanciare l’economia americana, sta vendendo denaro a costo zero e ha iniziato pratiche di riacquisto di asset tramite reverse repo (repurchase agreement). In pratica si tratta di aste pronti contro termine al contrario in cui la banca centrale vende a breve termine attività bancari per limitare liquidità in eccesso presente nel sistema. Tutte operazioni che non fanno altro che aumentare il rischio di un crack sistemico, questa volta partendo dal credito.
Per Roubini si sta creando «la madre di tutte le bolle mondiali dei prezzi delle attività con effetto leva». È stato facile affermare che Ben Bernanke, governatore della Fed, è stato l’esempio della lotta alla crisi finanziaria, come hanno fatto George W. Bush prima e Barack Obama dopo. Non va dimenticato però che ogni politica monetaria espansiva ha bisogno, prima o poi, di rientrare in modo equilibrato.
Tuttavia, anche se si iniziassero domani le exit strategy, il ritiro degli interventi a sostegno dei mercati, il carry trade sul dollaro è in uno stato troppo avanzato per frenare la bolla nata da marzo a oggi. E se si associa il rischio d’insolvenza intrinseco al mercato delle carte di credito mondiale, il prospetto dei pericoli che corre il mondo finanziario è completo. A quando il terremoto? Roubini avverte che ci sarà quando si sgonfierà la bolla del dollaro e quando inizieranno le sequele d’insolvenze dei risparmiatori americani. Osservando gli indicatori valutari e creditizi, difficile dargli torto.