E’ il riformismo silenzioso che sta cambiando volto all’Abruzzo
03 Giugno 2011
di F. C.
E’ vero, la Giunta del presidente della Regione, Gianni Chiodi, sta raggiungendo risultati senza precedenti e si stanno finalmente realizzando le riforme che il nostro territorio aspettava da tempo. Ce lo diciamo ogni volta tra noi. Noi che abbiamo la responsabilità di governare. Lo vediamo, ne tastiamo i frutti.
Ce lo siamo ricordati ancora una volta appena qualche giorno fa. L’occasione era informare la stampa di una nuova riforma, l’ennesima: quella delle Ipab, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, approvata dal Consiglio regionale. Una riforma doverosa e necessaria, che razionalizzando le risorse riesce comunque a migliorare l’offerta di servizi che riguardano soprattutto le fasce più deboli. Un’altra riforma coraggiosa. Un’altra riforma che la squadra di governo ha affrontato e realizzato. Un’altra riforma che avrebbe dovuto essere urlata a squarciagola, sventolata come una bandiera.
Invece no. Dall’altra parte, ad ascoltare, c’era una sparuta platea. Qualche giornalista e qualche tecnico. Peccato. Perché come sempre è accaduto nel corso di questi due anni di governo regionale, di queste riforme se ne saprà poco e male. Se per difetto di comunicazione “interna” o per cattiva volontà “esterna”, non è chiaro. Fatto sta che su queste “riforme silenziose” che senza che nessuno se ne accorga stanno cambiando il volto della nostra Regione è arrivato il momento alzare il velo. Perché l’elenco sta diventando talmente lungo che rischiamo di perderne qualcuna per strada.
Inchiostro e parole sono stati profusi a volontà sul risanamento della sanità abruzzese. Da esempio negativo a modello: quello che è stato capace di affrontare il presidente Chiodi è stato davvero importante. Poi, la legge di riforma del servizio idrico integrato che prevede l’istituzione di un unico Ambito territoriale ottimale, a fronte dei sei finora in attività. Il che significa un servizio efficiente, efficace ed economico.
E ancora, la riduzione del numero dei dirigenti della Regione che fa il paio con la riduzione del compenso e delle pensioni ai consiglieri regionali. La riduzione dei consorzi industriali e, per concludere, un Piano sociale innovativo, attento ai bisogni del welfare e meritocratico.
Tutto questo con il peso, materiale ed emotivo, di un dramma come il terremoto dell’Aquila. E di un debito pubblico, portato in eredità, che rischiava di compromettere seriamente il futuro di tutti gli abruzzesi. E un clima generale funestato da crisi economica mondiale senza precedenti.
Nonostante tutto, sottovoce, si sta in qualche modo cambiando il modello organizzativo dell’intera società abruzzese. Si comincia a parlare di efficienza, meritocrazia e rinnovamento. Con buona pace del vecchio clientelismo. E lo si è fatto per passione, per istinto al “buon governo”, con la consapevolezza che tutto ciò avrebbe potuto provocare malumori e perdita di consensi.
E’ vero che ciò che conta sono i fatti e non le parole. Ma perché non rivendicare questo “riformismo silenzioso” che sta cambiando il volto dell’Abruzzo? Stiamo vivendo un’epoca difficile, di cambiamenti, di incertezze. Perché non dire ai cittadini che i sacrifici di oggi saranno la loro sicurezza di domani? Perché non spiegare che a fronte di costi minori oggi hanno servizi migliori? Senza che questo si ripercuoterà, come è accaduto in passato, sulle tasche dei loro figli?
Le stime sulla crescita del Pil evidenziano che l’Abruzzo cresce e, soprattutto, cresce di più rispetto alla media nazionale. Una situazione che si è verificata solo quattro volte negli ultimi quindici anni, come ci ha ricordato il presidente Chiodi. E giusto che gli abruzzesi vengano informati con obiettività su queste cose. Senza strumentalizzazioni e senza opportunismi.
Un clima di fiducia può fare molto di più di mille tagli alla spesa. Può far ripartire la crescita, può mettere in gioco idee e stimoli, può tirare fuori talenti rimasti soffocati dai timori della crisi economica. Condividiamo obiettivi e traguardi con la gente. Perché governare bene è un nostro dovere ma, credere in un futuro migliore, è un diritto di tutti.