E’ Michele Bachmann la vera star dei “magnifici sette”

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E’ Michele Bachmann la vera star dei “magnifici sette”

16 Giugno 2011

Esplode sui giornali italiani la sindrome del giorno dopo, anzi di qualche giorno dopo il 13 giugno del New Hampshire in cui si è svolto il confronto televisivo fra i sette sfidanti Repubblicani che hanno già ufficializzato la propria candidatura per le primarie. E così le pagine si riempiono di foto e di righe dedicati a Michele Bachmann, colei che dall’altra sera, “rubando la scena” a “ben più noti” candidati, è diventata, per gl’inviati di casa nostra, la star della Destra americana nonché l’eroina dei “Tea Party”. Ottimo. Stupisce, però, che i reporter reagiscano solo al telecomando tivù. La Bachmann, infatti, è oramai in giro da un bel po’ e a ben vedere le avvisaglie del suo exploit sono da mesi lì tutte da commentare. Sinceramente contenti, quindi, del fatto che da oggi il suo nome non sia più cosa ignota per i più, notiamo però che dalle cronache del giorno dopo è assente una vera, lampante notizia.

I sette candidati Repubblicani che si sono confrontati l’altra sera in diretta CNN ‒ Rick Santorum, Michele Bachmann, Newt Gingrich, Mitt Romney, Ron Paul, Tim Pawlenty e Herman Cain ‒ sono divisi da alcune differenze di prospettiva per quel che riguarda la politica estera e l’economia, ma sono tutti indistintamente e graniticamente avversari dell’aborto. E pure sui “matrimoni” gay in media scherzano poco. Traduco: su ciò che in politica è giustamente discutibile e francamente negoziabile i magnifici sette evidenziano posizioni legittimamente diverse, ma su ciò che in prepolitica è principiale e non negoziabile mai. L’altra sera alla CNN è insomma andata in onda la parata della Destra, cosa che in casa Repubblicana non è in questi termini forse mai successo. Di tutti i presenti, il più moderato è apparso – e forse, per lo standard generale imposto da quel parterre, davvero è – Mitt Romney, lo stesso Romney cioè che nelle primarie Repubblicane del 2008 appariva invece come un irriducibile. A essere mutato però non è stato Romney, ma il quadro di riferimento. L’asse della politica Repubblicana si è cioè sensibilmente e vistosamente spostato in media assai più a destra, e questa è indubbiamente una vittoria storica dell’universo conservatore guidato dal movimento dei “Tea Party”.

Di più. I nostri commentatori ipnotizzati dal telecomando e cronicamente incapaci di andare oltre lo schermo televisivo non si sono accorti del convegno organizzato il 3 giugno a Washington dalla Faith and Freedom Coalition fondata e guidata dall’ex direttore esecutivo della famosa Christian Coalition Ralph E. Reed jr. C’erano diversi dei candidati Repubblicani ospiti dieci giorni dopo della CNN, c’era Mitt Romney, c’era Michele Bachmann, e c’era anche Ron Paul. Il quale si è lanciato in una solidissima concione pro-life; ha fondato coram populo la propria visione politica che da noi ci sia sganascia a definire “liberale, libertaria, liberista” citando a memoria brani della Bibbia; e ‒ lui che vorrebbe reintrodurre adesso nemmeno il gold standard ma persino le pepite d’oro come strumento di scambio invece del denaro, che vorrebbe cancellare quel gran “complotto” che è la Federal Reserve e che non nasconde un cuore da anarchico ‒ ha detto che la libertà delle persone non viene ovviamente dalle concessioni governative o da chissà quale altra oscura fonte del diritto umano ma nientepopodimeno che dal Creatore. Quello che sta scritto a chiare lettere nella Dichiarazione d’Indipendenza del 1776. Passato un attimo, Paul si è quindi rilanciato in una seconda sperticata lode dell’istituto familiare che ha detto essere parte del retaggio cristiano su cui si fondano gli Stati Uniti, ricordando a tutti come i Padri fondatori insegnassero che la Costituzione federale, oggetto di venerazione per ogni buon conservatore o libertarian, avrebbe retto i colpi avversi del destino solo fino a quando gli Stati Uniti sarebbero rimasti una nazione di profonda moralità. Liberale… Le parole di Ron Paul, pronunciate il medesimo giorno in cui usciva definitivamente di scena Jack “Dottor Morte” Kevorkian, il medico del Michigan che ha mandato al Creatore senza crederci 130 persone tra suicidi assistiti ed eutanasia affermando che così si difende bene l’idea americana della libertà, mostrano di che stoffa sono fatti gli americani veri, i “libertari…

La Bachmann? La Bachman che corre per la casa Bianca opponendosi all’evoluzionismo e al “matrimonio” omosessuale, che è categoricamente pro-life e tetragonamente religiosa, che è madre di cinque figli naturali badando ad altri 23 che ha in affido? Non è affatto un’eccezione, è la punta di diamante di un mondo americano che anche in politica non fa più prigionieri.

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana