E’ necessario che l’asse Roma-Parigi-Madrid spinga per la riforma della Bce

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E’ necessario che l’asse Roma-Parigi-Madrid spinga per la riforma della Bce

E’ necessario che l’asse Roma-Parigi-Madrid spinga per la riforma della Bce

12 Luglio 2012

La situazione della finanza pubblica europea è in costante peggioramento. Il caso più grave che tiene banco negli ultimi giorni è quello della Spagna, che per effetto della manovra draconiana da 65 miliardi decisa dal governo Rajoy, taglierà migliaia di dipendenti pubblici, le tredicesime del personale pubblico e aumenterà le aliquote Iva dal 18% al 21% e dall’8% al 10%. Tagli previsti anche ai sussidi alla disoccupazione e alle imprese, tra le quali quelle del settore minerario. Una misura che porterà alla chiusura di diverse miniere e provocherà il licenziamento di migliaia di lavoratori del settore. Da qui la protesta dei minatori che hanno invaso la capitale spagnola con i drammatici scontri che ricordano molto quelli visti qualche mese fa ad Atene.

Questo il prezzo che la Spagna deve pagare per l’ottenimento del finanziamento da 30 miliardi che l’Europa le concederà per la ricapitalizzazione delle proprie banche, diventate un altro punto di debolezza dell’economia. Finisce così, in un prologo di guerra civile, la parabola di una nazione che fino a pochi anni fa era considerata l’Eldorado dell’Europa e che ora sta collassando sotto lo scoppio di una delle bolle speculative immobiliari più violente della storia, che ha lasciato un milione di nuove case invendute, licenziato un milione e mezzo di lavoratori del settore edilizio e registrato un crollo del valore degli immobili a doppia cifra. Gli spread Bonos – Bund hanno toccato recentemente i 574 basis points, nuovo record, lasciando intendere come gli investitori stiano voltando sempre più le spalle ai titoli di Stato spagnoli, cominciando a paventare un serio rischio di default del debito di Madrid.

Anche la Francia è entrata nel triste club dei paesi che hanno deciso di intraprendere le politiche di austerity imposte dai burocrati di Bruxelles. L’aumento del CSG, il contributo sociale generalizzato, è previsto in aumento di 2 o 4 punti, dopo che Parigi aveva già passato una manovra correttiva da 7,2 miliardi di euro. Anche l’economia francese sta cominciando a risentire del famoso "effetto avviatamento", quello per cui manovre fiscali restrittive provocano una diminuzione della produzione, che a sua volta richiede nuove manovre fiscali e così via, ab limitum. Qualche giorno fa la Banca di Francia ha confermato le stime di un arretramento del Pil per il secondo trimestre pari a -0,1%, mentre per il secondo semestre il tasso di crescita dovrebbe essere pari a zero.

La finanza pubblica francese è in netto peggioramento, con il rapporto debito pubblico / Pil atteso a breve oltre la soglia del 90%, mentre il rapporto deficit / Pil è atteso al 4,5%. L’elemento di stranezza della situazione francese è relativa al basso livello dello spread OAT – Bund, attualmente al di sotto dei 100 basis points. Un livello che, osservando i poveri risultati fatti registrare ultimamente dall’economia ed il recente aumento del debito pubblico, sembra essere ingiustificabilmente basso. E’ ragionevole attendersi che, se la Francia dovesse registrare nei prossimi mesi un acuirsi dell’effetto avvitamento potrebbe essere presto messa sotto l’attacco speculativo dei mercati finanziari, dati gli ampi margini che i traders potrebbero registrare se davvero questo spread fosse sottovalutato.

In Europa si sta quindi verificando quanto da tempo stiamo affermando, ovvero che le politiche economiche restrittive imposte dalla Germania stanno facendo precipitare, con una drammatica sistematicità, molti stati nell’effetto avvitamento di cui si parlava, con il risultato di un collasso dell’economia nel suo complesso. Esiste un solo paese che esce vincitore da questa che può essere considerata, a tutti gli effetti, una guerra economica tra stati europei, ovviamente la Germania. Cosa sarebbe successo se, sin dall’inizio, i paesi europei si fossero rifiutati di sottoporsi al diktat di Berlino e alle sue regole fiscali, adoperando degli approcci di rientro dal debito meno invasivi? Avremmo un livello di Pil mediamente più alto e livelli di spread più bassi, mentre il Pil della Germania sarebbe probabilmente più basso con un costo d’emissione più elevato. In sintesi, tutti starebbero un po’ meglio, mentre la Germania starebbe un po’ peggio.

In questo scenario, cosa possono fare i paesi europei per sottrarsi ad un destino simile a quello già vissuto dalla Grecia? Le manovre draconiane intraprese, soprattutto quelle che hanno operato sul versante dell’aumento delle entrate, si sono dimostrate inconsistenti, almeno nel breve periodo, dal momento che hanno avuto un impatto sugli spread, il vero termometro della crisi, pari a zero. Ovviamente, le riforme liberali, liberalizzazioni e privatizzazioni, andrebbero fatte al più presto per mettere le forze di libero mercato nelle condizioni giuste per operare. Queste sortirebbero effetti benefici sull’economia nel lungo periodo.

Nel breve periodo, come ha ricordato finalmente anche il governatore della Banca d’Italia Visco, sposando la tesi sostenuta da alcuni economisti della fondazione Magna Carta, lo spread è oramai diventato una variabile esogena, al di fuori del controllo del governo. Per questo motivo, solo un intervento esterno può riportare i costi di finanziamento del debito a livelli ragionevoli. Per ottenere questo risultato è necessario che l’Europa approvi al più presto il cosiddetto scudo anti-spread (anti-spread shield) che dovrebbe consistere in un meccanismo automatico d’intervento da parte di un veicolo finanziario o, preferibilmente, dalla Banca Centrale Europea, dotato(a) del potere di intervento sui mercati secondari, con la possibilità di acquistare i titoli di Stato dei paesi il cui spread oltrepassa una soglia prefissata. Questo, oltre ad avere un effetto immediato sulla diminuzione dei costi di finanziamento, creerebbe anche un effetto di deterrenza per gli speculatori, dal momento che la possibilità di lucrare sullo spread oltre un certo limite viene inibita alla radice.

La riduzione dello spread al di sotto della soglia dei 200 basis points deve essere la priorità del governo Monti in questo momento, poiché il differenziale tra tasso di crescita del costo medio per interessi su debito, che nel 2012 sarà vicino al 4%, e il tasso di crescita del Pil, pari a -2%, porta a credere che il debito pubblico possa aumentare di circa 5 punti percentuali, vanificando così tutte le manovre fatte finora. Il sostegno alla modifica del funzionamento della BCE deve diventare una priorità politica, sostenuta da tutte le forze di centro destra e centro sinistra, poiché se essa non può intervenire sui mercati, l’Italia rimarrebbe alla mercé degli speculatori, continuando a peggiorare lo stato della propria finanza pubblica. Non c’è più molto tempo prima che si possa iniziare a parlare seriamente di default del debito italiano. Il verificarsi o no di questa opzione dipende oramai dalla abilità con la quale l’asse Roma-Parigi-Madrid sarà in grado di imporre al resto dell’Europa la riforma dell’istituto guidato da Mario Draghi.