E’ ora che i leader europei capiscano che la favola dell’Ue solidale è finita

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E’ ora che i leader europei capiscano che la favola dell’Ue solidale è finita

E’ ora che i leader europei capiscano che la favola dell’Ue solidale è finita

26 Giugno 2012

La giornata di ieri è stata utile per capire finalmente chi è la cancelliera Angela Merkel, la sua Germania e il destino economico dell’Europa. E dovrebbe essere servita a tutti gli altri leader europei, se hanno saputo interpretare bene il messaggio, per capire come esista un solo modo per salvare il resto dell’Europa dal baratro: staccarsi al più presto dalla politica tedesca. La posizione di netta contrarietà agli Eurobond e all’integrazione del debito espressa dalla Merkel, unità alla ostinata, quanto assurda, richiesta di stringere ancora di più le viti del rigore economico e fiscale suona come una sfida aperta lanciata all’Europa, un atto di arroganza che nasce dalla consapevolezza di essere in una posizione di forza davanti ad altri paesi in questo momento economicamente e politicamente deboli. E’ necessario saper leggere i corsi e i ricorsi storici.

Da molto tempo l’Europa occidentale sta chiedendosi se la volontà di creare un Europa unita fosse, da parte di Berlino, una strategia di lungo termine che nulla avesse a che fare con i principi di solidarietà e di valori comuni espressi palesemente nei trattati europei, ma che fosse invece una scelta politica per garantirsi in un primo momento la pace europea, soprattutto con Francia e Inghilterra, necessaria per ricostruire un paese devastato dalla guerra, e, in un secondo tempo, riprendere quella egemonia in campo politico ed economico cui la Germania ha sempre mirato negli ultimi secoli. Con il senno di poi, si è finalmente capito che le regole fiscali e monetarie scritte nel 1992 sono state pensate esattamente su misura per l’economia tedesca. Ed ora, Berlino sta cogliendo i frutti di questa strategia vittoriosa, poiché la sua economia ha risolto tutti i problemi strutturali, anche per effetto del crollo economico dei sui rivali europei.

Siamo davvero convinti che una nazione che affonda le proprie radici nella filosofia del superuomo di Nietzche e nell’idea del super-stato di Hegel, che ha portato ad aspirazioni totalitarie quali il pangermanesimo sia diventata improvvisamente solidale ed aperta al resto d’Europa? La Germania, dopo tutto, non può essere definita a tutti gli effetti un paese "occidentale", dal momento che è culturalmente ed economicamente connaturata nella visione socialdemocratica e nell’economia di mercato sociale, molto vicina, anche per semplici motivazioni geografiche, alle economie pianificate dell’Est europeo. Le idee liberali che invece costituiscono il tessuto di paesi quali la Francia e l’Inghilterra, frutto delle rivoluzioni del Settecento e dell’Ottocento, in Germania non hanno mai trovato spazio e sono state sempre osteggiate, sin da quando la scuola degli economisti tedeschi dell’Ottocento, da von Schmoller a Wagner ha propugnato, con abili acrobazie semantiche, l’idea che l’equità sociale potesse essere raggiunta attraverso il sistema di tassazione usato come arma per espropriare la classe borghese. Il filone ordoliberista tedesco, che invece era liberale, sviluppatosi a Friburgo nel tentativo di dare una soluzione diversa ai problemi dell’economia, è stato sempre emarginato e attaccato dai cattedratici socialisti, che alla fine sono risultati sempre vincitori. Non fu un caso che uno dei più grandi economisti liberali della storia moderna, Friederick Von Hayek, austriaco, poté esprimere tutto il suo potenziale soltanto alla London School of Economics prima e negli Stati Uniti poi, lontano da quella terra mitteleuropea che tanto lo aveva osteggiato.

Ancora oggi, nelle università tedesche, l’economia che si insegna è quella socialista, non quella del libero mercato. In quelle scuole, con quell’insegnamento, è cresciuta la classe dirigente tedesca attuale, quella che sta imponendo il suo corso all’interno dell’Europa. Deve essere chiaro che il modello che i tedeschi perseguono non è quello del libero mercato, ma quello del socialismo, intriso di dirigismo e di regole stringenti. Non è un caso che il Regno Unito si sia sempre tirato fuori dall’Europa prima e dall’Euro poi ed abbia sempre rifiutato di venire a patti con Berlino. Sapevano gli inglesi, dall’altro della loro raffinata tradizione economica liberale che affonda le sue radici in Smith e Ricardo, che l’assoggettarsi al dirigismo tedesco, monetario e fiscale, si sarebbe tradotto in un successivo quanto inevitabile assoggettamento politico, che avrebbe significato la rinuncia alla propria sovranità di Stato, un concetto che oltremanica non ha mai funzionato e non potrà mai essere accettato.

In questo momento storico caratterizzato dalla crisi d’identità degli stati sovrani, dove l’Europa si sta nuovamente spaccando, e di fatto è già spaccata, su due fronti, è bene che gli uomini di governo si interroghino su quale sia la strada da scegliere e su quali alleanze è bene puntare. L’egemonia della Germania sta emergendo in tutta la sua potenza. Da questa, finora, soltanto gli inglesi hanno voluto sottrarsi. Il rifiuto di Cameron di voler scendere a patti sulla Tobin tax, una artificiosa forma di prelievo che potrebbe comportare la perdita di investimenti nell’area europea, è un esempio di questa libertà.

Hollande è stato eletto dai cittadini francesi non tanto perché è un francese qualunque, come ha avuto modo di definirsi, ma perché ha fatto capire chiaramente che vuole farsi il leader di una nuova, possibile coalizione europea che vada contro Berlino. Ha strizzato l’occhiolino all’Italia e a Madrid, cosciente che solamente se l’Europa occidentale saprà coalizzarsi avrà il potere di andare a negoziare con la Germania delle regole che questa volta siano studiate su misura delle vere esigenze dell’economia europea. Di una politica monetaria più flessibile, che dia quella sicurezza di liquidità ai mercati finanziari che oggi manca. Di una politica fiscale che miri al controllo dei conti, ma che consideri al primo posto le politiche di liberalizzazione e di concorrenza, delle basse tasse e della bassa spesa pubblica. Che si raggiungeranno nel tempo, non domani, come vuole Berlino.

Nel prossimo vertice europeo questo contrasto emergerà ancora di più nella sua gravità. E’ bene quindi che i leader europei ci vadano preparati, coscienti che la favola dell’Europa solidale in questo momento è svanita nel nulla, e che uno scontro acceso è una opzione possibile. Ancora una volta, come è sempre successo nella storia europea, scegliere gli alleati giusti si rivelerà un fattore decisivo.