E’ ora che la politica intervenga sulla legge 194

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E’ ora che la politica intervenga sulla legge 194

31 Agosto 2007

Non desidero, con questo mio commento, aggiungere altre parole sullo specifico caso di Milano che ha coinvolto due genitori e le loro due figlie. Una assassinata scientemente, l’altra per riequilibrare il piatto di una tragica bilancia della vita e della morte. E’ talmente incommensurabile il dolore che si può celare in un padre e in una madre dietro un simile duplice omicidio, che nessuno di noi, da spettatore esterno, può capirne realmente la portata e permettersi di entrare in merito alla faccenda. Eppure è come se qualcuno ci volesse costringere a tenere viva l’attenzione su un argomento che, altrimenti, continuerebbe silenziosamente ad uccidere: i dati parlano di una media di 130.000 morti l’anno, cifra spaventosa ma nemmeno realistica, perché al netto delle numerose interruzioni di gravidanza clandestine.

E così, pochi mesi dopo il caso del bambino assassinato a Firenze perché gli era stata diagnosticata una malformazione all’esofago che in realtà non aveva, dobbiamo ancora confrontare le argomentazioni della nostra fede e della nostra ragione con chi nelle stanze dei partiti o delle associazioni  si ritiene unico degno portabandiera delle lotte a difesa dei più deboli ed oppressi (a patto che se ne stiano a qualche chilometro di distanza…) o si batte affinché “nessuno tocchi Caino”; ma poi, per salvaguardare la cieca ideologia che sostiene da anni il loro agire, accetta di sopprimere non solo Caino ma anche Abele pugnalando entrambi alle spalle, alla faccia dei deboli e degli indifesi.

E mi vengono davvero i brividi, quando un medico (che dovrebbe conoscere il giuramento di Ippocrate: “…giuro di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; giuro di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze…”) parla di colorazione del feto, proprio come si fa per le vacche da macello, onde evitare errori come quelli del San Paolo di Milano. In simili circostanze, la Chiesa e le associazioni per la tutela della vita chiaramente non possono che cogliere l’occasione per reclamare a gran voce quantomeno una revisione della legge 194, che dal 1978 ha ucciso oltre quattro milioni di italiani.

Io, nonostante non abbia remore a parlare di “strage degli innocenti”, mi batterei quantomeno per una seria applicazione della stessa. La legge potrebbe anche non essere cambiata, ma la battaglia va sferrata nei confronti dei troppi silenzi e delle ipocrisie che, grazie alla famosa regola del “piano inclinato”, hanno permesso di trasformare una legge che nelle intenzioni avrebbe potuto garantire maggiori diritti di scelta a donne coinvolte in casi limite, in un vero e proprio strumento di regolazione delle nascite utile ai propri desideri o aspettative. Una moderna rupe tarpea, avallata da medici senza scrupoli e volta a favorire una maternità che non è più amorevole accoglienza ma realizzazione, in tempi e modi ben stabiliti, di una voglia personale. Eppure fin dall’articolo 1 sembrerebbe così chiara la volontà del legislatore: “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.

E chi si prende cura di verificare la corretta applicazione delle “clausole finalizzate a rimuovere gli ostacoli che inducono ad abortire” come indicato negli articoli 2 e 5? L’articolo 6 specifica in forma più che chiara che l’aborto viene consentito “quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna o quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” Ed infine, l’articolo 7 che puntualizza “quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a dell’articolo 6 (pericolo di vita per la donna) e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”.

La legge c’è. Ma andrebbe applicata per davvero. Il problema della nostra società è quello che si ripete anche oggi (vedi “pacs/dico” o caso Welby): riuscire ad aprire anche solo un buchino nel muro, certi che col tempo ci passerà anche un vagone ferroviario. E così è stato anche per l’aborto: un “extrema ratio” divenuta oggi una normalità al servizio di una cultura fortemente egoistica, che esalta la perfezione fisica ed è invece soppressiva nei confronti della disabilità e della malattia. Se Beethoven non fosse stato sordo, o Leopardi gobbo, avrebbero prodotto i capolavori di cui sono stati capaci? E sono solo fantasie le numerose testimonianze di genitori con figli disabili che affermano di avere ricevuto in cambio da questi delle gioie e soddisfazioni indicibili? Ci si preoccupa del contenitore, ma mai del contenuto. Sarebbe il caso di iniziare a pensare a cosa mettiamo “dentro” i nostri figli, piuttosto che pianificarne attentamente le fattezze esteriori.

E non mi soffermo nemmeno sul problema degli aborti clandestini (specie di extracomunitari) e sui controlli che le forze dell’ordine, impegnate magari in un campo di calcio…., non riescono ad attuare in cliniche degli orrori come la romana “Villa Gina” che è ancora nelle menti di tutti noi. Forse si parla troppo di questa legge senza sapere di che parla veramente, e senza conoscere da quale conteso completamente diverso dall’attuale essa proviene. E’ importante ricordare che la legge nacque accompagnata sulle ali di alcuni fenomeni che avvennero negli anni ’70 e che toccarono emotivamente l’opinione pubblica.

A Seveso, in provincia di Milano, nel luglio 1976 vi fu il disastro ecologico della nube di diossina fuoriuscita dall’azienda Icmesa che interessò una vasta area della Brianza, suscitando il non infondato sospetto che le inalazioni di tale sostanza avrebbero potuto portare gravi danni ai feti delle donne in stato di gravidanza. Quindi, l’aborto avrebbe potuto evitare delle nascite gravemente penalizzate da quella tragedia. Inoltre, quelli erano gli anni in cui si stava sviluppando un profondo cambiamento della società non solo in Italia ma nell’intero mondo occidentale: l’attesa del “mondo nuovo” liberato da costrizioni ed ingiustizie, le ribellioni comportamentali giovanili e le occupazioni universitarie, le lotte e gli scioperi nelle fabbriche, l’autodeterminazione delle donne, l’utopia della rivoluzione comunista. Pur riconoscendo molte positività nel fermento culturale di quegli anni, l’ideologia colpì ogni comportamento e lo elevò ad atto morale e legittima espressione di una nuova “way of life”.L’onda lunga del sessantotto si presentò quindi come una rivoluzione culturale che incise sul costume, sui comportamenti sociali e sulla politica di quegli anni. Aldo Moro, in un consiglio nazionale della DC del 1975 ebbe a dire: “La ritrovata natura popolare del partito induce a chiudere nel riserbo delle coscienze alcune valutazioni rigorose, alcune posizioni di principio che sono proprie della nostra esperienza in una fase diversa della vita sociale, ma che fanno ostacolo alla facilità di contatto con le masse e alla cooperazione politica.Vi sono cose che, appunto, la moderna coscienza pubblica attribuisce alla sfera privata e rifiuta siano regolate dalla legislazione e oggetto di intervento dello Stato. Prevarranno dunque la duttilità e la tolleranza”.

Era l’inizio della fine. Nel 1976 il governo Andreotti autorizzò in via straordinaria aborti eugenetici per le donne colpite dalla nube tossica di Severo, e il 12 maggio 1978 la 194 venne approvata, con giubilo di socialisti, comunisti e altre componenti parlamentari di ispirazione marxista. Ma anche con l’appoggio di partiti laici (PLI, PRI) e soprattutto con quella frangia di ministri della DC (Gozzini, Anselmi, Pandolfi…) che oggi ha i suoi successori nei cattocomunisti militanti nel nascente Partito Democratico. Altri due democratici cristiani che avrebbero potuto porre degli ostacoli all’approvazione della legge, il premier Andreotti ed il capo dello Stato Leone, per paura o attaccamento al potere, lasciarono che le cose proseguissero sulla strada intrapresa. Solo nel 2003, Andreotti dichiarò che “oggi preferirei dimettermi, che controfirmare quella legge”. Meglio tardi che mai.

Oggi, il dibattito politico sul tema è piuttosto confuso. Trovare le contraddizioni e le storture ideologiche rappresentate dalla coalizione di centrosinistra è un gioco da bambini. Ma il centrodestra, che di certi valori dovrebbe esserne garante, cosa fa? L’ex presidente del Senato Pera, appoggiando Benedetto XVI non ebbe timore nel ritenere “non negoziabili i valori che sono alla base della nostra civiltà: la dignità della persona, la sacralità della vita, la libertà di espressione, la parità tra uomo e donna. Sono valori che “storicamente” derivano dalla nostra appartenenza alla tradizione greco-romana e giudaico-cristiana ma che ormai sono universali e razionalmente indiscutibili”. Stefania Prestigiacomo (Forza Italia, proprio come Pera) a “Radio24” si scagliava ieri contro chi utilizzava il termine “eugenetica” trattando il caso di Milano, e difendeva a gran voce la libertà della donna nel poter decidere come e quando partorire. Sembrava davvero di sentire parlare la Bonino o la Menapace.

Mi permetto di dare un consiglio a Berlusconi: so che in Italia si tratta di una vera impresa, ma prima di decidere nomi o generali per la battaglia, cerchiamo di capire su quale campo vogliamo combatterla. Si faccia anche qualche nemico: lei ha già un piede nella storia per come ha innovato la politica dal 1994 ad oggi, ci entri a pieno titolo anche per aver preso posizioni nette e coraggiose. Di piacioni buoni per tutti e utili per nulla ne è già pieno il PD. Lasciamoli dove sono e non cloniamoli per la destra che verrà.