“E’ ora di bloccare l’Iran nucleare”

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“E’ ora di bloccare l’Iran nucleare”

30 Novembre 2007

Intervista a Ely Karmon

“E’ l’alleanza tra Iran, Siria, Hezbollah e Hamas la minaccia più grande, e non solo per l’Occidente e Israele”, spiega Ely Karmon, grande analista, Senior Fellow all’Institute for Counter-Terrorism (ICT) di Herzlyia in Israele. A Roma per il convegno  sul jihadismo globale organizzato dal Centro Alti Studi per la Difesa e la Violenza politica (Ceas), in collaborazione con la Link Campus University, Karmon esprime tutta la sua preoccupazione per la forza crescente di questa alleanza e per le gravi conseguenze sugli sviluppi internazionali di un Iran dotato di armamenti nucleari.

Che ruolo ha avuto finora l’alleanza tra Iran, Siria, Hezbollah e Hamas in Medio Oriente?
Negli ultimi 25 anni, quest’alleanza è riuscita a destabilizzare il Medio Oriente più di Al Qaeda e degli altri gruppi jihadisti sunniti, perché a differenza di questi ultimi ha ottenuto vittorie strategiche di grande importanza, e in un certo senso anche con l’appoggio involontario degli Stati Uniti. Dopo l’11 settembre, con la caduta del regime talebano in Afghanistan e di Saddam Hussein in Iraq, sono venuti meno due nemici storici dell’Iran. Agli ayatollah, in tal modo, si è aperta la strada verso l’Asia Centrale e soprattutto verso Baghdad. Hanno infatti messo le mani sull’Iraq attraverso i due principali partiti sciiti iracheni, alleati del regime khomenista fin dagli anni ’80. Questi partiti con Hezbollah organizzarono attentati contro americani, francesi e sauditi e ora siedono nelle stanze del potere dell’Iraq liberato da Saddam.

Hezbollah con l’appoggio della Siria ha creato in Libano uno stato nello stato. Abbiamo visto di cosa è capace militarmente nella guerra contro Israele e passo dopo passo si sta sempre più avvicinando alla conquista del potere centrale, per quanto de facto ha già il controllo del sud del paese. Non è detto che non riesca nei suoi intenti ed arrivare al governo, come già Hamas a Gaza: il decorso della crisi libanese sta giocando a suo favore. 

L’alleanza tra Iran, Siria, Hezbollah e Hamas è anche colpevole di aver sabotato il processo di pace tra israeliani e palestinesi, sia negli anni ’90, con la seconda intifada di Hamas e del Jihad islamico, che successivamente ai tempi della road map. Basti pensare che negli ultimi due anni della seconda intifada il 60-65 per cento degli attentati in Israele sono stati finanziati da Hezbollah. E anche in questa fase con Hamas sta cercando di portare scompiglio in Cisgiordania, dove Fatah non riesce ad avere il pieno controllo del territorio.

Non si tratta, tuttavia, di un’alleanza sui generis, tra componenti profondamente diversi tra loro?
È un’alleanza contro natura. Iran e Siria, ad esempio, dovrebbero essere nemici naturali. Un paese teocratico sciita alleato con un regime baathista, socialista e la grande maggioranza della popolazione sunnita. La Siria, poi, non dovrebbe essere alleata di Hamas che è costola dei Fratelli Musulmani egiziani nei territori palestinesi. Damasco è sempre stata in cattivi rapporti con la fratellanza siriana. Hafez Assad ne fece uccidere oltre 20 mila esponenti. Hamas, da par suo, non ha mai accettato la dottrina di Khomeini; eppure, è uno stretto alleato di Teheran.

Malgrado l’eterogeneità, si tratta di un’alleanza fortissima, imbevuta di radicalismo, che ha il suo collante nel fatto che Iran, Siria, Hezbollah e Hamas hanno gli stessi nemici: l’Occidente incarnato dagli Stati Uniti, Israele e gli ebrei.

Che scenari si prospettano nel caso di un Iran dotato di armamenti nucleari?
La leadership iraniana non cederà di un millimetro dai suoi propositi; grazie al petrolio può usufruire di grande risorse e ha un’industria militare molto avanzata che si avvia verso il nucleare. L’Iran ha accresciuto la sua potenza nel Golfo e con l’ultima guerra in Libano ha intaccato notevolmente la capacità dissuasiva d’Israele. Con il nucleare, Teheran riprenderà anzitutto la destabilizzazione dell’Iraq. A Baghdad, gli sciiti adesso se ne stanno tranquilli perché gli Stati Uniti stanno finalmente venendo a capo dell’insurrezione sunnita, ma quando questa verrà definitivamente domata torneranno ad attaccare le truppe americane. Con l’ombrello nucleare, ne uscirebbero ampiamente alterati anche gli equilibri nel Golfo. Se oggi i rapporti tra Iran e Arabia Saudita sono improntati alla correttezza, la minaccia nucleare iraniana riporterebbe le relazioni tra i due paesi indietro agli anni ’80, al massimo della tensione. Non dimentichiamo che le aree maggiormente ricche di petrolio in Arabia Saudita sono popolate da sciiti che costituiscono il 15 per cento della popolazione e in passato si sono già ribellati contro  la monarchia.

E ancora, la proiezione iraniana si spingerebbe oltre, in Asia Centrale fino al Caucaso. Teheran finora non è intervenuta in Cecenia, Uzbekistan e Azerbaigian (paese sciita), per non entrare in rotta di collisione con la Russia che si è fatta garante del suo programma nucleare. Ma una volta ottenuta la bomba, gli iraniani potranno anche liberarsi della tutela russa e intervenire a favore delle popolazioni musulmane dell’Asia Centrale e del Caucaso, andando a colpire gli interessi di Mosca.

Ci sono poi altri conflitti, a torto considerati minori e che l’Occidente tende a ignorare, come quelli tra sunniti e sciiti in Pakistan, dove i rapporti sono molto tesi, sempre a rischio di escalation.

Tutto ciò fa della questione nucleare iraniana il nodo cruciale da risolvere.

In questo quadro come s’inserisce la conferenza di Annapolis?
Uno degli obiettivi principali della conferenza è stato quello di mettere insieme un fronte sunnita composto dai paesi arabi moderati al fine d’isolare l’Iran attraverso l’intesa tra israeliani e palestinesi su un principio di soluzione del loro conflitto, sebbene questo processo sia molto difficile da portare a compimento. In quest’ottica, la partecipazione della Siria è la novità più importante. Damasco non ha mai avuto davvero interesse a rappacificarsi con Israele. L’idea della Grande Siria, comprendente non solo il Libano ma l’intera Palestina, è sempre stata molto forte. Ma la situazione è cambiata con la recente distruzione dell’installazione nucleare in territorio siriano ad opera dell’aviazione israeliana. L’accaduto ha dimostrato che la Siria nascondeva qualcosa di portata micidiale, tanto è vero che nessuno, né gli arabi né gli europei, ha condannato l’azione israeliana e gli Stati Uniti hanno dato il loro sostegno. I siriani si sono sentiti realmente minacciati e hanno un fatto un passo in avanti verso Israele anche in considerazione di un possibile e futuro scontro tra Iran e Stati Uniti: per Damasco si pone il problema di stare dalla parte del vincitore.

La Siria, inoltre, è la chiave per fermare l’appoggio militare a Hezbollah e ai palestinesi radicali; tutti gli oppositori di Fatah fanno base a Damasco, mentre i campi di addestramento dei terroristi si trovano in Siria o in Libano.

Come si risolve il problema di Hamas nella Striscia di Gaza?
Hamas vuole sabotare il processo di pace. E’ entrata in possesso di armi sempre più sofisticate e micidiali ed ha raggiunto un livello di organizzazione militare più avanzato: non si parla più di cellule terroristiche ma, sull’esempio di Hezbollah, sta strutturando un vero e proprio esercito con compagnie, battaglioni e perfino un reggimento. Hamas non intende rinunciare alla lotta armata e con i katiuscia e i qassam continua ad attaccare città israeliane come Sderot e Ashkelon. Pertanto, con ogni probabilità, non appena si verificherà un nuovo grave attentato o un nuovo lancio di missili, assisteremo all’ingresso dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Credo non ci siano alternative. La tensione continua a crescere e a un certo punto scoppierà la crisi, come è accaduto nel sud del Libano con Hezbollah. La cosa più urgente da fare, è chiudere ermeticamente la frontiera con l’Egitto, per contrastare il contrabbando di armi e fermare il flusso di terroristi che oltrepassano la frontiera per recarsi dall’Egitto nei campi di addestramento in Iran e Libano. Se si verifica tutto ciò, è evidente che le responsabilità ricadono sul governo egiziano. 

E l’Europa?
In Europa c’è un inizio di cambiamento. Si sta diffondendo una maggiore consapevolezza della minaccia jihadista: ne sono la prova le disposizioni in materia di antiterrorismo che sono state prese dall’Unione dopo gli attentati di Madrid e Londra. I continui arresti di terroristi in procinto di preparare attentati indicano una maggiore attenzione verso il fenomeno. L’opinione pubblica europea tende ancora a rifiutare il fatto inequivocabile che la vede ormai pienamente investita dall’insicurezza generata dalla conflittualità mediorientale, ma pian piano sta prendendo coscienza della realtà. La Francia, in particolare, ha fatto un notevole passo in avanti con la posizione intransigente presa da Sarkozy verso le ambizioni nucleari iraniane. In quest’ottica, se la Germania ancora stenta, è l’Italia a registrare il maggiore ritardo. Tuttavia, sono convinto che nel momento in cui l’Europa dovesse intensificare la pressione contro l’Iran, sia con le sanzioni o in caso d’intervento americano, l’Italia allineerà le sue posizioni a quelle degli alleati.