E’ ora di decidere se in Italia governa chi viene scelto dagli elettori o i giudici
11 Novembre 2009
Riforme, partito, coinquilini e alleati, regionali. Si snoda su questi temi l’analisi di Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori del Pdl che sulla giustizia rilancia ciò che considera il vero nodo: stabilire, una volta per tutte, se la guida del Paese la decidono gli elettori democraticamente oppure se a decidere sono i custodi dell’ordine giudiziario.
Senatore Quagliariello, partiamo dal caso Cosentino: i magistrati di Napoli chiedono l’arresto del sottosegretario all’Economia, coordinatore regionale del Pdl e candidato in pectore alla poltrona di Bassolino. Fini la considera un’opzione “poco opportuna”; altri nel Pdl, tra i quali lei, hanno sempre tenuto ferma la barra sul dna garantista del partito. Adesso il suo quadro di valutazione cambia?
Ho sempre considerato la battaglia garantista indipendente dal problema della candidatura. Da un canto, c’è il fatto che non sia possibile tenere un uomo politico sulla graticola per un anno e mezzo e anche più, rifiutando di ascoltarlo e senza che lui stesso sappia qual è la sua situazione giudiziaria. Dopo tutto questo tempo, un provvedimento di custodia cautelare è quantomeno sospetto: se c’erano i requisiti previsti dal codice, pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato, come e perché far passare tutto questo tempo? E’ assurdo poi sentir parlare come se fosse stata emessa una sentenza di condanna. Dall’altro canto, anche prima di questo provvedimento la questione della candidatura imponeva al partito di compiere scelte ispirate alla responsabilità, senza confondere una campagna garantista con una competizione elettorale. Va da sé che questo processo, un partito serio lo compie nelle sedi opportune e non sui giornali, tantomeno utilizzando il fuoco amico.
Berlusconi vuole sottoporre ai parlamentari un documento per verificare chi sui temi della giustizia sta con lui o contro di lui. Fini ha detto che non firmerà nulla e che gli autografi non si chiedono ai parlamentari, semmai a Sting. Siamo al redde rationem?
Sulla giustizia il nostro approccio deve essere politico, senza sotterfugi e tantomeno furbizie. La stagione berlusconiana è iniziata all’indomani della fine del comunismo, quando gli eredi di quella terribile pagina di storia pensavano di potersi impunemente candidare a gestire i danni che, anche in Italia, avevano compiuto. Abituati a fagocitare tutto, avrebbero voluto approfittare anche di un muro che in realtà gli era caduto sulla testa. Berlusconi è giunto a rompere le uova nel paniere e ad evitare ciò che a un certo punto sembrava inevitabile. Da qui l’odio nei suoi confronti, da qui la sua presunta illegittimità e la volontà di farlo fuori attraverso una sentenza di tribunale, moderno strumento della rivoluzione. Questo intendimento è stato portato avanti da piccole minoranze di magistrati militanti, mentre la gran parte ha continuato a svolgere il suo mestiere in condizioni materiali spesso disagiate. Altri, in politica, hanno lasciato che ciò accadesse sperando di lucrarvi sopra. Questa situazione ha reso di fatto in Italia l’esercizio del potere illegittimo e ha impedito che quel processo di modernizzazione del sistema politico che ha ormai interessato anche i paesi ex comunisti, si consolidasse. In più occasioni è sembrato che eravamo sul punto di farcela ma poi il pendolo è sempre tornato indietro. E’ su questo che bisogna intervenire, e dopo la bocciatura del lodo Alfano diventa urgente.
Sta glissando su Fini.
Se il processo deve essere politico, il problema non è la firma di un documento. Indipendentemente da esso ci assumeremo tutte le responsabilità politiche delle nostre richieste, a volto scoperto. Il problema, semmai, è quello di immaginare una legge che riesca a garantire la non politicizzazione dei processi, che risponda a quei principi garantistici richiesti dall’Europa e che porti il verdetto della sovranità popolare e l’autonomia dell’ordine giudiziario a non entrare in collisione. E poi, semmai, il problema è quello di completare la riforma della giustizia per la quale ci siamo impegnati da troppo tempo con i cittadini. Su questi documenti di riforma parlamentare sarebbe bello raccogliere le firme degli eletti del Pdl, alla Camera e al Senato. Ma questa, se si deciderà in tal senso, è l’unica firma che verrà richiesta. Una firma carica di significato politico e per questo molto diversa dall’autografo di un cantautore.
Come legge l’incontro di ieri tra Berlusconi e il presidente della Camera?
E’ stato un passaggio come un altro, non mi sembra che ad esso vada attribuita tutta la centralità che invece ha avuto dai giornali. Le scelte, in ultima istanza, verranno compiute nell’ambito degli organi istituzionali del partito.
Ma l’ipotesi di voto anticipato è verosimile?
E’ verosimile ma non auspicabile. Il voto non scioglierebbe nessuno dei nodi che aggrovigliano la matassa del sistema politico e porrebbe di fatto il cittadino a scegliere tra il rispetto del proprio verdetto e le corti di giustizia. Quando questo avviene si creano nel Paese lacerazioni tali che, qualunque sia il verdetto finale, hanno bisogno di anni e anni per essere ricucite.
Il presidente della Camera sente aria di caserma nel Pdl e di questo si lamenta. E’ così?
Ho di fronte a me l’esperienza del gruppo parlamentare al Senato. Era difficile immaginare un esperimento che potesse compiersi ancor di più nel nome della franchezza, della libertà di critica e della libertà di espressione. Con rispetto per Fini, ritengo che la sua sia una critica quanto meno ingenerosa, che forse deriva dal fatto di essere lontano, per ragioni istituzionali, dalla vita del partito. Gli organi statutari si riuniscono già regolarmente a livello nazionale e iniziano a farlo anche a livello locale, e il dibattito è corroborato anche dall’attività di tante fondazioni – tra queste Farefuturo – che non mi sembrano trattenere la lingua o mostrare eccessiva prudenza. Al Pdl possono essere imputati ancora ritardi organizzativi, ma non certamente la volontà di formare le posizioni e di reprimere il dissenso. A costo di essere frainteso, se penso ad esempio a quello che accade in Sicilia, ho l’impressione che di libertà qualche volta ce ne sia anche troppa…
C’è chi sostiene che nel Pdl il vero problema è proprio Fini. Lei che ne pensa?
Non sono d’accordo. Continuo a ritenere Fini una risorsa per il Pdl e una persona con alle spalle un percorso che ha un valore storico: quello di aver traghettato un partito antisistema, che seppure indirettamente si rifaceva a uno dei totalitarismi del Novecento, e di averlo fatto diventare fino in fondo e senza remore un protagonista della vita democratica. Molti tra noi, fra i quali il sottoscritto, in politica devono ancora dimostrare di saper combinare qualcosa, figuriamoci se possono ritenere che sia un problema chi ha conseguito un risultato così importante.
Sulla giustizia Fini ha forti riserve sulla prescrizione breve, ipotesi alla quale stanno lavorando i tecnici del Pdl per "scudare" il premier dai processi che dovrà affrontare. Come pensate di risolvere la questione?
Ripeto: giunti a questa fase della vicenda, il problema è innanzitutto politico. Si deve decidere se il governo può andare avanti operando con la stessa efficacia che ha caratterizzato la sua azione in questo primo anno e mezzo oppure se il conflitto tra sovranità popolare e giustizia deve rinascere. Mi auguro che Fini sia per la prima tesi. Poi, questa tesi si deve inverare in soluzioni di tipo tecnico ed è giusto ricercare la soluzione migliore. Ma alla fine, è l’esigenza politica che deve prevalere, sennò, per ricercare il meglio possibile, si finirebbe per fare un danno incommensurabile al centrodestra e, quel che è più importante, si provocherebbe un danno incommensurabile al Paese.
Berlusconi accelera sulla giustizia, eppure finora il quadro delle proposte in campo appare piuttosto confuso. Può fare chiarezza? Quali sono i provvedimenti già in Parlamento? In Senato state per presentare un ddl sulla riduzione dei tempi dei processi.
Abbiamo già approvato la riforma del processo civile che abbrevierà i tempi facendo in modo che non sia più sconveniente rivolgersi al giudice anche quando si ha ragione. E’ a buon punto la riforma del processo penale e in commissione al Senato c’è anche un’altra riforma storica, quella che riguarda la professione forense. Dobbiamo poi presentare una riforma che garantisca la depoliticizzazione del Csm agendo sui suoi meccanismi di elezione. E infine, una riforma costituzionale che assicuri la terzietà del giudice senza la quale anche alcune importanti riforme introdotte nell’ultimo decennio (penso al giusto processo) perdono gran parte della loro carica riformatrice.
Se ne dovesse indicare uno, qual è il vero nodo giustizia?
Lo indicherei nel combinato disposto tra obbligatorietà dell’azione penale e collegamento tra pm e polizia giudiziaria. E’ questa dinamica che, nei fatti, trasforma troppo spesso la giustizia in arbitrio.
Rapporti con l’opposizione. Cosa vi aspettate da Bersani e quali segnali avete finora ricevuto dal Pd?
Se Bersani tenesse fede alla sua tradizione "togliattiana" capirebbe che è interesse anche dell’opposizione stabilizzare il sistema. D’altra parte in questi ultimi 15 anni la giustizia è stato un problema non solo per i governi del centrodestra, basti pensare alla fine di Prodi. I primi segnali non sono positivi, ho paura che Bersani non ce la faccia a lasciare al solo Di Pietro il monopolio del giustizialismo. Si illude di poter annacquare la carica eversiva di Di Pietro in una coalizione più ampia senza comprendere che questa, prima o poi, si rivolgerà anche contro il grande partito di cui è diventato segretario.
E da Casini cosa vi aspettate? In fondo il faccia a faccia con Berlusconi per ora non ha prodotto granché.
Sarebbe stato ingiusto se avesse prodotto di più. Con Casini dobbiamo porci su un terreno di assoluta lealtà e confessarci reciprocamente cosa ci divide e cosa ci unisce. Ci divide la concezione del sistema politico: noi vorremmo un bipolarismo tendente al bipartitismo; loro, invece, vorrebbero un bipolarismo sempre più scolorito tendente a riproporre le vecchie logiche di coalizione. Ci unisce la comune appartenenza al popolarismo europeo, molti principi sui temi eticamente sensibili, il garantismo e, in fondo, anche una concezione dei problemi economici non troppo distante. Non è poco. Con pazienza, dovremmo fare in modo che ciò che ci unisce prevalga e per questo dovremmo trovare soluzioni anche su ciò che ci divide, che ci portino entrambi ad abbandonare la purezza delle nostre reciproche concezioni istituzionali, senza però che nessuno dei due venga del tutto smentito. Sarò più chiaro…
Prego.
Se vogliamo trovare un’intesa noi dovremmo rinunziare al bipartitismo rigido, loro dovranno accettare il bipolarismo e il fatto che al centro ci siano gli elettori moderati, non i partiti.
Riforme istituzionali, qual è la road map?
Ora c’è una priorità che è quella di completare la riforma della giustizia. Contemporaneamente, penso che dobbiamo far partire dal Parlamento e dalle specifiche Commissioni altri due progetti di legge costituzionali: uno sulla forma di governo che preveda l’elezione diretta o del premier o del presidente della Repubblica. Personalmente, sarei più per questa seconda formula. L’altro progetto di legge dovrebbe riformare il bicameralismo e riuscire a risolvere in modo soddisfacente ciò che a mio avviso è il punto debole delle proposte fin qui presentate.
Cioè?
Il processo legislativo. Tutte le forme del bicameralismo fino ad ora messe su carta avrebbero avuto l’effetto di complicare anziché rendere più agevole il processo legislativo, con la conseguenza probabile di incidere sui meccanismi di spesa e quindi produrre costi, debito.
Nell’intervista a Fabio Fazio il presidente della Camera ha detto che i diritti civili non devono essere materia di una sola parte e che su questo una destra moderna deve svegliarsi ribadendo la sua posizione su cittadinanza, biotestamento e laicità delle istituzioni. Pdl diviso?
Sono convinto che i temi che Fini evoca siano effettivamente centrali. Penso anche però che svegliarsi non voglia dire accettare le posizioni più progressiste e più à la page. Il problema non è quello di essere più a sinistra, ma di comprendere come la società è cambiata nel Ventunesimo secolo, quali sono le nuove sfide e proporre soluzioni adeguate senza avere il complesso che queste soluzioni qualche volta possano apparire, a un’analisi superficiale, retrograde. Lo dico con una formula provocatoria: a differenza del Novecento, il XXI secolo mi sembra sia un secolo di destra.
Faccia un esempio.
Faccio proprio l’esempio della cittadinanza. Se noi consideriamo il tema in maniera ideologica e astratta, svegliarsi può voler dire concedere la cittadinanza in tempi più brevi, magari dopo cinque anni. Se noi invece consideriamo qual è la nuova immigrazione, e che questa è molto meno stanziale di quella passata e molto meno propensa ad entrare in quel corpo collettivo che si chiama nazione, allora svegliarsi può voler dire rendere più agevole l’ottenimento del rinnovo dei permessi di soggiorno senza far derivare da ciò la concessione della cittadinanza che potrebbe implicare, sul lungo periodo, il venire meno di quei vincoli di carattere culturale-psicologico indispensabili a che una nazione continui a esistere.
Ha letto il libro di Fini?
Non ancora.
Lo leggerà?
Ho appena finito di leggere la biografia di Almirante scritta da Vincenzo La Russa, il fratello di Ignazio. Non vorrei diventare monotematico!
Regionali. Bossi considera assegnate alla Lega Veneto e Piemonte. Giochi già chiusi?
Non è ancora così. Queste sono le legittime richieste della Lega. Vedremo come potranno comporsi con il quadro generale delle opportunità e con le possibilità reali dei candidati di diventare presidenti. Non dobbiamo mai perdere di vista che l’obiettivo vero non è quello di avere dei candidati, ma è quello di avere dei presidenti che siano espressione della coalizione che oggi governa il Paese.
Galan non vuole fare passi indietro e minaccia di correre da solo con una lista che potrebbe essere appoggiata da parte del Pdl, Udc e pezzi del Pd. Potete permettervi di correre questo rischio?
Se il Veneto sarà assegnato alla Lega (cosa non ancora stabilita), la prima preoccupazione è che questa situazione non prefiguri una realtà bavarese per la quale presto la Lega assorba gran parte dell’elettorato del Pdl. Sarà necessario perciò, che il nome del governatore sia corredato da quello di un vice e da una serie di garanzie. Se poi dovesse porsi un problema Galan, francamente credo che non sarà difficile trovare il modo di utilizzare al meglio il bagaglio di esperienza e capacità che il presidente uscente ha accumulato nei suoi tre mandati.
Formigoni e i big del partito ripetono che sarà lui il candidato presidente in Lombardia. Ma se è così, che bisogno c’è di ribadirlo ogni giorno? Non pensa che alla fine il vero obiettivo della Lega sia proprio il Pirellone?
Penso che alcuni candidati presidenti da tempo decisi, non sono stati annunziati perché è giusto che le decisioni finali escano da un confronto a tutto campo tra i leader della maggioranza. Ciò ha portato alcune candidature che si sarebbero già potute lanciare in pista a restare per un po’ di tempo nei box. D’altro canto, se non è deciso ancora il Veneto, per lo stesso principio non lo è neppure la Lombardia. In ogni caso, penso che nelle regioni del nord il ticket Pdl-Lega, e viceversa, sia un’ottima soluzione che dà il senso della compattezza della maggioranza. Ho visto che in Piemonte Ghigo e Cota, in questa fase di attesa, hanno deciso di fare manifesti elettorali insieme. Mi è sembrata un’ottima scelta che i cittadini hanno apprezzato e credo che chiunque dei due sarà il candidato, se ne avvantaggerà.
Come valuta la posizione dell’Udc alle regionali? C’è chi legge la corsa in solitaria come un punto a favore del Pdl perché taglia la strada a ipotesi di accordi Udc-Pd, specie in Piemonte e Puglia dove i centristi hanno messo il veto su Bresso e Vendola.
L’Udc si comporta secondo la sua convenienza, fa una politica delle mani libere perché questa non la impegna a questo punto della legislatura. Non credo francamente che sia possibile determinare in anticipo a chi converrà l’eventuale presentazione autonoma delle sue liste. Anche perché voglio vedere, alla fine, quante saranno in realtà queste liste autonome. Le campagne elettorali, specie per le regionali, sono condizionate da troppi elementi. Fare previsioni sulla carta e così in anticipo vuol dire condannarsi a errori certi di previsione.
In Puglia, su incarico di Berlusconi lei ha seguito la fase preliminare per la selezione di una rosa di candidati. Cosa che non è piaciuta a Fitto. Come sono i rapporti tra voi? Stefano Dambruoso è il candidato del Pdl?
Quando ho avuto l’incarico dal premier la prima persona con cui ho parlato è stata per l’appunto il ministro Fitto, che si è detto contento che io svolgessi quel compito. L’ho svolto in contatto con lui, poi ho riferito della ricognizione compiuta ai coordinatori e al presidente Berlusconi. All’interno delle opzioni delineate, la scelta, come era giusto che fosse, è spettata agli organi statutari del partito, e penso che il ministro Fitto abbia avuto voce in capitolo. Anche questo mi è parso del tutto naturale. Non credo dunque che possano esserci problemi politici degni di considerazione e penso che, quando il candidato verrà ufficializzato, servirà l’apporto di tutti per cercare di conseguire un risultato affatto scontato.
Nel Lazio è in pole position la candidatura della Polverini sostenuta da Fini. Cicchitto però ha detto che dopo il caso Marrazzo potrebbe essere valutata anche una candidatura politica e che su questo potrebbe avere effetti la nomina – se accadrà – di D’Alema a ministro degli esteri Ue. Insomma sarà Tajani il candidato presidente del Pdl?
Credo che le cose stiano esattamente come le ha riferite Cicchitto. C’è una variabile e finché questa non si fisserà, è impossibile andare oltre il ragionamento che Cicchitto ha fatto.
In Senato si vota la Finanziaria. Dal ministro Tremonti sono arrivati segnali di apertura su una parziale riduzione dell’Irap. Come procederete?
I segnali di apertura da parte di Tremonti sono stati anche più ampi. Io credo sia importante che dal Senato arrivi un primo segnale forte e non sarebbe male che questo riguardi il sud del quale ci siamo interessati cercando di mettere a fuoco una politica meridionalistica non più sprecona e intenta solo a moltiplicare i finanziamenti a pioggia. Poi, su altri capitoli non meno importanti, si potrà intervenire alla Camera, in seconda lettura, dopo che sarà anche più chiaro il quadro delle risorse che potranno derivare dallo scudo fiscale. Ciò che conta è il risultato finale, e soprattutto che si agisca in modo ordinato e determinato non trasmettendo al Paese quell’effetto di assalto alla diligenza che è stata la cifra di tutte le finanziarie prima di questo governo. Il rapporto più stretto tra Tremonti e il partito, garantito dalla cabina di regia, può servire a questo fine.
E sul taglio delle tasse?
L’ Italia comparativamente è uscita meglio di altri Paesi dalla crisi perché il suo debito è aumentato meno, e per questo il rapporto tra debito pubblico e risparmio privato la pone in una condizione di vantaggio su tante realtà che prima della crisi parevano in una condizione migliore. Dobbiamo consolidare questo risultato e non disperdere quanto è stato fatto sul fronte del risanamento dei conti. Dobbiamo anche considerare come evolverà la crisi: se è vero che la grandinata è finita e cosa serve per gestire i danni provocati e che ora si evidenziano di più. In questo scenario non so se questo è il momento di tagliare le tasse. Resta un obiettivo e un impegno programmatico, ma bisogna farlo scegliendo bene il tempo.
E’ probabile un rimpasto di governo dopo le regionali. Si parla di Gianni Letta vicepremier, i rumors danno Catricalà sottosegretario alla presidenza del Consiglio e le poltrone di alcuni ministri in movimento a seconda di come sarà sciolto il nodo Lombardia e Veneto. E’ così?
Non ne so nulla e mi interessa poco.
Quali sono i punti di debolezza della maggioranza?
Penso che in questa settimana si entri in una fase decisiva per la maggioranza e per la legislatura. E’ inutile parlare in astratto: se saremo in grado di risolvere i danni provocati dalla bocciatura del lodo per le alte cariche dello Stato e dal venire meno di quel principio di leale collaborazione fra gli organi dello Stato da parte della Corte Costituzionale, questa maggioranza avrà superato la prova di maturità. In questa prospettiva è bene, però, che nessuno si crogioli negli allori passati. Siamo stati abituati male, a giocare senza avversari. Ora, dall’altra parte qualcosa c’è, non sarà granchè, sarà un po’ vecchia ma comunque è un punto di riferimento preciso; e tra l’altro non va neppure sottovalutata la capacità di Bersani di tessere alleanze. Anche per questo, è bene che tutti coloro che contano all’interno della maggioranza affrontino questa prova con il massimo senso di responsabilità.