E’ ora di far capire alla Cina il rispetto delle regole

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E’ ora di far capire alla Cina il rispetto delle regole

25 Marzo 2008

Impossibile
distogliere lo sguardo da quanto accade in Tibet: la repressione violenta dei
manifestanti tibetani da parte dei cinesi pone i leader occidentali dinanzi a
una certezza e a un interrogativo.

La
certezza è che la Cina
ha completamente ignorato il sistema di regole (minime) al cui rispetto è
chiamata, e gli eventi di questi giorni ne sono l’ennesima, dolorosa conferma.

L’interrogativo
che immediatamente ne segue è: come comportarsi con la Cina? Quale risposta offrire
al resto del mondo?

Finora
in Occidente, sul capitolo Cina, si è assistito a una clamorosa simultaneità di
registri: una capacità raffinata nel tempo, da un lato, di criticare la Cina in politica, ma,
dall’altro lato, di non azzardare alcuna mossa in economia.

I reportages sulle atrocità di Pechino –
controllo delle nascite, torture, repressioni, ecc ecc.. – non mancano:
puntuali e rigorosi soprattutto quelli di Asia News, del cui fondatore Padre
Bernardo Cervellera consiglio il bellissimo “Missione Cina” (Ed. Ancora).

Ma
perché di questi elementi non si tiene conto quando con la Cina si fanno affari? Per
quale ragione – si dirà – gli scaffali delle librerie sono ricolmi di testi su
etica ed economia se poi, alla resa dei conti, la loro resa pratica è nulla o
quasi?

La
risposta, il più delle volte, è che sarebbe antieconomico rinunciare al lucroso
business con Pechino. La storia – si obietta – è piena di traffici più o meno
intensi con regimi canaglia, e la
Cina è pure membro del GATT/WTO.

Senza
contare, poi, che la situazione attuale costringe gli occidentali a cercare
partner ricchi di liquidità al di fuori del tradizionale bacino di
finanziamento, inaridito dagli eccessi della finanza acrobatica.

Ma, di
fronte a quanto sta accadendo in Tibet, con manifestanti pacifici trucidati
dall’esercito cinese, è francamente orribile che si critichi Pechino sotto il
profilo politico e si continui a farci business senza condizioni.

Alla
base di questo atteggiamento, mi pare, c’è purtroppo un’idea distorta di
progresso. Quella per cui i legami finanziari con la Cina possano da soli riscattare
la Cina dalla
forma politica dittatoriale dove è – saldamente – arroccata. Mi pare tanto una
ripetizione del madornale errore commesso dagli USA sotto la reggenza Clinton.  Gli USA, infatti, ammisero la Cina nel salotto buono del
mercato globale (il WTO) in cambio di semplici “promesse” di buon
comportamento. Pechino queste promesse 
non le ha rispettate, e ora pone enormi problemi agli equilibri
mondiali.

Equilibri,
si noti, economici e politici al tempo stesso. Politici, perché, nell’attuale
frammentazione geopolitica (torna a circolare il paradigma ottocentesco “a
palle di biliardo”) l’isola cinese sta raggiungendo in tempi rapidi una massa
critica talmente pesante da porre in discussione la leadership occidentale, e i
principi che la regolano.

Se non
implode prima, nel 2025 la
Cina sarà la prima potenza mondiale.  Ciò,
a ruota, implicherebbe l’inevitabile migrazione del centro politico del pianeta
da Washington a Pechino, ossia la vittoria del capitalismo autoritario su
quello democratico.

Di
questo scenario non mancano già oggi segnali premonitori, come la conquista
cinese dell’Africa e di parte dell’America latina. Come spiega bene Mauro de
Lorenzo dell’American Enterprise Institute (http://www.aei.org/publications/pubID.25912,filter.all/pub_detail.asp),
l’espansione cinese di regola avviene tramite la stipula di un contratto con
dittatori locali: energia, materie prime, accessi privilegiati al business in
cambio di (i) uno scudo contro le
pressioni democratizzanti, e (ii)
armi e denaro.

Così
stando le cose, rispondere efficacemente alla Cina non è solo una questione
etica – che già non è poco- ma anche una tutela degli equilibri geopolitici.

Come
fare? Mentre è impossibile escludere la
Cina dai mercati – Pechino è ormai “allacciata” troppo
saldamente nel sistema mercatistica pur non condividendone la governance
democratico –  diventa necessario condizionare.

Paradossalmente,
proprio la crisi finanziaria – e la necessità di cercare partner liquidi – può
creare i presupposti per unirsi a investitori “sovrani” che hanno interesse a
creare una Grande Alleanza (come nell’omonimo libro, www.lagrandealleanza.it) per
bilanciare l’espansionismo stabilendo condizioni. E farle rispettare.