E ora il Cavaliere attende sulla riva del fiume
31 Maggio 2007
In piazza, per il momento, il centrodestra ci andrà, ma solo per spronare gli elettori a mettere definitivamente ko la maggioranza di governo in occasione dei ballottaggi. Ci andranno i leader, a cominciare da Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Poi si vedrà. Al termine di un intenso lavoro di diplomazia con gli alleati, senza alzare troppo i toni dello scontro politico, il Cavaliere ha deciso di aspettare sulla riva del fiume, senza regalare alla sinistra in avanzato stato di decomposizione il pretesto per ricompattarsi contro il “nemico” in nome della conservazione del potere. Non prima del ballottaggio, quantomeno. Per il momento non sembrerebbero essere in programma visite al Quirinale, dunque, né manifestazioni di piazza sul modello di quella dello scorso 2 dicembre a piazza San Giovanni, come nel pomeriggio di ieri era stato ventilato. Iniziative che potranno essere messe in campo più in là, e che nell’immediato rischierebbero di risvegliare l’istinto di sopravvivenza dell’Unione, e riproporre, in un momento di forte sofferenza della maggioranza, le questioni irrisolte con l’Udc che ieri per bocca del segretario Lorenzo Cesa ha già fatto sapere che in piazza non sarebbe disposto a scendere.
Infierire su un avversario perfettamente in grado di farsi del male da solo potrebbe essere controproducente, in questa fase. Per il momento dunque è meglio prendere tempo e restare a guardare, anche perché le occasioni per mettere a tappeto la maggioranza nelle sedi istituzionali, senza strappi e accelerazioni, nel prossimo futuro non mancheranno. A cominciare dal pericolosissimo dibattito in Senato sul “caso Visco”, e dalla stessa tornata di ballottaggio in vista della quale la Cdl accarezza il sogno proibito (che dopo il quasi-cappotto del primo turno tanto proibito non è più) di strappare all’Unione la rossissima Provincia di Genova che la sinistra non è riuscita a conquistare al primo turno, distanziando la Cdl di neanche tre punti percentuali.
E’ probabile che a Genova i leader torneranno per chiudere la campagna elettorale, perché la conquista della provincia ligure sarebbe per l’Unione un colpo durissimo. Dopo i ballottaggi ogni prospettiva è aperta, ed è lecito supporre che le mosse future dipenderanno da vari fattori. Dall’esito finale delle elezioni. Da quanto sarà cruenta la resa dei conti nella maggioranza e lunga la sua agonia, considerato che la bruciante sconfitta è come benzina sul fuoco che arde attorno alla culla del Pd, che brucia tra la sinistra radicale e il “direttorio economico” del governo Prodi, che infuria fra lo stesso premier e i leader che vorrebbero liberarsene ma non possono. Dalle dinamiche interne allo stesso centrodestra, che dal risultato elettorale di domenica e lunedì ha ricevuto alcuni segnali.
L’importanza della coesione, innanzi tutto, perché laddove la Cdl ha corso unita ha dimostrato una forza propulsiva di mobilitazione del consenso in grado di sbaragliare gli avversari anche sul campo locale tradizionalmente favorevole alla sinistra. La rottura del “tabù delle amministrative” per un partito come Forza Italia che in analoghe occasioni in passato aveva mostrato segni di sofferenza sotto il profilo del radicamento territoriale (anche se la politicizzazione impressa da Berlusconi a questa tornata elettorale ha sicuramente contribuito alla determinazione del risultato). E una chiara indicazione sull’attualità della leadership e del carisma del Cavaliere, inequivocabilmente riaffermata dalla risposta degli elettori ad una campagna elettorale giocata in prima persona.
Tutto questo avrà il suo peso nella eventuale transizione verso una formula di più stringente aggregazione: la Cdl non è il Partito democratico e Berlusconi non è Romano Prodi. E, a voler pensar male, potrebbe solleticare in qualche alleato la tentazione di prolungare l’agonia della sinistra o comunque trascinare la legislatura nella speranza di riaprire i giochi. Ma questa è un’altra storia.