E’ scontro in Turchia: Erdogan fuori legge?
04 Aprile 2008
La Corte Costituzionale turca
ha dato luogo a procedere, e sarà essa stessa a farlo, alla richiesta di un
procuratore della Corte di Cassazione in merito alla chiusura dell’AKP, il
Partito della Giustizia e dello Sviluppo al potere dal 2001 guidato dal premier
Recep Tayyip Erdogan e dal presidente della Repubblica Abdullah Gul.
L’accusa è quella di aver
attentato alla laicità dello stato e di voler trasformare la Turchia in una
sorta di repubblica islamica, e questo a seguito di una serie di vicende la cui
ultima, e forse più nota, è aver concesso alle studentesse di portare il velo
nelle università. Il futuro processo indubbiamente spaventa l’AKP, dato che in
passato ben 26 partiti sono stati sciolti e la grande maggioranza di essi
proprio per quella stessa accusa.
Ad essere giudicati
saranno 71 dirigenti del partito (che in parlamento, dopo le elezioni dello
scorso luglio, detiene 340 seggi su 550) e tra essi vi sono i nomi di Erdogan e
Gul, anche se la posizione di quest’ultimo non è ancora del tutto chiara e al
suo riguardo la Corte è ancora divisa. Se verranno giudicati colpevoli
potrebbero decadere dalle loro cariche, essere interdetti dall’attività
politica per cinque anni e il partito verrebbe chiuso. In tal modo si andrebbe
a nuove elezioni senza l’AKP, anche se questo si potrebbe ripresentare, come
già è successo in passato, con nome e simbolo diversi.
La vicenda segna un
ulteriore passaggio, forse uno dei più drammatici dato l’attuale consenso
dell’AKP, dell’eterna lotta tra la Turchia secolarizzata e gli esponenti più o
meno moderati dell’Islam. Il principale tutore dello stato laico, instaurato
dopo la prima guerra mondiale da Mustafa Kemal Ataturk, è sempre stato
l’esercito, il quale è spesso intervenuto, anche nel recente passato, quando ha
ravvisato una qualche interferenza a sfondo religioso.
Questa volta il gioco è
condotto dall’altro bastione della laicità, la Corte Costituzionale, tanto da
far parlare alcuni commentatori di una sorta di possibile colpo di stato
“bianco” proprio operato dall’alta corte. I contorni della partita però non
sono ancora ben definiti e non è chiaro quale sia oggi il ruolo dell’esercito,
e se esso abbia indirettamente operato qualche intervento a favore della
decisione della corte.
Quello che è certo è che
la partita è ancora tutta da giocare. La Corte Costituzionale ha analizzato le
162 pagine di requisitoria scritte dal Procuratore della Corte di Cassazione Abdurrahman
Yalcinkaya, e sulla base di esse avvierà il processo ai 71 parlamentari. Quando
saranno chiariti i capi d’accusa l’AKP avrà un mese di tempo per preparare la
sua difesa, e a quel punto si aprirà il processo vero e proprio che si annuncia
complicato e i cui tempi probabilmente non saranno molto brevi. A ciò si deve
aggiungere che il partito di Erdogan ha annunciato che sta lavorando a un
pacchetto di riforme costituzionali che renderebbero assai più complicata la
chiusura di un partito politico. Una riforma di questo tipo potrebbe
naturalmente complicare la situazione sotto il profilo giuridico e rischierebbe
di accendere ulteriormente gli animi.
Ora si tratta di capire
quali siano le reali intenzioni dei differenti attori e che ruolo essi vogliano
giocare. Il processo potrebbe rivelarsi semplicemente un monito della Corte
Costituzionale (e forse dell’esercito) affinché l’AKP non travalichi
ulteriormente i confini dello stato laico, ossia potrebbe essere una prova di
forza i cui esiti e le cui conseguenze sono ancora tutte da scoprire. In questi
anni l’AKP ha rafforzato il suo consenso grazie alla una crescita economica e
ai passi avanti fatti in direzione dell’ingresso dell’UE. Ma negli ultimi tempi
l’economia, soprattutto a causa della congiuntura internazionale, sta
rallentando e anche con l’UE, si pensi alle recenti dichiarazioni di Sarkozi
contro l’ingresso della Turchia, i rapporti si vanno raffreddando. Forse è
anche giunto il momento di capire quanto il consenso per l’AKP sia anche un
consenso ideologico, e quando il tentativo di Erdogan di costruire una
repubblica islamica moderata e su basi saldamente democratiche, diventando così
un modello per il resto del mondo islamico, sia qualcosa di effettivamente
realizzabile.