E se Hollande stupisse su tasse e spesa pubblica? Sperare costa poco

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E se Hollande stupisse su tasse e spesa pubblica? Sperare costa poco

08 Maggio 2012

Nel blog Coulisse de Campagne de Le Figaro, il noto quotidiano francese del gruppo Dassault, ‘campeggiava’ ieri un piccolo post sulla vittoria socialista: “Hollande, comme Mitterand”, Hollande come Mitterand. Una lista delle similitudini di traiettoria politica e umana tra il neo-eletto presidente francese, François Hollande e l’ultimo socialista (!) che abbia conquistato l’Eliseo da quando la Va Repubblica francese è Va Repubblica, François Mitterand appunto. La lista dei “come…” è breve e divertente, tanto che un lettore del quotidiano francese ha lasciato questo commento: “Come Mitterand, [Hollande] ci metterà nella m…a”.

Il commento fecale è certo pescato da un quotidiano schierato fino all’altro ieri a sostegno di Sarkozy ma esprime (in maniera volgare lo concediamo!) quelle che possono essere le riserve su un quinquennato d’impronta hollandiana. Davvero la vittoria socialista è ‘buona novella’ per la Francia e per l’Europa come vorrebbero farci credere anche dalle fila del centro-destra italiano? Finora quel che si può affermare con certezza è che la vittoria di François Hollande – lui ‘Monsieur normalitè’ come ha voluto presentarsi ai francesi-, è destinata ad aprire una stagione nuova nella politica francese ed europea. 

Il problema è che le recenti ricette anti-crisi del socialismo continentale nella tormenta della crisi non hanno funzionato bene: il caso spagnolo del governo Zapatero è paradigmatico. Innalzamento dei livelli di spesa pubblica; aumento dei livelli di deficit, spesso trasformatosi in nuovo debito pubblico; disoccupazione altissima. Certo, le strutture econonomico-produttive di Spagna e Francia sono molto differenti tra loro e le criticità spagnole sono altre rispetto a quelle francesi (si pensi in particolare all’esplosione della bolla immobiliare nel 2007 che ancora oggi tanti guai arreca al sistema bancario iberico). 

Ora, il fiscal compact e le politiche di controllo del deficit e del debito imposte dalla Germania al resto dei paesi europei di per sé non possono trainare fuori dalla crisi l’Europa (al massimo ce la possono lasciare con buona pace di Berlino che con i tassi d’interesse bassi finanzia i programmi pubblici, gli stessi che vuole far chiudere agli altri). Il vero quesito è piuttosto questo: più spesa pubblica, fatta a suon di nuovo deficit e/o debito, risolverà i mali europei? Davvero si crede che le prescrizioni economiche neo-keynesiane à la Hollande – il volet sur la croissance da affiancare al patto fiscale, come l’ha definito il socialista -, siano una soluzione percoribbile in questa crisi di crescita?

Ovviamente non v’è risposta a queste domande che non sia, in parte, espressione di una preferenza ideologica. Ma non si dimentichi che una delle promesse più significative di Nicolas Sarkozy alle presidenziali del 2007, fu quella di maggiori libertà economica fatte d’abbassamento della pressione fiscale e d’una diminuzione del ruolo dello Stato. Quella promessa non solo non è stata mantenuta dall’azione esecutiva del quinquennato sarkozista (la crisi ha giocato un suo ruolo, spezziamo almeno questa lancia), ma è oggi uscita del tutto dall’agenda politica francese delle presidenziali e non si vede come possa rientrare dalla finestra alle prossime legislative.

Quel che si staglia all’orizzonte ora è un ritorno massiccio al capitalismo di Stato (già forte nella Francia colbertista) e a una re-invasione, stavolta esiziale, nell’economia reale della clava tributaria del centro parigino. La proposta-promessa di Hollande di creare un’aliquota al 75% nella tassazione dei redditi superiori a 1 milione d’euro è in questo senso la campana a morte di quella speranza ‘moins d’Etat’. La Francia ha un debito pubblico pari a più dell”85% del proprio Pil. Ha il livello di spesa pubblica più alto d’Europa. Che pensa di fare il presidente Hollande? Mettere la Francia nella condizione dell’Italia, senza nemmeno poter contare sulla leva monetaria? Impensabile. Un po’ lo stesso messaggio che Angela Merkel ha fatto arrivare per bocca del proprio portavoce al neo-eletto presidente francese ieri: il fiscal compact non si tocca.

Tra un paio di mesi ci saranno le legislative in Francia. Si saprà allora se i francesi avranno voluto soltanto un presidente socialista, oppure se vorranno anche un governo socialista. Si noti che l’equiparazione, per così dire, tra la durata quinquennale della legislatura parlamentare e il quinquennato presidenziale è stato introdotto in Francia solo nel 2000, per volontà del presidente Chirac, per evitare che dalla discrasia tra settennato presidenziale e quinquennato parlamentare nascessero le molto deplorevoli coabitazioni. Si ricorderà la strana coppia presidente gollista Chirac – primo ministro socialista Jospin. Oppure il presidente socialista Mitterand e il primo ministro Chirac. 

In questo senso la sfida delle legislative, che vede i ténors, i tenori dell’Ump – i vari Jean-François Copé, François Fillon, Alain Juppè e Xavier Bertrand – giocare di squadra, è tanto cruciale perché oltre all’appena conquistata presidenza, i socialisti hanno in mano tutte le Regioni francesi del territorio metropolitano tranne una: l’Alsazia.

Una a questo punto probabile vittoria dei socialisti alle prossime legislative determinerebbe un controllo di quasi tutte le maggiori strutture di potere ai vari livelli di governo. Anche le maggiori città, Parigi in testa, sono in mano alla sinistra. Lo scenario ‘asso-piglia-tutto’ socialista spaventa la famiglia post-gollista, che non sa più nemmeno come si scrive ‘dieta di potere’. Si tratta invece di uno scenario che piace al Fronte Nazionale di Marine Le Pen il quale potrebbe tentare veramente di cavalcare la polarizzazione del quadro politico francese che il controllo totale del Psf determinerebbe e gareggiare per la torcia della leadership dell’opposizione.

Nel primo discorso da vincitore, quello di Tulle in Correze di domenica, François Hollande ha parlato di ‘Nation’ – la sinistra italiana impari qualcosa invece di balbettare al massimo “Paese”-, di “destin de la France”, di destino della Francia, di rassemblement, riunificazione [della Francia]. Sembrava un gollista. Chissà che le manie d’interpretare il ruolo del presidente, non faccia di lui una sorpresa? Che non gli prenda la voglia di fare la cosa giusta, abbassando tasse e spesa pubblica invece di blaterare di justice (sociale)? Certo i ’60 impegni per la Francia’, il suo programma, non incoraggiano certe speranze. Però sperare non costa nulla. Il 15 Maggio il neo-presidente assumerà ufficialmente funzione all’Eliseo. Fino a quel momento è dato speculare. Oltre, purtroppo, potremo giudicare solo i fatti.