E se lo scenario peggiore per la Grecia non fosse il default?
07 Febbraio 2012
di E.F.
In Grecia continuano i round di consultazioni tra i leader politici greci per l’approvazione delle misure di ‘austerità’ che il governo di Atene dovrà mettere in campo per ottenere dalla troika – Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale – il placet per l’ottenimento della seconda tranche da 130 miliardi di euro in prestiti per far fronte al rischio collasso nella penisola ellenica.
Nella serata di Martedì il primo ministro greco, il tecnocrate Lucas Papademos, ha incontrato i leader politici dei tre partiti che sostengono il suo governo tecnico: George Papandreou, leader del partito socialista PASOK, disarcionato da premier lo scorso Novembre 2011; il leader del partito liberal-conservatore Nuova Democrazia, Antonis Samaras; e il leader del LAOS, il Raduno Popolare Ortodosso, Giorgios Karatzaferis.
L’incontro è di quelli critici. I quattro sono chiamati a “trovare la quadra” sull’attuale bozza di misure draconiane in materia fiscale e di budget che dovrebbe, vulgata vuole, consentire alla Grecia di uscire dalla crisi. Si tratta dell’ennesima dose di medicina amara che dovrà essere somministrata all’esangue economia greca. Con buona probabilità verranno operate delle decurtazioni di circa il 20% sugli stipendi minimi, calcolati nella somma di più di 700 euro.
Inoltre saranno effettuati dei tagli alla spesa pubblica. L’obiettivo che, secondo FMI, BCE e Commissione, il governo greco dovrebbe raggiungere è un taglio alla spesa di almeno il 1,5% del Pil, per un ammontare in termini assoluti di 3,3 miliardi di euro già nel 2012. La maggior parte di questi tagli verranno operati sulla sanità, circa 1,5 miliardi di euro. “Il tempo stringe” ha affermato l’azionista di maggioranza del fondo che erogherà gli aiuti alla Grecia, la cancelliera tedesca Angela Merkel. L’accordo dovrà essere chiuso entro il 15 Febbraio prossimo. Poco più di una settimana.
Mentre il ministro dell’economia, Evangelos Venizelos, sostiene che le negoziazioni con gli emissari dell’UE e del FMI assomigliano a una battaglia contro “la testa di Idra”, con problemi che escono da tutte le parti, lo stesso ministro delle finanze ha dichiarato che “il salvataggio del paese – rimanere nella zona euro – significa fare dei grandi sacrifici”. Ma non tutti in Grecia sono convinti dell’esistenza di un nesso tra l’accettazione delle condizioni di salvataggio posti dalla troika Commissione-FMI-BCE e il mantenimento della Grecia nella zona euro.
Contattato da l’Occidentale, l’economista greco Yanis Varoufakis, ex-consigliere economico di Georges Papandreou tra il 2004 e il 2007 e attualmente capo del Dipartimento di Politica Economica dell’Università d’Atene, sostiene che non esiste affatto un nesso tra un default del governo greco e l’obbligo per la Grecia di lasciare la zona euro. Tutt’altro. Ma prima di affrontare il nodo di un possibile ‘default’, l’economista ellenico (dal penchant keynesiano) premette: “Questo secondo prestito nel piano di salvataggio alla Grecia avrà delle conseguenze catastrofiche per il paese. La nostra economia è già in coma. Le misure che si annunciano attaccano certo il settore pubblico, ma anche e soprattutto, intaccano anche i salari nel settore privato. Ciò porterà la Grecia ancora più velocemente in recessione”.
Ad ascoltarlo si direbbe che le negoziazioni di queste ore poco servano al suo paese. Secondo Yaroufakis, “il rapporto debito/Pil [della Grecia] è in verità destinato a crescere nonostante questo secondo pacchetto d’aiuti. I mercati lo sanno, gli investitori esteri lo sanno. Invece di attrarre investimenti esteri, questo piano li disincentiverà. Il default non sarà scongiurato da questi piccoli prestiti. Sarà solo posticipato”. E quando gli chiediamo di darci un suo parere su quello che accadrebbe effettivamente se la Grecia andasse in default, Yanis Yaroufakis comincia da quelle che a suo parere sarebbero le più dure conseguenze sull’Europa. “Alcune banche europee – spiega Yaroufakis – ne soffrirebbero molto e probabilmente sarebbero costrette a chiedere aiuto allo Stato per una serie di ricapitalizzazioni. E’ per questo che certe banche europee preferiscono esercitare il proprio potere politico sui rispettivi governi e partiti per un piano di salvataggio per la Grecia piuttosto che per un default greco. Se lo Stato greco fallisse, l’azionariato di molte di queste banche verrebbe ridimensionato dall’intervento statale e ciò di certo non piace a nessun azionista”.
Quanto alle conseguenze dirette di un default sulla società greca, Yanoufakis taglia corto: “Credo che con un default, la Grecia starebbe molto meglio. Certo qualsiasi default è doloroso ma sarebbe certamente meno doloroso di quello che ci stiamo infliggendo accettando il piano di salvataggio di FMI e UE. Alcuni commentatori, con i quali sono in assoluto disaccordo, sostengono che la BCE, in presenza di un default ellenico, finirebbe per tagliare fuori le banche greche, cosa che io non credo accadrebbe affatto”.
Il partito di coloro che scongiurano il default greco è estremamente folto. Molti economisti, politici e commentatori nel Vecchio Continente temono al contrario che qualora lo Stato greco dichiarasse la propria insolvenza, ciò finirebbe non solo determinare l’immediata uscita di Atene dall’unione monetaria europea, ma rischierebbe anche di mettere in difficoltà l’intera divisa europea e con esso il progetto dell’UE. Quanto chiediamo a Varoufakis della permanenza greca nell’euro in caso default, il greco lancia la palla dall’altra parte con un ragionamento spiazzante ma dal forte appeal: “Secondo me la Grecia dovrebbe andare in default ma non dovrebbe lasciare la zona euro. Uscire dall’euro sarebbe un atto suicida”. E se la prende anche l’attuale ministro delle finanze: “Sono in profondo disaccordo con il ministro delle finanze greco Venizelos. Egli ritiene che accettare il prestito da 130 miliardi di euro, sia precondizione per restare nell’euro. Ma sul piano logico questa affermazione non è affatto fondata. La mia posizione è che si possa tecnicamente fare default e rimanere nella zona euro. Le faccio un esempio: se lo Stato della California fallisse, questo significherebbe l’uscita di questo Stato dall’unione monetaria del dollaro? Ovviamente, no. Certo, in Europa non c’è un governo federale come negli USA, ma la sua esistenza o meno non fa grande differenza in questo caso specifico. A mio avviso dovrebbe essere consentito a uno Stato o ad una banca di andare fallita dentro la zona euro. Non c’è nulla di scandaloso”.
Infine chiediamo a Varoufakis del neanche tanto strano caso dei ‘destini incrociati’ di Grecia e Italia, due paesi dotati di due governi espressione di un processo elettorale lineare, disarcionati in corso d’opera da ‘Lady Spread’ e dai Merkozy e oggi in mano a due tecnocrati, Mario Monti e Lucas Papademos. Per Varufakis “non c’è da scandalizzarsi troppo se due tecnocrati sono al potere. Dopo tutto né la Grecia né l’Italia sono due regimi a elezione diretta dell’esecutivo. Hanno un parlamento che media. Dunque la questione – afferma Vanoufakis – non mi disturba sul piano teorico. Quello che disturba – conclude l’economista – sono ‘questi’ tecnocrati in particolare, soprattutto il primo ministro greco Papademos, i quali sono stati messi in quella posizione per perseguire della politiche che non sono sostenibili. Vorrebbero che fossimo tutti come la Germania, ma non lo siamo. Almeno che non si cominci a fare commercio con qualche altra galassia, non credo che paesi come l’Italia o la Grecia possano diventare come la Germania”.
L’Italia terrà le sue elezioni politiche nel 2013. Quanto alla Grecia, sono previste all’inizio del prossimo Aprile 2012. Se per quella data la Grecia avrà ancora uno Stato solvente o meno, lo scopriremo a ore.