“E’ sulla responsabilità dei giudici che si gioca la vera partita politica”
16 Marzo 2011
E’ passata una settimana dalla presentazione della riforma costituzionale della Giustizia elaborata dalla maggioranza. Il Guardasigilli Angelino Alfano l’ha definita una “riforma epocale” con la quale l’esecutivo si propone di gettare le basi di un cambiamento radicale nell’ordinamento italiano. Ad essere più precisi il testo in questione rappresenta il “recipiente” concettuale all’interno del quale il Parlamento dovrà inserire una serie di provvedimenti e dare così una struttura più completa all’intero progetto riformatore. Così – lo ha ricordato ieri il capogruppo dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri – maggioranza e opposizione dovranno aprire nei prossimi giorni un dialogo per varare delle norme specifiche. Abbiamo chiesto al professor Giorgio Spangher, ordinario di Procedura Penale alla Sapienza di Roma, quali sono state le linee ispiratrici della bozza di riforma.
Professor Spangher, perché in Italia si ritiene necessario l’intervento sulla Costituzione per migliorare il funzionamento della giustizia?
L’esperienza di questi ultimi anni ha dimostrato che i tentativi di modificare alcuni profili nodali in materia di giustizia non hanno sortito grandi risultati. Uno dei vari esempi? La legge Pecorella (riguardante l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, ndr) è stata demolita dalla Corte costituzionale con una serie di sentenze. Non voglio necessariamente polemizzare con la Corte, ma la Carta è del 1948.
La Costituzione è vecchia?
Non dico questo. Ha indubbiamente dei punti di forza nella tutela dei diritti, però in certi profili risente anche di qualche debolezza. Mi spiego con un esempio concreto: nell’articolo 13 viene menzionata la carcerazione preventiva. Mentre nel 1948 si parlava di carcerazione a seguito del mandato di cattura, nel 1988 siamo passati alle ‘misure cautelari’, che prevedono il ritiro del passaporto e il divieto/obbligo di dimora. Insomma, siamo andati molto più avanti. O meglio, è la legislazione ordinaria che è andata avanti, mentre la Costituzione è rimasta indietro, diventando così un muro di fronte al quale il legislatore si è trovato più volte.
Il governo sta promuovendo anche una ridefinizione del ruolo della magistratura. Cosa vuol dire?
Con la nascita del codice si stabilì che il cuore del processo doveva essere il dibattimento. L’attività del pubblico ministero era in larga parte irrilevante in passato perché ciò che più contava era la deposizione del testimone. Le sentenze del 1992 hanno colpito a morte questo principio, che si è cercato di raddrizzare con la legge costituzionale sul giusto processo. Ma nel frattempo il ruolo del pm si è ingigantito sempre di più e oggi può decidere d’iscrivere la notizia di reato, decidere la durata delle indagini, decidere in quale registro inserirle e anche decidere, per quanto incompetente, quale materiale probatorio acquisire. Ciò ha determinato inevitabilmente uno spostamento del baricentro del processo dal campo del dibattimento a quello delle indagini.
Come si potrebbe ristabilire quel principio?
Una delle possibilità è fare in modo che il pm non indaghi a sua totale discrezione. Per questo con il progetto di riforma si vogliono individuare dei criteri di priorità dell’azione penale. Un’altra questione riguarda l’acquisizione della notizia di reato: il pm deve cercare la notizia o la deve ricevere? E’ uno dei temi al vaglio.
La separazione delle carriere sta infuocando il dibattito politico. Lei cosa ne pensa?
Dipende da come verrà attuata. Con un concorso unico? Concorsi separati? Due Csm o uno solo con due sezioni? Insomma, le riforme costituzionali rappresentano una serie di provvedimenti che tracciano una linea culturale, ma il modo in cui si andrà ad intervenire sui singoli temi attraverso leggi ordinarie è un problema di ingegneria costituzionale molto complicato e le variabili potrebbero essere tantissime. Ad ogni modo non credo che sia una questione destinata ad avere ricadute immediate sull’ordinamento. A mio avviso però il nodo centrale della riforma è soprattutto un altro.
Quale?
La vera chiave di volta è la responsabilità dei giudici. Molto probabilmente il gioco politico ruoterà tutto intorno a quella norma, perché avrà un forte impatto sull’opinione pubblica. E’ giusto che ci siano due Csm, ma quello della responsabilità del magistrato è l’aspetto che più da vicino interessa i cittadini.
Berlusconi ha più volte criticato il ruolo politico dei magistrati. Come giudica l’intervento in piazza di Antonio Ingroia?
E’ indiscutibile che alcuni magistrati abbiano un ruolo politico e una sovraesposizione mediatica. Ma io credo anche che siano facilmente riconoscibili. Non credo, insomma, che tutta la magistratura tenda a questo ruolo.
Perché i magistrati si oppongono fortemente alla separazione delle carriere e alla responsabilità civile?
In primo luogo la separazione delle carriere indebolisce l’unità della corporazione e la forza delle correnti interne alla magistratura. In secondo luogo la responsabilità dei magistrati mette in discussione la condizione e lo status dei giudici che sono sottoposti a maggiori rischi nell’esercizio del loro lavoro. Tutti gli ordini in un modo o nell’altro tendono all’autoconservazione. Ma al di là di questo, è necessario fare una legge che punisca la sentenza ingiusta, cioè quella che ha creato un danno che nella normale diligenza non doveva essere creato.