E’ tempo che Corriere e Giavazzi&Co. la smettano di dare lezioni all’Italia
23 Ottobre 2011
di Daniela Coli
Siamo tutti felici che Sergio Marchionne, seguito dal presidente della Fiat John Elkann, abbia finalmente deciso l’uscita di Fiat da Confindustria, un’associazione obsoleta, che all’insegna di un’alleanza consociativa con la Cgil (vedi l’ultima edizione della coppia Marcegaglia-Camusso) e compromessi politico-sidancali di ogni tipo, ha per decenni spillato quattrini agli italiani e condizionato la nostra vita politica. È anche comprensibile che Francesco Giavazzi, il “liberista de sinistra” del Corriere, il 18 ottobre scriva un peana al maggior azionista del quotidiano milanese.
È invece incomprensibile che un economista liberale per dare maggiore risalto alla decisione di Fiat affermi che per la crescita ha fatto più il suo padrone con l’uscita da Confindustria del governo, che punta su una nuova linea ad alta velocità Lecce – Trieste. Qui viene fuori il liberismo leninista di Giavazzi, consigliere del governo D’Alema dal 1998 al 2000, uno strano tipo di liberalismo comune a molti “liberali di sinistra” del Corriere che chiedono ogni giorno al governo un decreto sulla crescita, come se lo Stato dovesse dirigere l’economia e Berlusconi dovesse diventare Lenin e varare la NEP.
Giavazzi, liberale de noantri, prima dice che una Confindustria non esiste negli Stati Uniti, né in Gran Bretagna, poi attacca il governo perché non ha fatto niente per la crescita. In sostanza, per il liberista de sinistra, Berlusconi dovrebbe dirigere gli industriali, mentre il governo non deve affatto decidere la crescita, anzi gli industriali, se fossero veri imprenditori, in un capitalismo sano, dovrebbero chiedere al governo di intervenire il meno possibile. Il vero imprenditore rischia e investe gli utili, perché – come diceva Schumpeter – se non risparmia e non reinveste i profitti, ma aspetta i finanziamenti pubblici, diventa solo un manager e un burocrate.
Il compito del governo non è finanziare l’industria, né indicare le coordinate dello sviluppo: se lo facesse l’Italia diventerebbe uno Stato socialista dopo la fine del socialismo. Fino all’annuncio di Marchionne, per decenni Fiat si è ben guardata da lasciare Confindustria e non ha tutti i torti il comunista Ferrero a dire che la Fiat è di tutti gli italiani, visto che sono stati i nostri soldi ad avere permesso ottimi profitti all’impresa torinese, monopolizzando il mercato italiano, ricattando tutti i governi per avere aiuti, comprese le famose rottamazioni, che per decenni hanno tenuto alto il tasso di vendita delle auto torinesi.
Nella sua filippica contro monopoli pubblici e privati Giavazzi si dimentica che in Italia il monopolio per eccellenza è costituto dalla Fiat, l’unica impresa di auto al mondo a controllare anche due tra i maggiori quotidiani italiani, senza contare la liaison con Repubblica attraverso l’asse Agnelli – Caracciolo e il controllo de El Pais attraverso Rcs. C’è davvero tanto da eccitarsi se un grande monopolio privato col più gigantesco conflitto d’interesse dell’Occidente decide di fare la buona azione di uscire da Confidustria, quando in Gran Bretagna e Stati Uniti, paesi modello del Corriere, omaggiati religiosamente ogni giorno, la Fiat azionista di maggioranza in due giornali come il Corriere e la Stampa, sarebbe una mostruosità?
Tanto per non fare mancare l’attacco a Berlusconi, in assenza di intercettazioni da pubblicare, Sergio Rizzo, il fustigatore della casta, rimprovera al governo di avere fatto troppe poche leggi: proprio così, il quotidiano milanese, che ha sempre additato l’esempio inglese di poche leggi contro lo spagnolismo dell’eccesso di leggi italiano, deplora l’esiguo numero di leggi approvate. Come diceva il cancelliere Schröder, l’opposizione dà sempre la colpa di tutto al governo. “Piove? È colpa del governo. C’è il sole? È colpa del governo”. Il Corriere si è sempre comportato come un partito d’opposizione di tutti i governi ( a parte l’endorsement mielano per Prodi) per ricattarli e ottenere finanziamenti e vantaggi per i propri azionisti e in particolare per la Fiat.
Il Corriere non è però un partito, è uno Stato nello Stato. La storia del Corriere e della Fiat, come la storia della nostra industria, è intrecciata alla storia d’Italia per il rapporto con la finanza inglese e poi angloamericana. Come mostra il bel libro di Ennio Di Nolfo e Maurizio Serra, “La gabbia infranta”, durante la seconda guerra mondiale, per staccare l’Italia dall’alleanza con la Germania gli inglesi e gli americani si rivolsero quasi subito agli amici italiani. Riaffiorano i solidi legami d’affari tessuti dal ’27 al’40 tra la Fiat di Valletta e la General Motors, quelli tra Alberto Pirelli, imprenditore e presidente della Confindustria dal ’34, e il mondo anglosassone.
Nel dicembre del ’41 La Malfa, Adolfo Tino e Ferruccio Parri negli uffici milanesi dell’Ufficio Studi della Banca commerciale italiana fondarono il Partito D’Azione e inviarono documenti a Washington sia attraverso Rino Nobili, sia attraverso Enrico Cuccia, che nel ’42 volò a Lisbona per trattare con gli angloamericani la pace dell’alta finanza italiana. Di tutto questo, Sergio Romano nella sua rubrica di lettere dove affronta quesiti storici di ogni tipo, non ha ancora scritto una parola.
D’altronde, l’Italia nasce come Stato nazionale sotto tutela inglese: sono gli interessi britannici per il Mediterraneo, più di quelli di Napoleone III, a premere per la conquista del Sud e i Savoia, una dinastia non certo comparabile a quella degli Asburgo e dei Borboni, furono un grande business per gli inglesi, perché ebbero a disposizione l’Italia, su cui ebbero un’influenza enorme in ogni settore, come dimostra il libro di Cereghino e Fasanella sulla base dei documenti degli archivi Kew Gardens.
Da qui il filo-inglesismo zerbino del Corriere, che recentemente è arrivato addirittura rimproverare al ministro della difesa La Russa di non avere un impeccabile accento oxoniense. Qualcuno riesce a immaginare il Times o il Guardian che bacchettano il ministro della difesa british per non sapere bene il francese o il tedesco? O un giornalista del Times o del Guardian comportarsi come la servetta Severgnini che racconta a Joshua I. Keating di ‘Foreign Policy’, il 17 ottobre, di avere udito Berlusconi parlare con Mubarak e di essere certo che abbia sbagliato a dire la parola “google”.
Ma in questa intervista intitolata ‘It ain’t over ‘till the tan man sings’ ( Non è finita fino a quando l’abbronzato canta), c’è qualcosa di più inquietante dei pettegolezzi di una servetta. C’è l’esplicito invito all’America di Obama a sostenere una rivoluzione di primavera in Italia, magari con sanzioni Onu e bombardamenti Nato. Prima di tutto il giudizio sull’Italia: “Italy is a tribal country. There is a very tribalistic attitude towards politics. There people who would vote for devil if it would keep the other side out” (“L’Italia è un paese tribale. C’è un atteggiamento tribalistico verso la politica. Ci sono gente che voterebbero per il diavolo per non fare vincere l’altra parte”).
Chi conosce un po’ la politica e la democrazia sa che negli Stati Uniti ci sono scontri incandescenti tra Repubblicani e Democratici proprio perché non vinca il candidato dell’altra parte. Basta pensare alla storia politica statunitense del secondo Novecento: un presidente ucciso (JFK), suo fratello Robert ammazzato mentre stava per vincere le elezioni, un presidente gravemente ferito (Reagan), uno costretto a dimettersi per non sottoporsi all’impeachment (Nixon), uno messo sotto accusa per una relazione con una stagista (Bill Clinton).
Una lotta politica tribale, potrebbe dirsi. Non si può certo chiedere a Severgnini di essere un esperto di politica, però lo spazio che il Corriere gli ha concesso lo rende un giornalista importante all’estero. L’invito a fare qualcosa per l’Italia tribale dove in Rai non possono parlare i giornalisti critici di Berlusconi, è ancora più diretto nella battuta: “All his friends in North Africa are gone: Qaddafi, Mubarak, Ben Ali. If I were Putin, his fourth-best friend, I’d be pretty nervous” ( “Tutti I suoi amici nell’Africa del Nord non ci sono più: Gheddafi, Mubarak, Ben Ali. Se fossi Putin, il suo quarto migliore amico, sarei piuttosto nervoso”).
La ‘servetta’ Severgnini spiega agli americani in poche battute la politica del Corriere per l’Italia. L’obiettivo è un’Italia che non faccia più politica estera e segua come un cagnolino Washington e Londra. Dopo il ’45, inglesi e francesi occuparono la Libia e ci misero un loro uomo, re Idris, rovesciato appunto da Gheddafi e quando alcuni mesi fa la Nato ha cominciato a bombardare la Libia, Cameron ha detto chiaro e tondo che la Gran Bretagna deve riprendere la mission dell’impero britannico.
Il Times ha giubilato, il Guardian ha sollevato qualche lieve critica, né il Corriere, né la Stampa hanno riportato una parola del discorso di Cameron. Questa è l’identità del Corriere, che ultimamente dà pure lezioni di patriottismo. Flebuccio De Bortoli, poi, si è messo in testa di scippare i cattolici al centrodestra e su Todi e Bagnasco ha usato toni da maestrino della penna rossa, rimproverando ai cattolici, lui, il cui giornale ha appoggiato l’aborto, la pillola del giorno dopo, la fecondazione artificiale e la dolce morte, di avere chiuso gli occhi su comportamenti non proprio evangelici.
Flebuccio ricorda l’ambasciatrice Luce, che infervorata a consigliare a Pio XII su cosa avrebbe dovuto fare la Chiesa per contare di più, ebbe dal papa l’ironica risposta: “Signora, sono anch’io cattolico”. Certo, con Marchionne per la prima volta Fiat ha acquisito il 20% di Chrysler, ma in questa operazione ha svolto un ruolo importante Obama e da qui anche la costante difesa del Corriere del presidente americano e il tentativo di buttare giù di sella Berlusconi, reo di essere amico di Putin. A nessuno in Germania verrebbe in mente di scatenare una campagna contro Schröder, nonostante sia stato fortemente attaccato dal Wall Street Journal e dal Washington Post che lo ha definito una prostituta.
Il cancelliere Gerard Schröder è sempre stato un grande amico di Putin ed è poi diventato capo di Gazprom e sostenitore di Nord Stream, il progetto di un gasdotto che mira a fornire gas russo direttamente dalla Russia alla Germania. Nessun giornale tedesco ha mai riservato a Schröder il trattamento riservato dall’asse Corriere-Repubblica a Berlusconi. Ora, siamo tutti felici che Fiat sia arrivata a detenere il 53% del capitale di Chrysler, ma gli Stati Uniti sono un impero in declino: il problema americano – sostiene l’Economist – è adesso gestire il declino. Non si capisce quindi cosa ci sia di male se l’Italia, come la Spagna, la Gran Bretagna, la Germania e molte altre democrazie occidentali, intrattiene buoni rapporti con la Russia.
Proprio l’Italia del Regno del Sud, per non diventare un protettorato britannico, inviò in Russia Renato Prunas, come si compiace sempre di raccontarci l’ambasciatore Romano, a offrire spazio a Stalin a dispetto di britannici e americani e negoziò il ritorno di Togliatti e dei comunisti. Eccetto gli anni della seconda guerra mondiale l’Italia ha sempre avuto rapporti diplomatici, commerciali, culturali con la Russia e non si comprende perché non possa averli dopo la fine del comunismo.
A meno che tra gli obiettivi del misterioso club Bilderberg non vi sia l’occupazione della Russia e delle repubbliche asiatiche della federazione russa, l’isolamento della Germania e una Unione europea a guida anglofrancese alleato di ferro degli States, come in questi giorni di attacco all’euro si prospetta sul Times. È anche evidente che il Corriere punta a scippare l’elettorato del centrodestra e a dirigerlo con propri uomini e donne. È un progetto chiaro come esplicita è la candidatura Montezemolo, ma Berlusconi non è Andreotti, né De Mita: non è facilmente eliminabile come loro, perché è un contropotere dell’asse Corriere-Repubblica e dell’establishment economico-politico-mediatico della Grande Lobby.
Il centrodestra italiano, poi, non è così facile da intrappolare. Forse più che da Montezemolo il centrodestra potrebbe essere affascinato da Schumacher, perché, ormai si sa, non importa la macchina, occorre un pilota tedesco per vincere la Formula Uno. Forse, se Montezemolo, si portasse dietro Schumacher, quando debutterà da leader, avrebbe qualche chance, ma quasi sicuramente Schumi farebbe a Luca Cordero il gesto col dito di Vettel e chissà che risata si farebbero i vecchi fan di ‘Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda’, un film che certamente conoscerebbe una nuova stagione d’oro e diventerebbe il dvd più venduto della bella Edwige Fenech dalle Alpi alla Sicilia.