E’ tempo di giocare fino in fondo la partita del Sud
21 Luglio 2009
Il richiamo al partito del Sud nel dibattito politico sta diventando ridicolo: un tormentone estivo, una sorta di vamos a la playa, un ritornello più noioso di quello. Tanti ne parlano, e quanto più se ne dice tanto meno si capisce se, al di là della declamazione e della rivendicazione di genere, esistono per questo partito ancora da costituire obiettivi individuati, riferimenti culturali, percorsi da immaginare, strategie, sistemi di alleanze. Fino a questo momento è stata una miscela di differenti esigenze di riscatto rispetto a fallimenti di vario tipo: dal disastro Bassolino in Campania alle voragini di Loiero in Calabria ai tentativi di sfuggire un po’ ovunque alle strette regole di bilancio, fino ad assurgere a valvola di sfogo di frustrazioni, di occasioni mancate e di insuccessi territoriali e personali. Come se da molti e differenziati motivi “contro” possa in automatico scaturire qualcosa “per”.
Le ragioni di fondo cui attingono proclami e lamentale non vanno sottovalutate. Se mai vanno approfondite. Il Sud non è una categoria dello spirito. La sua inferiorità rispetto al Nord dell’Italia – con tante eccezioni e con tante eccellenze, a cominciare da larghe zone delle Puglie – non è un dato di natura. Sarà un caso, ma il richiamo al Sud cade nel momento in cui sono partiti i preparativi per celebrare i 150 anni dello Stato unitario. Il peggio che possa capitarci, come italiani prima che come meridionali, è il delinearsi parallelo nei prossimi mesi di due retoriche, di segno opposto e altrettanto insopportabili: da un lato il rilancio apologetico delle gesta di Garibaldi, delle ansie di Cavour e delle angosce di Mazzini; dall’altro la riproposizione di un vittimismo pseudo meridionalistico, vuoto di ricerca storica e di elaborazione politica.
Prima ancora di chiederci se e in che misura è meglio un partito o una lobby o una lega del Sud, dovremmo ricordare che la passione e il lavoro per la propria terra sono frutto dell’amore per la terra medesima, che non c’è amore senza conoscenza, e che quindi il punto di partenza è provare a conoscere che cosa siamo stati e perché i problemi da una certa data sono cresciuti. Si tratta, cioè, di identificare le ragioni per le quali, in modo più o meno consapevole, e non solo al Sud, l’Unità d’Italia non è ancora pienamente entrata nella memoria collettiva degli italiani. Per il modo con quale essa si è realizzata: per incorporazione forzata a uno Stato pre-unitario invece che per lavoro di federazione di tutti gli Stati pre-esistenti; per gli effetti incontestabilmente negativi che essa ha prodotto al Sud, demoralizzando e prostrando la sua economia, incamerandone le finanze, provocando la tragedia dell’emigrazione; per l’atteggiamento, culturale prima ancora che politico, di bollare il semplice avvio di una riflessione oggettiva su che cosa è accaduto a cavallo del 1861 come un’aggressione revisionistica al fondamento sacrale della Nazione, come qualcosa di cui non ammettere neanche la discussione.
E’ paradossale che negli ultimi anni, per un insieme di fattori, un lavoro di rilettura della storia e di purificazione della memoria ha incontrato minori ostacoli a proposito della Resistenza. Eppure la logica non dovrebbe essere dissimile. Per arrivare dove? Intanto a condividere la convinzione che l’Italia non nasce nel 1861, e che nei secoli antecedenti vi era una “nazione spontanea”, con una comune identità, fondata su cultura e principi comuni, sostanzialmente omogenei, e su un’articolazione sociale ricca e variegata, a cominciare dal Sud. Per convincerci, da meridionali, che l’unificazione poteva anche avvenire diversamente, ma – essendo andata come è andata – la partita del Sud va giocata oggi non contro il resto del Paese, ma utilizzando al massimo le risorse di cui disponiamo, e che spesso abbiamo in sovrabbondanza. Risorse che hanno radici in una tradizione che siamo chiamati a onorare e a rilanciare senza nostalgismi. Risorse anche materiali e finanziarie, che altrettanto spesso restano inutilizzate: alla faccia delle lamentele!
Cito due esperienze personali. Qualche mese fa ho riunito a Bari, con l’aiuto dell’Anci, i sindaci di tutti i municipi pugliesi. Ho fatto loro presente, offrendo la collaborazione del Viminale, che fino al 2013 esistono consistenti risorse dell’UE per la sicurezza del territorio, e che sarebbe un peccato non impiegarle. La condizione è che ne sia chiesto l’uso, con progetti adeguati, da parte degli amministratori locali. Taluni sindaci lodevolmente hanno presentato ottimi progetti, e hanno visto i risultati concreti a distanza di breve tempo; altri si sono fermati al generico; altri si sono disinteressati. Morale: non sempre al Sud mancano le risorse finanziarie; talvolta mancano le idee e i progetti. Qualche sera fa sono stato a Ugento, nel tacco delle Puglie, all’inaugurazione di uno splendido museo esito del recupero artistico e del restauro architettonico di un complesso conventuale. Il museo ruota attorno alla “tomba dell’altleta”: un sepolcro in pietra di 2.500 anni fa la cui apertura, avvenuta di recente, ha portato alla luce vasellame e opere d’arte preziose perfettamente conservate. La “tomba dell’altleta” è una metafora del Sud: il quale ha al suo interno innumerevoli scrigni preziosi che, recuperati, rivelano arte, identità, bellezza, e quindi turismo, apprezzamenti, investimenti. E’ un Sud sorprendente per quello che ha, e di cui non si rende conto fino a quando – come è avvenuto a Ugento – non decide di lavorare per dare il meglio di sé; ed è a questo punto, con un materiale di straordinaria ricchezza lasciato dalla Storia e con opere di valorizzazione serie e non superficiali, che si trovano le risorse e i finanziamenti, e quindi si realizzano le opere concrete.
Per il Sud è un po’ come per l’antimafia. C’è chi la declama e c’è chi la fa; i primi appaiono i padroni della scena; ma solo perché i secondi non hanno il tempo per le declamazioni. Per spendere fino all’ultimo centesimo i fondi comunitari, non farsi privare dei fondi statali, per sfruttare al massimo il nostro patrimonio, non è necessario il partito del Sud. C’è bisogno di giocare senza respiro la partita del Sud.
Alfredo Mantovano è Sottosegretario al ministero dell’Interno
(da La Gazzetta del Mezzogiorno)