E’ tempo di rimettere mano alle intercettazioni nell’interesse di tutti
19 Gennaio 2011
Ci si può appropriare della vita degli altri per distruggerne, al fine di attuare un disegno politico, una sola? E’ lecito cancellare la dignità, limitare la libertà, offrire al pubblico ludibrio privatissimi comportamenti di decine e decine di persone che non commettono nessun reato varcando la soglia dell’abitazione di un signore che gli italiani hanno investito della carica di presidente del Consiglio? E basta a giustificare l’imponente attività investigativa, degna della caccia al più pericoloso dei criminali, la sola ipotesi di un reato a carico di una singola persona?
Ci chiediamo tutto questo, mentre allibiti leggiamo, ben al di là delle pulsioni moralistiche che pur sarebbero giustificate, brandelli di intercettazioni e deposizioni contraddittorie, pasticciate, incomprensibili che mai avrebbero dovuto essere divulgate e che da giorni, invece, sono il pane mattutino degli italiani non saprei quanto schifati, interdetti, allibiti, nauseati non certo dal cabarettismo scollacciato che viene fuori dai verbali, quanto dalla protervia di un potere giudiziario-mediatico nell’offrire la preda braccata ai cacciatori sbavanti.
Inutile girarci intorno: non c’è dignità nell’affrontare colui che da diciassette anni è stato individuato e riconosciuto dalle oligarchie, dai poteri forti, dalla partitocrazia, dagli elitisti straccioni che detestano il popolo e non ne riconoscono le scelte politiche quando vanno nel senso ad esse non gradito come il nemico da abbattere a tutti i costi, sia pure servendosi dei suoi vizi privati e delle sue pubbliche imprudenze.
Al di là di quel che ognuno può pensare di ciò che accadeva nei dopo-cena del Cavaliere, e dato pure per scontato che l’immagine complessiva ( sempre che sia vero quanto leggiamo sui giornali ) che viene fuori non è proprio edificante, resta la domanda: ma era proprio necessario per imbastire un processo mediatico, dall’esito peraltro scontato, ingaggiare ingenti forze dell’ordine a salvaguardia della moralità della Repubblica?
Sia chiaro: il desolante quadro di ragazze, giovanissime e meno giovani, che per bisogno, disperazione o eccesso di allegria si offre nel modo che abbiamo scoperto alle pratiche presumiamo di piacere, possiamo biasimarle finché vogliamo, ma non levano nulla all’indecenza del loro sputtanamento da parte di inquirenti che più dell’investigazione su un presunto reato, sembra si siano dedicati alla che mattanza non prevede regole, né limiti, utilizzando l’arma micidiale delle intercettazioni telefoniche ed un complesso sistema di spionaggio, quello che si riserva normalmente per stanare i peggiori delinquenti, al fine di estromettere Berlusconi dal potere, ridurlo a simbolo del “male assoluto”, esiliarlo dalla comunità civile.
A tale scopo bisognava smembrare le esistenze di persone a cui nulla è imputabile se non l’amicizia con il premier, per cui è stato reputato indispensabile e lecito servirsi disinvoltamente degli strumenti che solitamente s’impiegano per scovare e fermare terroristi, narcotrafficanti, truffatori internazionali. Non so se i solerti inquirenti, animati dal sacro fuoco della moralità, hanno ponderato le loro decisioni vale a dire spiare una moltitudine di persone, torchiandole affinché si contraddicessero, ammettessero, confermassero quanto tra di loro si dicevano al telefono, ben sapendo che con i loro comportamento violavano i presupposti elementari della democrazia che sono dritti umani.
Ma di fronte alla posta in gioco, evidentemente, tutto passa in secondo piano e perciò hanno pensato bene di sottoporre ad una sistematica occulta “sorveglianza” coloro che con il Cavaliere hanno avuto a che fare, il cui “privato” è ora alla mercé di chiunque, propalato a dispense quotidiane da sedicenti autorevoli giornali, anch’essi partecipi dell’immondo safari contro il Grande Corruttore.
Attraverso le intercettazioni, insomma, è stato costruito un girone infernale mediatico nel quale sono finiti tutti quelli che, in un dato periodo, hanno frequentato, al di fuori della politica, il Nemico Pubblico, il Criminale per eccellenza. Il quale, sapendosi difendere, aggredirà legalmente i suoi accusatori, consapevole dei rischi che corre se una qualche accusa dovesse essere provata (nutriamo dubbi al riguardo non essendoci fermati soltanto sulle ricostruzioni noir di pistaroli specializzati nelle presunte abitudini sessuali del Drago).
Ma gli altri e le altre? Mostruosi personaggi, che sembrano usciti da un dipinto orrifico di Hieronymus Bosch, sulla cui pelle resterà attaccato chissà per quanto, senza nessun motivo, il marchio dell’infamia per essere entrati ed usciti dal Tempio della Perversione, vale a dire la brianzola villa di Arcore.
Cosa faranno le decine di innocenti sbattuti sulle pagine dei giornali, schizzati sui siti web di tutto il mondo, in fuga dalle normali persone che salutavano cordialmente fino a pochi giorni fa? Impugneranno le decisioni dei solerti inquisitori e chiederanno giustizia sapendo di non averla né domani né mai? Certo, imprecheranno contro la barbarie delle intercettazioni, ma con poca soddisfazione dal momento che il sistema è stato salvato ed il Grande Fratello ha spalancato le sue orecchie su conversazioni che mai avrebbe dovuto ascoltare.
Nei “Racconti della Kolyma” Varlav Salamov racconta del perfetto ingranaggio spionistico tra i prigionieri del sovietismo trionfante, non diversamente da come l’ha raccontato Aleksandr Solzenycin in “Arcipelago Gulag”: informazioni sottilmente carpite atte a distruggere non soltanto le vite in ostaggio, ma anche le loro famiglie lontane, gli affetti forzatamente abbandonati. Nei nostri non meno miseri tempi, i sorvegliati del gossip giudiziario a fini politici scontano colpe che non hanno, delitti mai commessi, intenzioni criminose neppure immaginate. E sono di dominio pubblico le loro facce, le abitudini che coltivano, i luoghi che frequentano, le provenienze sociali, le aspirazioni che nutrono.
Non so se in qualche altro Paese al mondo per distruggere un primo ministro ci si incanaglisca al punto di mettere a soqquadro le esistenze di persone imputate di nulla e nemmeno indiziate di qualcosa, infangate nella reputazione e private del diritto alla libertà di fare l’uso che credono del proprio tempo, sempre che non costituiscano associazioni per delinquere.
Che cosa c’è nelle centinaia di pagine di intercettazioni inoltrate alla Camera dei deputati ormai lo sappiamo. Di che tenore sarà il dibattito parlamentare non è difficile immaginarlo. Ma in tutto questo affaccendarsi nel costruire il teorema che dovrebbe espellere Berlusconi non soltanto da Palazzo Chigi, ma dalla comunita’ civile, non so dove sono finiti i cultori della legalità e del garantismo?
Evidentemente sono impegnati nel negare che lo spregiudicato ricorso alle intercettazioni sta imbarbarendo il nostro Paese come nessun altro in Occidente, che esse sono strumenti civilissimi anche quando si applicano alla lotta politica. Vorremmo che dessero uno sguardo alle legislazioni della Gran Bretagna, della Francia, della Germania, per non parlare della Spagna dove quasi nessun magistrato fa ricorso a tale strumento investigativo, per rendersi conto della dissoluzione dello Stato di diritto in Italia, mentre nei primi tre vigono regole rigidissime tanto nella predisposizione delle intercettazioni, quanto nei limiti temporali e nell’uso processuale che se può fare.
In nessuno di questi Paesi, comunque, esse possono finire sui giornali per soddisfare l’ingordigia di lettori. ovunque, insomma, tranne che in Italia, essere processati, in assenza di reati specifici sui media senza potersi difendere, è la più mostruosa delle aberrazioni. Se al governo Berlusconi rimanesse la possibilità di far approvare un solo provvedimento prima che salti la legislatura, dovrebbe riguardare la disciplina delle intercettazioni. Senza mediazioni e timidezze. Impedimenti questi, come si ricorderà, che nella stessa maggioranza si sono manifestati fino a bloccare un provvedimento che non riguarda soltanto il presidente del Consiglio, ma tutti i cittadini.
Anche quelle ragazze, che comunque le si voglia giudicare, non hanno meno diritti degli altri nel vedersi messe ai margini della società soltanto perché varcavano un cancello che non si sarebbe mai dovuto aprire davanti a loro.