E’ testa a testa fra destra e sinistra ma tra i due litiganti spunta Lieberman
09 Febbraio 2009
Mesi di campagna elettorale, scossa dall’operazione "Piombo fuso" a Gaza. Una scorsa agli ultimi sondaggi, poi gli appelli per convincere gli indecisi e mettere in guardia gli avversari. Ma domani, a parlare, saranno le urne: nel giorno in cui il nemico numero uno – l’Iran di Ahmadinejad – festeggia il trentennale della Rivoluzione islamica, i cittadini israeliani sono chiamati a rinnovare la Knesset e a dare un volto al successore del premier dimissionario, Ehud Olmert. A fronte di un testa a testa tra i due partiti maggiori – Likud e Kadima – e quella che sembra già una storica affermazione dell’estrema destra di Liberman, una cosa è certa: nessuno sarà in grado di formare autonomamente un nuovo governo. Chiusi i seggi, si aprirà allora il tavolo delle trattative: ed è qui che i partiti faranno valere il proprio peso fino all’ultimo voto.
L’ultimo spaccato delle intenzioni di voto risale a venerdì 6 febbraio: da sabato, infatti, è entrato in vigore il silenzio stampa. Osservando le rilevazioni dei principali quotidiani israeliani, ciò che balza subito all’occhio è una riduzione della differenza tra i partiti di Netanyahu (Likud) e della Livni (Kadima) a soli 2-3 seggi: se Jerusalem Post/Smith e Maariv/Teleseker assegnano 26 seggi al Likud e 23 a Kadima, per Haaretz/Dialogue e Yedioth/Dahaf la differenza si attesta sui 2 seggi (rispettivamente 27 e 25 per il primo rilevamento, 25 e 23 per il secondo). Ancora più appassionante è la sfida per il terzo posto. Se il Labour di Barak si attesta tra i 14 e i 17 seggi, infatti, a colpire i media israeliani è quella che si preannuncia come la vera sorpresa delle elezioni di domani: Yisrael Beitenu ("Israele è la mia casa"). Sotto la guida del controverso Liberman, il partito di estrema destra potrebbe conquistare tra i 18 e i 19 seggi. Per la formazione di Liberman si tratterebbe di un’affermazione storica.
In attesa dei risultati definitivi, abbondano le analisi di politici e analisti. Per rimanere nel campo delle certezze, è ormai assodato un generale spostamento a destra – verso posizioni anche più estreme di quelle del Likud – da parte dell’elettorato. Le cause sono molteplici: si va dalla delusione per la condotta del premier Olmert – pesano sulla sua reputazione la Seconda guerra del Libano e le accuse di corruzione – a quella per la litigiosità del suo esecutivo, passando poi per la recente guerra di Gaza. L’operazione "Piombo fuso", fortemente sostenuta dall’opinione pubblica, viene infatti considerata un mezzo fallimento: domani i cittadini si recheranno a votare mentre razzi di Hamas – anche se in misura minore rispetto a dicembre – continuano a cadere sulle città di Ashkelon e Sderot. Gilad Shalit, poi, resta nelle mani dei miliziani di Gaza: le contradditore notizie sul suo conto – che hanno portato anche ad un piccolo scontro tra Olmert e Barak – non fanno che erodere ulteriormente la fiducia nei confronti dell’esecutivo.
Senza addentrarci in speculazioni premature, resta il fatto che chiunque vinca elezioni – Netanyahu o la Livni – non avrà vita facile nel mettere in piedi una coalizione stabile: stando ai sondaggi, infatti, tanto il Likud quanto Kadima non controllerebbero da soli neppure un quarto del Parlamento. Ed è qui che entrano in gioco i partiti minori, vero ago della bilancia: Labour, Yisrael Beitenu e il partito ortodosso Shas. Come da tradizione, il presidente Peres inviterà a cercare un compromesso tra i primi due partiti: ma neppure l’unione tra Likud e Kadima – comunque difficile, vista la polarizzazione promossa in campagna elettorale – potrebbe garantire una maggioranza. Molti sostengono che Ehud Barak sarebbe pronto a sostenere la Livni tanto quanto Netanyahu, mantenendo la poltrona di ministro della Difesa: il leader del partito laburista, non escludendo una simile eventualità, ha provocato parecchi malumori all’interno della sua formazione. Stesso discorso vale per Shas: il partito ortodosso potrebbe sostenere entrambi i governi, anche se il suo peso non risulta certo decisivo.
Più complessa è la posizione di Lieberman, vera star della campagna elettorale: Yisrael Beitenu, infatti, rappresenta per tutti un problema. Le posizioni di Lieberman – staccatosi dal Likud negli anni Novanta per rappresentare gli interessi dei nuovi immigrati russi – si sono col tempo estremizzate: negli ultimi mesi ha conquistato consensi puntando tutto sul nazionalismo, fino a proporre di togliere la cittadinanza a quegli arabi-israeliani che – nelle loro critiche a "Piombo fuso" – avrebbero sposato l’ideologia di Hamas. Simili affermazioni – così come la forte contrarietà a concessioni territoriali nell’ambito del processo di pace con i palestinesi – rendono virtualmente impossibile un’eventuale alleanza con il centrista Kadima. Lieberman, però, creerebbe imbarazzi anche a Netanyahu: il leader del Likud, che ha cercato di mostrarsi più moderato dopo la vittoria di Barack Obama, si troverebbe infatti alla guida di un governo troppo sbilanciato a destra.
Liberman, in questi giorni, viene preso molto sul serio tanto dagli avversari quanto dalla stampa. Svariati esponenti del Likud – preoccupati dai sondaggi – si sono appellati agli elettori di destra per promuovere il "voto utile": scegliendo Lieberman, infatti, si toglierebbero consensi a Netanyahu regalando a Tzipi Livni la vittoria. E mentre la stampa mostra preoccupata la crescita di consensi attorno Yisrael Beitenu nelle università, Lieberman si gode il suo momento di celebrità: da un lato tiene aperte tutte porte (affermando che Netanyahu non è responsabile degli attacchi che giungono dal Likud), dall’altro rilancia la propria indipendenza prevedendo una crescita del suo partito fino a 30 seggi entro il 2013. Almeno su Hamas, però, sembra avere le idee molto chiare: "Il governo di Hamas deve essere buttato giù. Abbiamo bisogno di un’operazione molto più incisiva di Piombo Fuso". Un pensiero non dissimile da quello della maggioranza della popolazione, che vede cadere i razzi sul Negev mentre il governo tratta l’ennesima tregua.
Al di là di Liberman, le elezioni restano molto aperte: "Haaretz" calcola almeno un 15% di indecisi, una quota di votanti capace di esprimere 18 seggi alla Knesset. Tra questi, fondamentali risulteranno gli arabo-israeliani tanto attaccati da Yisrael Beitenu: da settimane, gli elettori dibattono sulla possibilità di boicottare le elezioni come segno di protesta contro la guerra di Gaza. La loro astensione potrebbe portare i partiti arabi a non superare il 2% delle preferenze, soglia necessaria per accedere alla Knesset. Per decidere c’è tempo ancora qualche ora: domani apriranno le urne, e Israele avrà finalmente un nuovo premier dopo la burrascosa gestione di Ehud Olmert.