E’ un diritto avere un figlio dal marito in coma?

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E’ un diritto avere un figlio dal marito in coma?

05 Giugno 2009

 

“La donna ha diritto ad avere il bambino che desidera dall’uomo che ama. Ora i giudici le hanno negato questo diritto ma la sua battaglia è solo all’inizio, non si deve arrendere, deve continuare a combattere”. Maurizio Mori, docente di bioetica all’università di Torino, in un’intervista rilasciata a Repubblica, condensa così il suo giudizio sulla vicenda di una donna che si è vista negare dal tribunale di Vigevano il diritto di procedere alla fecondazione assistita perché il marito, in coma da gennaio per un tumore al cervello, non ha mai manifestato chiaramente la sua volontà di avere figli. E scoppia il caso.

Noi ce lo aspettavamo. Sapevamo che dopo Eluana tutto sarebbe stato diverso. Che sarebbero passati pochi mesi prima che i giudici venissero investiti ancora una volta del diritto di decidere della vita o della morte di qualcuno. Anche se stavolta – ma bisogna dire almeno per ora, perché gli avvocati della donna hanno già annunciato battaglia – i giudici hanno deciso per il no. Fatto sta che è solo l’inizio di una battaglia che, così com’è, si gioca tutta tra i tribunali, le stanze di ospedale e la coscienza. E il rispetto di una legge (e qui, nonostante quello che si è detto si apre la distanza dal caso Englaro), la legge 40, che pone dei limiti (e nello specifico prevede che entrambi i coniugi forniscano il consenso alle tecniche destinate a renderli genitori) che almeno in questo caso sono stati rispettati.

Severino Antinori, naturalmente, ha tuonato. Forte del diritto all’utilizzo indiscriminato delle tecniche scientifiche ha parlato di “sentenza talebana e religiosa propria di un paese teocratico e clericale”. Utilizzando argomenti d’accusa ormai ai limiti dello stantio il superginecologo non accetta di dover tenere conto di un vincolo normativo stabilito con una legge del parlamento, peraltro sottoposta a referendum popolare. E ha dichiarato la sua intenzione di aiutare la donna in tutti i modi ad ottenere quello che vuole, anche favorendo un trasferimento del caso all’estero.

Antinori e Mori però, difendendo la donna, hanno centrato un altro obiettivo. Hanno interpretato le convinzioni di certa opinione pubblica che ritiene nel pieno diritto della donna il veder soddisfatto il suo desiderio di maternità ad ogni costo. Ed è questa questione, quella che trasforma la volontà in diritto, che più ci fa riflettere. Quello di Vigevano, infatti, è solo l’ultimo esempio della estensione sempre più frequente quanto indebita della categoria del diritto a tutto quello che riguarda la sfera biologica e del corpo. Si delega ai giudici – alla faccia dell’habeas corpus” e della Magna carta – il diritto di disporre della corporeità altrui e si etichetta come un liberticida chiunque provi ad opporsi a tutto questo.

Bene, facciamoci difensori dei diritti di altri abbandonando per un attimo la barca dei liberticidi, e ammettiamo pure che rientri nella categoria del diritto il desiderio della giovane donna di fare un figlio dal marito in coma ottenendo il via libera dai giudici. Ammettiamo per lo stesso principio che chiunque – anche chi ha scontato una condanna per pedofilia, chi non è capace di intendere e volere pur essendo perfettamente cosciente o il boss mafioso in isolamento –abbia il diritto di diventare genitore. Allora come la mettiamo col diritto che ogni un figlio ha di avere un padre? O una condizione di “normalità” familiare? E’ mai possibile che questo diritto non interessi proprio a nessuno?