Ecco come Campi seppellisce i resti del finismo

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Ecco come Campi seppellisce i resti del finismo

06 Aprile 2011

Per una volta rinunciamo a scrivere il nostro ‘Uovo di giornata’ perché consideriamo perfetto ciò che ha scritto sul Riformista il professor Alessandro Campi, ideologo di Fli, direttore scientifico della Fondazione Farefuturo, oggi timonata da Alodolfo Urso, un tempo consigliere politico di Gianfranco Fini. 

Da un estremo all’altro. Dal massimo dell’avventurismo politico-ideologico al massimo dello zelo e della prudenza. Gli ondeggiamenti dell’universo politico finiano continuano ad occupare le cronache.

Due mesi fa sembrava che Fini e Fli fossero disposti a tutto pur di abbattere Berlusconi. Persino a stringere un’intesa elettorale con la sinistra su scala nazionale, la cosiddetta santa alleanza. Prendiamo il caso Pennacchi, l’ideologo del fasciocomunismo.

L’idea che a Latina il Fli possa allearsi col Pd e candidare tra le sue fila Pennacchi è stata rubricata dai vertici del partito, dopo aspre polemiche interne, a poco più che una provocazione.

Dall’accordo politico-elettorale organico con il fronte antiberlusconiano, caldeggiato implicitamente dallo stesso Fini nel momento più alto del suo scontro con il Cavaliere, si è passati nel giro di poche settimane alla bocciatura di qualunque intesa o collaborazione con la sinistra, foss’anche occasionale o su scala periferica. La prima ipotesi all’epoca fu avversata come suicida e innaturale dal fronte conservatore del partito, per cui il nascente Fli, per essere credibile, doveva proporsi come un’alternativa moderata e liberale a Berlusconi. La seconda viene ora denunciata come miope e settaria dall’ala movimentista del partito, per cui non ha senso aver rotto con il berlusconismo se poi non si intende uscire dal perimetro del centrodestra.

Ma se questo è veramente il quadro, la domanda è quanto a lungo possono convivere i due orientamenti. Quello oggettivamente filo-berlusconiano, che preme per riallacciare un dialogo con l’attuale maggioranza e non vuole sentire parlare di aperture a sinistra o di contaminazioni ideologiche, e quello radicalmente ostile al Cavaliere, che preme per allearsi con i suoi storici avversari e sperimentare nuove formule. A quale elettorato può mai rivolgersi un partito che oscilla tra soluzioni tanto diverse, il cui vertice appare indeciso se schierarsi a destra, al centro o a sinistra?

In realtà, quel che colpisce nei comportamenti recenti del partito di Fini, più degli ondeggiamenti o delle divisioni tra "falchi" e "colombe", più dell’eccesso di personalismo che ne caratterizza la vita interna, è la mancanza di spirito tattico e di senso politico, è la tendenza a reiterare in modo ossessivo e propagandistico gli stessi temi e le stesse formule, è la poca originalità ovvero l’assenza di inventiva che sta alla base di molte delle sue scelte o prese di posizione.

Un partito piccolo e leggero come il Fli è dal punto di visto organizzativo, un partito che gode di un buon seguito soprattutto nel mondo giovanile, la cui principale esigenza è al momento quello di rendersi riconoscibile sul piano della comunicazione e dell’immagine, dovrebbe agire sulla scena politica con spirito corsaro, sfruttare tutte le opportunità che gli si presentano dinnanzi, dimostrarsi innovativo e dinamico invece che banalmente polemico e provocatorio.

L’impressione è che invece si tratti di una struttura irrigidita, già prigioniera di beghe interne e di antiche consuetudini, ripiegata sul piccolo cabotaggio e come tale incapace di qualunque azzardo. Come appunto dimostrano le polemiche e le divisioni sulla candidatura, che a questo punto sembra essere sfumata, di Antonio Pennacchi: un’occasione che il Fli avrebbe dovuto cogliere al volo invece di trasformarla in una disputa interna dai dubbi risvolti politico-culturali.

Perché se è vero che allearsi con la sinistra alle elezioni politiche nazionali potrebbe risultare un azzardo dal punto di vista del consenso, se è vero che l’alternativa al berlusconismo non può essere costruita recidendo del tutto i rapporti con il blocco sociale che si riconosce elettoralmente nel centrodestra, se è vero che l’ipotesi dello sfondamento a sinistra è solo un sogno infantile, è anche vero che un’operazione sui generis in quel di Latina avrebbe consentito al partito di Fini di attirare su di sé non poche attenzioni, soprattutto in una fase nella quale ogni curiosità per le sue posizioni sembra essersi affievolita nell’opinione pubblica.

Nessuno, vista la particolarità del contesto e di Pennacchi, avrebbe pensato ad un esperimento replicabile su scala nazionale. Sarebbe stato difficile gridare allo scandalo o all’intelligenza con il nemico. Una operazione di natura amministrativa: confinata dal punto di vista territoriale, ma di alto valore simbolico e comunicativo. Il fasciocomunismo è suggestione storico-letteraria. Nessuno – nemmeno Pennacchi in cuor suo – pensa che possa essere un serio programma d’azione politica o una bandiera elettorale esportabile fuori dall’Agro Pontino. La questione andava insomma affrontata con spirito pragmatico, cogliendone il carattere politicamente originale, l’assoluta unicità e l’indubbia utilità. Chi nei giorni scorsi ha ben riassunto la questione, all’interno del Fli, è stato Benedetto della Vedova, che è ricorso ad una formula semplice ed efficace: “Latina è Latina, Pennacchi è Pennacchi”.

Invece è accaduto che siano prevalsi gli irrigidimenti ideologici e i cattivi umori personali. Adolfo Urso si è opposto alla candidatura con il Fli dell’autore di Canale Mussolini – in gioventù attivista missino, ma da anni schierato a sinistra – sostenendo che Latina è il simbolo della destra italiana. Il che è ovviamente falso, dal momento che Latina è piuttosto la città-simbolo del fascismo-regime, del fascismo popolare e rivoluzionario. Come Pennacchi ha ben spiegato, da quelle parti si votava il Msi non perché di destra, ma nel ricordo del mussolinismo. D’altro canto, tra coloro che hanno sostenuto la candidatura di Pennacchi non manca chi – Fabio Granata – è convinto che il destino del Fli sia far incontrare, nell’Italia di domani liberata dalla cattiva eredità di Berlusconi, gli eredi del comunismo e quelli del fascismo e che l’esperimento di Latina potrebbe diventare un esempio da seguire su scala nazionale: una rivoluzione negli attuali rapporti tra forze politiche. Il risultato di tanta inutile intransigenza, degli opposti veti, è che il Fli ha perso una buona occasione per ritagliarsi uno spazio politico originale e un po’ di visibilità in occasione delle prossime elezioni amministrative.

Alessandro Campi

(Tratto da Il Riformista)