Ecco come gli Usa devono ripensare le relazioni con la Cina
11 Maggio 2012
Il dramma recente scoppiato a Pechino sulla saga del dissidente Chen Guangcheng, mostra due delle caratteristiche più importanti della Cina di oggi e del suo sistema politico. La prima, che nonostante il successo economico della Cina e la crescita nell’influenza regionale, la leadership del partito comunista cinese è profondamente instabile. La seconda, che la popolazione cinese sta richiedendo sempre di più una società più trasparente e leale.
L’insicurezza del partito comunista cinese è stata amplificata dal 18esimo congresso del partito, una transizione senza precedenti della sua leadership, che avrà luogo questo Autunno in uno sfondo di scandali politici locali, tumulti sociali, incertezze sul modello di crescita cinese, e tensioni crescenti con gli Stati Uniti. Il partito teme che la liberalizzazione scatenerebbe forze centrifughe tali da minacciare la sua autorità. Ciononostante persone come Chen, l’artista e dissidente Ai Wei Wei, il vincitore del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, ora imprigionato in Cina, e molti altri, mettono alla luce il potenziale cinese qualora la Cina decidesse infine di liberare il talento della sua popolazione.
Nel disegnare un approccio che ambisca a funzionare nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, dobbiamo comprendere la Cina e tutte le sue complessità – senza scadere nell’iperbole o nelle vane speranze. Affermare che la relazione sino-statunitense sia oggi tra le più importanti al mondo, non è una dichiarare che la Cina si ponga al di sopra dei nostri alleati nella nostra lista delle priorità, né tantomeno comporta alcuna aspirazione a una gestione per così dire “G2” dei problemi globali. Piuttosto, è riconoscere qual è la posta in gioco.
Non c’è nessun altra relazione nel mondo che, se condotta nel modo sbagliato, sia foriera di maggiori conseguenze negative per gli Stati Uniti, per la regione dell’Asia Pacifica, e per il mondo in generale. Al contrario, una saggia gestione di questa relazione renderà noi e i nostri alleati più sicuri, più ricchi e più sicuri della stabilità globale nel futuro.
Le speranze maggiori per una prolungata collaborazione bilaterale arriverà dall’identificazione strategica d’interessi comuni con un punto di partenza di valori condivisi. Sfortunamente, nella Cina di oggi quei valori che condividiamo si trovano principalmente tra persone come Chen, e non nel partito comunista o nel governo.
La politica dell’America verso la Cina dovrebbe poggiarsi sui seguenti pilastri:
Gli Stati Uniti dovrebbero trattare con la Cina da una posizione di forza. Significa tenere in ordine le nostre economie domestiche intraprendendo difficili riforme strutturali. La Cina intraprenderà tutte le interazioni con gli Stati Uniti dapprima valutando le relative forze e la capacità d’influenza su di noi. Se rimaniamo nel nostro percorso attuale di irresponsabilità fiscale, di norme che soffocano l’innovazione e di paralisi politica, quel che possiamo aspettarci è una sempre maggiore assertività cinese e una politica estera cinese dai tratti avventuristi.
L’economia e il commercio devono guidare la nostra politica estera e la strategia per l’Asia. I leader cinesi hanno dimostrato di volere che il commercio sia la linfa vitale dei loro legami nella regione. Oggi Bejing è il principale partner commerciale dei nostri alleati nella regione. Considerate le proporzioni del mercato cinese, dovremmo prendere in serio scrutinio gli effetti secondari di queste relazioni cambiando la struttura degli incentivi nell’area. Washington deve ritornare in gioco con robuste liberalizzazioni del commercio. Oltre agli accordi tra i partner trans-pacifici, dovremmo perseguire liberi accordi commerciali con Giappone, Taiwan e India, e permettere alle imprese americane di entrare in Birmania.
Dovremmo rinnovare i nostri legami con gli alleati-chiave, concentrandoci su sforzi congiunti che ci proteggano da alcune delle più difficili eventualità che potremmo affrontare nella regione da parte di una Cina più aggressiva attraverso il braccio armato dell’Armata di Liberazione Popolare, l’esercito cinese. C’è un vasto potenziale per una collaborazione mirata a risolvere i problemi tra Paesi che condividono i nostri valori, e questo approccio “d’immedesimazione” mostrerebbe a Pechino i benefici [derivanti] dall’essere in buoni rapporti con gli Stati Uniti. Possiamo comunicare con chiarezza ai nostri alleati attraverso le nostre azioni che gli Stati Uniti saranno in grado di proiettare potere nella regione nonostante l’opposizione cinese.
I valori contano. Abbiamo un’opportunità di modellare i risultati vivendo dei nostri ideali e dimostrando che siamo degni dell’ammirazione e dell’emulazione della regione. Questo approccio non solo sarebbe coerente con le aspirazioni di molti in Cina, ma lascerebbe anche la porta aperta per una vera relazione forte sino-statunitense, fondata su valori condivisi – qualora i leader del partito comunista cinese dovessero infine abbracciare le riforme liberali.
Mentre i nostri leader nazionali debbano tentare di coprire il divario comunicativo nel breve periodo, sarà in definitiva le relazioni commerciali quotidiane tra i nostri due paesi, e le interazioni culturali e sociali che trasformeranno i nostri legami bilaterali. Credo che i nostri popoli siano più simili che diversi, penso che non sia azzardato immaginare una Cina futura in cui quelli come Chen Guangcheng siano celebrati tanto dalla popolazione che dal governo cinese, piuttosto che perseguitati. Nel frattempo, dovremo attirare in modo creativo gruppi di persone al di là delle mere relazioni con il governo di Pechino, e permettere il fiorire di una moltitudine di relazioni.
Dobbiamo lavorare con la Cina su interessi condivisi, ma allo stesso tempo rimanere vigili alla natura inevitabilmente competitiva delle nostre relazioni nell’immediato futuro. Ho visto la competizione da vicino, e credo che si possa avere successo con le politiche giuste e una buona leadership.
L’affaire Chen Guangcheng è un caso che possiamo interpretare come fonte di un conflitto o come una breccia dalla quale partire per espandere il nostro dialogo su temi che sono importanti per un numero sempre maggiore di persone in Cina. Il mondo sta a guardare come saremo in grado di cavarcela.
Mr. Huntsman è stato ambasciatore degli Stati Uniti in Cina tra il 2009 e il 2011. Ex governatore dello stato dello Utah e candidato repubblicano alle primarie Repubblicane per le elezioni presidenziali 2012, Huntsman è attualmente il presidente della Huntsman Cancer Foundation.
Tratto dal Wall Street Journal
Traduzione di Matteo Lapenna