Ecco come la Fornero pensa anche alla pensione dei giovani lavoratori

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Ecco come la Fornero pensa anche alla pensione dei giovani lavoratori

26 Dicembre 2011

E’ sfuggita all’attenzione dei commentatori, più interessati agli aspetti di eccessiva severità, in materia di pensioni, contenuti nell’articolo 24 del decreto legge <Salva Italia>, convertito in legge prima di Natale. Della novità,  inserita in una norma programmatica, il comma 28, si è accorta Susanna Camusso in occasione della sua sgangherata polemica con il ministro Elsa Fornero: la segretaria della Cgil ha colto l’occasione, proprio prendendo a riferimento il citato comma 28, per accusare la neo titolare del welfare di voler destrutturare  il sistema pensionistico pubblico nell’interesse delle assicurazioni private. La norma affida ad una Commissione di esperti incaricata di proporre, entro il 2012, possibili ulteriori forme di gradualità nell’accesso al trattamento pensionistico con il metodo contributivo. L’ultimo periodo del comma stabilisce che, entro il termine suddetto, saranno analizzate <eventuali forme di decontribuzione parziale dell’aliquota contributiva obbligatoria verso schemi previdenziali integrativi in particolare a favore delle giovani generazioni>. 

E’ questa un’altra idea che la professoressa Elsa Fornero ha consegnato al ministro Elsa Fornero. Sul piano tecnico il procedimento è definito di opting out . Elsa Fornero pubblicò, all’inizio del decennio per i tipi de ‘Il Mulino’, persino un importante saggio su questo argomento corredato di una proposta compiuta (lo storno – se la memoria non ci inganna – di una quota fino all’8% dell’aliquota contributiva), insieme al suo maestro Onorato Castellino, il primo studioso che lanciò l’allarme pensioni alcuni decenni or sono.

Si tratta di consentire ad un lavoratore, in particolare se giovane e privo di un rapporto di lavoro dipendente (quindi nell’impossibilità di avvalersi del tfr per aderire ad un fondo), di destinare al finanziamento di una forma di previdenza complementare una parte della sua contribuzione obbligatoria. Potrebbe in questo modo, se lo riterrà, distribuire il proprio rischio previdenziale, in modo multipillar,  su di una quota pubblica a ripartizione ed una privata a capitalizzazione, senza dover sostenere maggiori oneri (l’esperienza pratica dimostra che i giovani non si accostano ai fondi pensione proprio perché non dispongono di ulteriori risorse rispetto a quelle che sono tenuti a versare alle gestioni obbligatorie).

Mediante le soluzioni di opting out si otterrebbe certamente una copertura pubblica inferiore (col calcolo contributivo), ma sarebbe possibile ottenere rendimenti più generosi sui mercati. L’operazione (un po’ figlia di un entusiasmo per la previdenza privata che ora si è parecchio attenuato dopo gli shock dei mercati finanziari) non è semplice e contiene qualche rischio di sostenibilità, tanto che la norma prevede una fase di concerto con gli enti gestori di previdenza obbligatoria e con le autorità di vigilanza operanti nel settore della previdenza. Ma almeno si tratta di un’idea più convincente di altre da tempo in circolazione (tra cui primeggia la proposta di rendere praticamente obbligatorio, per via contrattuale, il conferimento del tfr maturando) allo scopo di sbloccare l’insufficiente e squilibrata diffusione della previdenza complementare nelle sue diverse forme.

I dati delle adesioni sono note. Nel 2010 (a cui si riferisce l’ultimo rapporto della Covip) gli aderenti ad una qualche forma di previdenza privata erano 5,3 milioni, così suddivisi: 2 milioni ai fondi negoziali (1,8 milioni dipendenti privati, 136mila dipendenti pubblici, 4mila autonomi); 1,2 milioni ai Pip di nuova istituzione, 610mila ai Pip <vecchi>; 850mila ai fondi aperti (410mila dipendenti e 438mila autonomi); 670mila ai fondi c.d. preesistenti. Merita di essere notato il numero dei sottoscrittori di Pip (piani pensionistici individuali) che denota un <bisogno> di previdenza complementare che non viene raccolto e soddisfatto da iniziative di carattere associato e collettivo. Di questi aderenti è ancora più sorprendente la classificazione professionale: dei Pip <nuovi> (ovvero sottoposti a regole e a controlli più stringenti) i dipendenti dei settori privati sono ben 711mila; dei Pip <vecchi> almeno 200mila. Gli altri sono lavoratori autonomi in ambedue le fattispecie (segnatamente: 450mila e 408mila). E’ assai evidente lo scarto tra gli autonomi che si avvalgono di polizze individuali rispetto a quanti aderiscano a strumenti collettivi.

Il tasso di adesione complessivo (calcolato sull’ammontare dei possibili aventi diritto) è pari al 23% come dato complessivo che si articola così: 27,8% dipendenti privati; 4% dipendenti pubblici; 23% lavoratori autonomi. L’età media degli iscritti è pari a 44 anni (quella dell’insieme degli occupati è pari a 41 anni); il tasso di partecipazione più elevato, in misura del 34%, si trova nella fascia di età compresa tra 45 e 64 anni. L’età media di iscrizione è  pari a 43,7 anni. Gli iscritti con meno di 25 anni sono il 2,5%; in età compresa tra 25 e 34 anni il 17,3%. Il 34,2% degli iscritti è occupato in aziende con più di mille dipendenti, il 13,95 in aziende fino a 19 dipendenti.  Il 66,7% degli aderenti è di sesso maschile con un’età media di 43,4 anni, il 33,3% è donna con un’età media di 42,4 anni. Anche il possibile conferimento del tfr non ha avuto un esito particolarmente brillante. Nel 2010 solo 5,1 miliardi sono stati destinati ad una forma di previdenza complementare, a fronte di circa 13 miliardi di accantonamento annuale (inclusa la rivalutazione) rimasti presso le imprese.

La crisi ha pesato anche sui flussi della previdenza privata. Alla fine del 2010, 170mila iscritti avevano una posizione individuale praticamente inesistente (meno di mille euro). Escludendo quelli che hanno aderito nel corso dell’anno, restano pur sempre almeno 123mila. Circa un milione (19% contro il 17% del 2009) non ha effettuato versamenti. Il caso riguarda soprattutto il lavoro autonomo; nei fondi aperti si tratta del 50% degli aderenti e del 38% nei Pip. Nella componente dei lavoratori dipendenti gli iscritti non versanti sono il 13%.  Il contributo medio annuo per iscritto (per cui sono stati effettuati versamenti nel 2010) è  pari a 2920 euro nel caso dei lavoratori dipendenti, di 2.290 euro se lavoratori autonomi.

Questi dati – altri si potrebbero aggiungere – dimostrano che, nonostante i risultati raggiunti e i tentativi compiuti, l’esperienza della previdenza privata a capitalizzazione rimane un fenomeno elitario, squilibrato e poco sviluppato, specie tra le generazioni più giovani che invece avrebbero bisogno di poter contare su di un sistema a due pilastri. Così, le idee del ministro Fornero meritano sicuramente maggiore attenzione proprio perché tendono a garantire una base economica (ricavata da una <costola> del prelievo obbligatorio) a tutti i lavoratori che intendano avvalersi di un secondo pilastro.