Ecco come la riforma Fornero penalizza i mestieri per i quali c’è più domanda
01 Febbraio 2012
Pietro e Paolo (nomi di fantasia) sono due fratelli gemelli, classe 1970. Oggi, entrambi laureati, il primo è dirigente bancario, con stipendio di 3 mila euro netti mensili; Paolo invece fa il pasticciere per appagare una sua vecchia passione e guadagna, netti, più di 2 mila euro al mese.
L’ultima volta che hanno pranzato insieme con le rispettive famiglie – Pietro vive a Milano, Paolo a Palermo – è stato in occasione dello scorso Natale. Tra una chiacchiera e l’altra i fratelli hanno fatto programmi e sogni sull’avvenire, immaginando il momento della pensione. Siamo nell’anno 2011 e, benché già emanata, la riforma Fornero non è ancora in vigore: aiutati da un cugino consulente del lavoro (anch’egli al tavolo del cenone), dunque, fanno quattro conti su quanto tempo devono ancora lavorare. I gemelli – quando si dice il caso! –, non solo sono nati lo stesso giorno dello stesso anno, ma hanno ottenuto anche il loro primo (e ancora attuale) impiego lo stesso mese dello stesso anno, cioè a gennaio del 1998. Così stando le cose, spiega il cugino, dopo la riforma Sacconi avete le stesse ed identiche possibilità per andare in pensione, ossia le due seguenti opzioni.
La prima all’età di 69 anni circa. E’ la “pensione di anzianità”, ottenibile dopo 40 anni di lavoro (a cui andrà aggiunto un altro anno e qualche mese per la “finestra mobile”); la seconda all’età di 65 anni o anche prima, a propria libera scelta. E’ la “pensione di vecchiaia”, ottenibile dopo 5 anni di lavoro normalmente all’età di 65 anni; oppure prima, ma a condizione che la pensione risulti essere di un certo importo, ossia non inferiore a 515 euro mensili (in valore attuale con riferimento all’anno 2012; il vincolo è avere un assegno di pensione pari a 1,2 volte l’assegno sociale). I due ci riflettono un attimino e poi, alzando i calici in segno di promessa, stabiliscono di puntare a pensionarsi a 60 anni dopo 32 anni di lavoro e aggiungendo 4 anni di riscatto della laurea per avere un assegno di pensione più consistente e vicino al massimo (cioè calcolato su 36 anni di contributi).
Da allora i fratelli hanno continuato a sentirsi ma senza più toccare il discorso sulla pensione, ignari che intanto molte cose sono cambiate. Così è stato fino a ieri quando Pietro e Paolo hanno ricevuto un’email dal cugino consulente. Questi, rammaricato, li informa che non è più vero ciò che è stato detto a Natale e che, pertanto, la loro promessa di andare in pensione a 60 anni non può più essere mantenuta. La riforma Fornero entrata in vigore a gennaio 2012, infatti, ha rivoluzionato i requisiti per la pensione chiedendo sacrifici a tutti i lavoratori. Perciò, spiega il cugino ai fratelli nell’email, se intendete ancora andare in pensione insieme ed il prima possibile, dovrete aspettare almeno i 67 anni d’età (forse di più: dipenderà dalla speranza di vita); se invece rinunciate a volervi pensionare insieme, sappiate che un’alternativa c’è ma è buona soltanto per uno di voi: è quella di andare in pensione a 63 anni, ma l’opportunità è sfruttabile soltanto da Pietro (bancario), non anche da Paolo (pasticciere).
“Ma come:”, è l’ovvia domanda che si fanno i due fratelli, “siamo nati lo stesso giorno dello stesso anno (ci sarà qualche minuto di differenza); abbiamo fatto lo stesso percorso di studi; non siamo certo degli “sfigati”, perché a 28 anni avevamo conseguito la laurea, insieme, lo stesso giorno, nella stessa seduta; abbiamo cominciato a lavorare nello stesso mese dello stesso anno; abbiamo entrambi una famiglia e tre figli… Che cos’è dunque che ci differenzia davanti all’Inps per cui Pietro potrà andare in pensione quattro anni prima di Paolo?”
La risposta sta nel prospetto delle vie d’uscita per la pensione che, con la solita meticolosità, il cugino ripropone nell’email: la prima è la nuova “pensione di vecchiaia”, ottenibile dopo almeno 20 anni di lavoro, all’età di 66 anni oggi, nel 2012, ma che nel tempo salirà almeno a 67 anni; la seconda è la nuova “pensione anticipata”, ottenibile dopo oltre 42 anni di lavoro (quando cioè i fratelli avranno raggiunto l’età di 70 anni); oppure ottenibile a 63 anni di età, dopo almeno 20 anni di lavoro, a patto che – ecco il quid che rende i due fratelli “gemelli diversi” – l’importo della pensione risulti non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale.
“Caro Pietro”, scrive a questo punto il cugino, “tu questo requisito certamente lo raggiungerai con il tuo stipendio da dirigente bancario; infatti, con riferimento all’anno 2012, per il quale l’assegno sociale è pari a 429 euro circa mensili ossia 5.576,87 euro annui, significa maturare una pensione almeno pari a 1.201,20 euro mensili (non inferiore a 15.615,24 euro annuali). A conti fatti, per soddisfare questa condizione, dopo 20 anni di lavoro, serve una retribuzione di almeno 45 mila euro all’anno: ecco, il tuo posto da dirigente bancario ti assicura una paga annuale anche superiore. Così non è per te invece, caro Paolo. Mi dispiace dirtelo ma il tuo sogno da pasticciere – che forse è pure un lavoro più pesante di quello di tuo fratello, anche se con meno responsabilità – ti penalizza perché ti dà una retribuzione che non ti farà raggiungere quel minimo di pensione posto a condizione per lasciare in età anticipata il lavoro. Mi dispiace, ma è ciò che stabilisce oggi la riforma Fornero”.
“Immagino vorrete chiedermi “perché?” e “quale sia la giustificazione sociale di tale disparità di trattamento”, prosegue il cugino nell’email. “Vi rispondo in anticipo: non lo so. Posso dirvi che trovo ingiusto che, a parità di ogni altra condizione, il fatto di dover percepire una pensione più alta possa dare diritto a intascarla prima a chi peraltro (può sembrare una beffa) ha avuto la fortuna di guadagnare di più da lavoratore; e magari anche da cumularla con il proprio reddito se uno decide di continuare a lavorare. Peraltro, simile diversità di trattamento non riesco a giustificarla neppure se penso all’attuale mercato del lavoro, dove c’è proprio un’alta inflazione di certi mestieri che nessuno vuole più fare, tra cui anche quello del pasticciere: insomma, sarà questa una ragione in più per deprezzarli e per far sì che la ricerca del lavoro vada esclusivamente indirizzata verso posti impiegatizi da alti funzionari! Forse è vero ciò che sostenevi tu, caro Paolo, a proposito di questo governo: “tecnici e professori sono troppo lontani dalla realtà quotidiana!”. Avevi ragione ed è questo, adesso, il nostro destino “.
“Vi terrò informati se dovessero intervenire delle novità”, conclude l’email, “anche se ritengo che la probabilità sia molto bassa. Mentre vi sto scrivendo, infatti, leggo su internet una dichiarazione di Elsa Fornero in cui afferma che, sulle pensioni, “questo ministro non è disposto a tornare indietro”.
Certo, questo governo Monti avrà pure fatto tanto per salvare l’Italia… ma quando, per amor del Cielo, penserà a salvare gli Italiani? Baci e abbracci, il vostro cugino”