Ecco come l’America sta diventando una nazione di ‘cristiani senza chiesa’
05 Maggio 2012
di Ross Douthat
Nella storia religiosa americana, l’8 Novembre 1960 è generalmente considerata la data in cui la presidenza cessò di essere ‘proprietà’ esclusiva dei Protestanti. Ma nelle decadi successive, l’elezione del Cattolico John F.Kennedy suonò come un’anomalia temporanea.
Dopo gli anni di J.F.K., molte delle chiese americane entrarono in un inaspettato declino, costrette nel contempo a veicolare il loro messaggio in un’America diversa, più ricca e più permissiva sotto l’aspetto sessuale. Il Paese, nel suo insieme, divenne dal punto di vista religioso più ‘fluido’: maggiori passaggi da una chiesa all’altra e nascita di nuove sette e forme di fede.
I sei presidenti eletti prima della celeberrima svolta di Kennedy furono, nell’ordine: due Battisti, un Episcopaliano, un Congregazionalista, un Presbiteriano e un Quacchero. Invece, i sei presidenti eletti prima della vittoria di Barack Obama sono stati: due Battisti, due Episcopaliani, un Metodista e un Presbitero. Jimmy Carter e George W. Bush si auto-identificarono alla stregua di ‘convertiti’, aggiungendo in questo modo quel tocco di diversità congeniale alla sconfitta dei candidati alternativi che vi si contrapponevano. Anche se in realtà, l’affiliazione religiosa presidenziale è da ricondursi prevalentemente all’era Eisenhower – o a quella McKinley.
Ciò fino a oggi. Nel 2012, siamo finalmente addivenuti a una ‘battaglia’ presidenziale in grado di riflettere appieno la diversità della cristianità americana nel suo complesso.
Barack Obama, Mitt Romney e Rick Santorum si proclamano Cristiani, ma le loro tradizioni teologiche e le loro esperienze personali di fede divergono in modo assoluto da qualunque altro insieme di contendenti alla presidenza del recente passato. Queste divergenze riflettono pienamente l’America odierna: non siamo né Cristiani tradizionali né semplicemente secolarizzati. Invece, siamo una nazione di eretici in cui la maggior parte delle persone si considera Cristiana, rivendicando, però, solo quella parte dottrinaria che considera più congeniale. Nessuno, inoltre, può realmente affermare in cosa consista e come possa essere definita la fede Cristiana.
Questa diversità non necessariamente rappresenta un fattore di forza. Il vecchio Cristianesimo – che includeva la Chiesa Cattolica Romana dei Kennedy degli anni ’50 oltre alle più importanti denominazioni Protestanti – può essere esclusiva, snob e intollerante. Ma l’esistenza di un baricentro cristiano ha tenuto insieme una vasta e brulicante nazione. E’ stata la gerarchia, la disciplina e la continuità istituzionale del Protestantesimo e del tardo Cattolicesimo a portare alla costruzione di ospedali e scuole, orfanotrofi e università, e a integrare generazioni di immigrati. Allo stesso tempo, la ‘mera cristianità’ (frase del teologo C.S. Lewis) condivisa frequentemente dalla maggior parte di queste denominazioni ha fornito un importante cornice per i nostri dibattiti.
Oggi, quei valori religiosi comuni sono quasi completamente scomparsi.
E l’ineluttabilità della polarizzazione religiosa – che vede evangelici contro Mormoni, la Casa Bianca contro la Chiesa Cattolica, o Rick Santorum contro la stampa secolarizzata – in un anno elettorale in cui ci si aspettava che venissero trattati esclusivamente temi economici, è un segno di quel che accade a un paese profondamente religioso quando non è in grado di reggere un’unità teologica.
Questa mancanza di unità è rappresentata alla perfezione dal nostro presidente, Barack Obama. In tre modi. Primo, come una buona fetta di americani (circa il 44%), Obama ha modificato il suo approccio alla religione da adulto. L’aver frequentato da ventenne la Chicago’s Trinity United Church of Christ lo ha condotto dall’agnosticismo alla fede. Secondo, fu convertito da un pastore, il Reverendo Jeremiah Wright, la cui teologia fortemente politicizzata lo mette ai ferri corti con buona parte delle credenze e della dottrina cristiana. Terzo, con la fine dell’esperienza Wright, Obama è diventato quel che il ‘Gruppo Barna’ chiama il blocco dei ‘Cristiani senza chiesa’: americani che accettano alcuni principi della fede Cristiana senza tuttavia partecipare attivamente a nessuna specifica comunità religiosa.
L’oramai designato rivale di Obama alle presidenziali di quest’anno – il repubblicano Mitt Romney – ha condotto un ‘viaggio’ religioso meno carico di eventi. La sua fede è una diretta conseguenza della sua pratica infantile, derivando dalla ‘Chiesa di Gesù Cristo di Latter-day Saints’, una Chiesa da sempre perseguitata e guardata con sospetto ancora oggi. I teologi sono lì ad arrovellarsi se le credenze mormone debbano essere considerate Cristiane. I Mormoni, da parte loro, restituiscono implicitamente il favore; secondo loro, infatti, la vera fede Cristiana venne riportata sulla terra da Joseph Smith dopo due millenni di apostasia.
Ciò, evidentemente, lascia al Cattolico Rick Santorum – [l’articolo è precedente all’uscita dalla corsa delle primarie repubblicane del candidato Rick Santorum, ndt.] l’ormai ex rivale di Romney alla corsa del GOP a anti Obama – la rappresentanza di ciò che l’America di 50 anni fa aveva già riconosciuto alla stregua di religiosità mainstream. Il suo zelo tradizionalista lo ha reso il più grande bersaglio per fascino, sospetto e isteria. E in una nazione multi-religiosa come la nostra, un fedele ortodosso della Cristianità può apparire il più insolito degli eretici.
In questo senso, il fatto che la corsa alla presidenza si sia giocata tra un Mormone, un Cattolico tradizionalista e un credente legato alla teologia della liberazione rappresenta senza dubbio un enorme passo in avanti in termini di tolleranza religiosa.
E’ da notare che i più agguerriti sostenitori di Rick Santorum siano una popolazione che un tempo guardava ai devoti Cattolici con profondissimo sospetto. E se si andasse indietro nel tempo fino ai tumulti dell’era dei diritti civili e si dicesse alle persone dell’epoca che un giorno gli americani non solo avrebbero eletto un presidente di colore, ma anche uno il cui padre spirituale e mentore era portatore della teologia radicale fine anni ’60 – ebbene, quelle stesse persone avrebbero pensato d’esser innanzi a uno scenario fantascientifico.
Tuttavia, vi sono dei costi da sostenere nell’essere una nazione in cui ognuno è eretico per l’altro, e in cui nessuna ortodossia religiosa ha mai realmente preso il sopravvento. La nostra diversità ci ha reso maggiormente tolleranti in alcuni aspetti, ma molto più polarizzati in altri. Il mito secondo cui il Presidente Obama sarebbe un Musulmano, per esempio, trae le sue origini dal suo nome ‘esotico’ e dal suo retroterra keniota-indonesiano ed è divenuto ben radicato nelle coscienze degli elettori di destra, in parte perché la sua prima affiliazione istituzionale è stata con una chiesa che pare molto più estranea a molti Cristiani bianchi che alla Cristianità afro-americana di Martin Luther King, o di Jesse Jackson.
Allo stesso modo, mentre Santorum non è più costretto a mitigare le paure degli evangelici circa una sua eventuale subalternità cattolica al Papa (cosa che invece JFK dovette fare), la sua candidatura è stata in grado di raccogliere ogni genere di paranoia da parte dei secolaristi liberal, i quali, dal canto loro vedono in ogni suo discorso odore di teocrazia (E non solo dai secolaristi: lo scrittore liberale e Cattolico Garry Wills recentemente ha risuscitato la vecchia calunnia di ‘papista’ – una volta molto amata dagli anti-Cattolici Protestanti – per dipingere Santorum alla stregua di un servo del Vaticano).
Nemmeno i lenti progressi di Mitt Romney verso la nomination Repubblicana hanno intaccato il fatto che molti percepiscano la sua ‘Chiesa’ in rapida crescita con profonda sfiducia. Molti sondaggi ci dicono che una buona parte dei conservatori non vogliono votare per un Mormone, cosa che vale in parte anche per gli indipendenti e i democratici. Insomma, il sentimento anti-Mormone è più che mai trasversale e va dai predicatori evangelici fino agli editorialisti di sinistra.
Tali paure e paranoie sono alimentate dal fatto che le chiese d’America sono talmente frammentate e divise al loro interno che difficilmente potranno condurre le persone verso nuovi convincimenti politici. Circa il 75% dei correligionari si identificano come repubblicani, ed è pacifico affermare che mai il presidente Obama avrebbe potuto incontrare sui banchi della chiesa di Jeremiah Wright. Il Cattolicesimo americano ancora oggi ha tra le sue fila membri di entrambi i partiti, anche se la chiesa è rimasta divisa al suo interno tra le fazioni liberal e conservatrice, distanti anni luce tra loro, un po’ come Rush Limbaugh e Bill Maher.
In un’atmosfera simile, sono proprio le differenze religiose, con ogni probabilità, a ispirare barocche teorie cospirazioniste, che venga dal panico dell’estrema-destra verso un’America Islamizzata o dalla paranoia della sinistra per il profilarsi di una teocrazia a guida evangelica. E’ la stessa fede ormai che è diventata più incline a servire obiettivi di parte, sia nella sua declinazione di ‘hope and change’ del messanico Obama sia nei monologhi apocalittici di Glen Beck.
Gli americani non hanno mai separato la religione dalla politica. Differente, semmai, è il modo con cui religione e politica si intrecciano. Quando gli obblighi religiosi sono più dettagliati e le istituzioni religiose più flessibili, è la fede ad ispirare gli elettori ad anteporre gli ideali sopra gli interessi di parte e i politici a negarsi a interessi particolari. Ma quando sono le chiese a dividere, quando i loro seguaci mischiano elementi di varie tradizioni per commisurarle alle loro preferenze, non v’è più alcuna distinzione tra interessi personali e quelli ideologici.
Ed è questo che sta erodendo l’era dei diritti civili. Perché il ‘campo’ religioso americano è stato sicuramente più forte e influente e i predicatori e i ministri che condussero le battaglie del movimento per i diritti civili furono in grado di radunare la più ampia coalizione religiosa possibile. Questo avviene perché hanno condiviso così tanti valori teologici comuni con i Cristiani bianchi, che i leader delle chiese nere furono capaci di utilizzare argomenti di tipo morale e teologico per far effettivamente vergognare molti del Sud ed incanalarli verso l’accettazione dell’eliminazione della segregazione (Quest’ultima storia è stata narrata, magistralmente, nell’’A Stone of Hope: Prophetic Religion and the Death of Jim Crow’).
Ciò ha portato i pastori ad essere seguiti da entrambi i partiti. Le chiese sono state portatrici di autorità morale e la religiosità ha sempre mantenuto un genuino e ampio consenso a livello nazionale.
Con la scomparsa di questa unità Cristiana e con il declino delle istituzioni religiose, manca la capacità di tradurre questi desideri in qualcosa di diverso, in qualcosa che si differenzi totalmente da quanto visto durante quest’ultima campagna presidenziale – che si differenzi dalla divisione, dalla demonizzazione e dalla polarizzazione senza fine.
Ross Douthat è un editorialista de The New York Times. Quest’articolo è adattato e tratto dal suo ultimo libro: ‘Bad Religion: How We Became a Nation of Heretics’.
Tratto da The New York Times
Traduzione di Eugenio Del Vecchio