La clinica londinese Tavistock, che fa parte del Servizio di Sviluppo dell’Identità di Genere (Gender Identity Development Service- Gids ), specializzata nel trattamento della cd. disforia di genere e nel mutamento di sesso nei bambini, finanziata peraltro dal servizio sanitario nazionale, continua ad essere al centro di dispute e allarmi in merito al suo operato.
Ciò che salta all’occhio sulla base dei dati pubblicati dalla stessa struttura sanitaria è il numero di bambini che si sono sottoposti all’intervento di riattribuzione del sesso in soli tre anni, che è cresciuto esponenzialmente.
I dati mostrano infatti che il numero dei giovani pazienti è aumentato di oltre trenta volte in un decennio: dai 77 iniziali ai 2.590 di oggi. Proprio negli ultimi anni si è in particolare passati da 649 bambini, cui è stata diagnosticata la disforia di genere nel biennio 2014-2015, al numero esorbitante di ben 2.364 bambini nel biennio 2018-2019.
Più di qualche preoccupazione al riguardo è stata sollevata non solo dai genitori dei giovani pazienti ma anche dagli stessi esperti. Il Telegraph inoltre riporta inoltre che all’interno della clinica vi sono state ben 35 dimissioni in soli tre anni, tra cui diversi psicologi che avvertono sulle diagnosi “eccessive” di disforia di genere fra bambini. Non solo, gli psicologi hanno pure dichiarato di non essere stati in grado di esaminare adeguatamente i pazienti in quanto condizionati dal timore di venire etichettati come “transfobici”.
A tale proposito il Dr. David Bell, consulente del Tavistock & Portman NHS Trust, era stato contattato nel 2018 da dieci membri dello staff GIDS, pari a circa un quinto di tutto il personale di stanza nella sede di Londra, fortemente preoccupati per le implicazioni etiche derivanti da valutazioni cliniche inadeguate, da interventi medici precoci e dall’incapacità appunto del GIDS di resistere alle pressioni degli attivisti trans. Nel Rapporto interno stilato dal Dr. Bell sono state espresse notevoli perplessità per il fatto che il GIDS non ha tenuto pienamente conto di fattori psicologici e sociali nel background dei giovani, come ad esempio se avessero subito un eventuale abuso o un lutto o se fossero autistici, il che avrebbe potuto influenzare in qualche modo la loro decisione di transizione. Tali considerazioni sono state respinte fermamente da molti attivisti per i cd. diritti dei transgender che ritengono che questi fattori abbiano un ruolo minimo, se non nullo, nel desiderio di transizione in un giovane.
Il “politicamente corretto” dunque colpisce ancora e lo fa a discapito della salute e della vita di giovani e in barba persino alla scienza medica.