Ecco cosa s’annida davvero dietro le dimissioni di Grenell dal team Romney
03 Maggio 2012
Uno dei vizietti dei media italiani quando si tratta di raccontare quello che succede negli Stati Uniti, è la mera riformulazione delle notizie lette sulle maggiori testate statunitensi, generalmente di sinistra, le quali vengono spesso automaticamente riprodotte, "ciancicate" quel che basta, e ripubblicate in Italia. In anno di presidenziali se alle cronache politiche statunitensi s’intrecciano storie di omosessualità, il vizietto si fa ancora più marcato. Una prova? La maniera in cui è stata riportata la notizia delle dimissioni di Richard Grenell.
Chi è Richard Grenell? E’ l’uomo scelto dal team del de facto candidato Repubblicano alle presidenziali Mitt Romney come portavoce per la politica estera e la sicurezza nazionale. Grenell si è dimesso lo scorso 1 Maggio. Dimissioni che sono arrivate esattamente nel giorno in cui egli avrebbe dovuto prendere funzione in quel ruolo. Richard Grenell – che si vocifera lavorerà ora con la Rappresentante dalla California al Congresso Mary Bono Mack-, è dichiaratamente omosessuale ed è convinto sostenitore dei matrimoni omosessuali. Insomma una di quelle storie in cui il progressismo mesta di brutto. Com’è naturale che sia, la notizia è arrivata anche nella provincia dell’impero: l’Italia. Prontamente gli uomini e le donne della redazione online del Corriere della Sera ne hanno dato (?) notizia. Titolo: “Usa, si dimette il portavoce di Romney: «Mi attaccano perché sono gay»”.
Ricostruiamo per un attimo la vicenda. Qualche mese fa Richard Grenell viene assunto dal team di Mitt Romney per occuparsi di quello di cui spesso si è occupato: comunicazione. Nel curriculum di Grenell c’è scritto, tra l’altro, “portavoce dell’ambasciatore alle Nazioni Unite, John Bolton”. Un uomo, Grenell, che conosce il Palazzo di Vetro, che sa muoversi nella macchina burocratica del Dipartimento di Stato e che forse sa il fatto suo in materia di (comunicazione) politica internazionale. Nonostante ciò, negli ultimi mesi, Grenell ha in più di un’occasione ceduto all’incontinenza con qualche tweet infelice (per chi non fosse uso a tali neologismi anglofoni, si tratta dei micro messaggi sul social network Twitter).
Prima Grenell se l’è presa con la capigliatura di Callista Gingrich, la moglie dell’ancora per poco candidato alla nomination Repubblicana, Newt Gingrich. Qualche commento di troppo gli è scappato anche sulla conduttrice della Msnbc (la Rai 3 americana), la ultra-progressista Rachel Maddow. E ancora: le vetriolate al Segretario di Stato, Hillary Clinton, accusata da Grenell d’aver mal gestito dal Dipartimento di Stato le crisi post-rivolte arabe; e poi Michelle Obama per i suoi errori grammaticali; il governo sud-coreano per l’acquisto di petrolio dall’Iran. Queste alcune delle pisciatine (opss!) fuori del vaso di Grenell. Niente di scandaloso per un privato cittadino. Mai offensive le sue parole. Al massimo, acidule, appuntite. Però se si ambisce a un ruolo pubblico e si lavora per un uomo, il candidato Mitt Romney, che fa del moderatismo-conservatore (ci scappa pure l’ossimoro, toh!) una dei cardini della propria offerta politica alle prossime elezioni presidenziali, qualche problema si pone.
Insomma Grenell è uno di quei disgraziati comunicatori affetti da incontinenza espressiva: non proprio un pregio per chi ambisca a ritagliarsi un ruolo nel mondo sdrucciolevole del business comunicativo di Washington DC. Esternazioni che avevano costretto lo stesso Grenell a scusarsi non più tardi di dieci giorni fa per i suoi tweet “tongue-in-cheek”, al vetriolo. Ora la scelta di un uomo come Grenell da parte del team di Romney non era stata accolta con estremo favore da qualche segmento dell’ala tradizionalista cristiana della galassia conservatrice americana. Inizialmente la sua scelta aveva subito l’attacco del presentatore radiofonico vicino alla American Family Association, Bryan Fischer, mormone come Romney – da sempre avversario del candidato Repubblicano ed ex-governatore del Massachusetts considerato da Fischer eccessivamente liberal -, il quale aveva attaccato la scelta di Grenell perché omosessuale e perché peroratore dei matrimoni tra omosessuali.
Altri dubbi erano stati espressi da Matthew J. Franck, del Witherspoon Institute di Princeton, il quale in suo articolo sulla National Review, aveva giudicato povera di giudizio la scelta di un uomo come Grenell, non certo per la sua omosessualità quanto per le posizioni di quest’ultimo sulla parificazione giuridica tra matrimoni eterosessuali e unioni omosessuali, le quali confliggono con le attuali posizioni del candidato Romney. Di per sé la cosa non dovrebbe destare stupore: che un addetto stampa, o capo della comunicazione che sia, omosessuale e pro-equiparazione, sia in disaccordo con il proprio boss politico, dovrebbe essere perfettamente lecito. Anche il presidente Obama pubblicamente si dice contrario a una legislazione federale (non alle nozze in sè) in favore dei matrimoni omosessuali e non dubitiamo che alcuni dei suoi sottoposti siano o possano essere invece a favore.
Il problema per il team del Repubblicano è d’opportunità e si pone quando il candidato in questione, Mitt Romney, da governatore in Massachusetts, uno degli stati più liberal d’America, aveva formulato una politica in favore delle unioni giuridiche tra omosessuali, quasi equiparativa, per poi dirsi oggi per una definizione solo eterosessuale del matrimonio. Un uomo come Grenell è il genere di membro dello staff che rischia di ricordarti troppo spesso (e soprattutto di ricordare alla stampa obamiana che nei prossimi mesi farà il vetting, le pulci a Romney) chi eri in un passato non troppo lontano che vuoi sia presto, o almeno pro-tempore, dimenticato.
Di fatto, che sia per una forma acuta d’incontinenza telematica o per le sue posizioni sul matrimonio tra omosessuali, le dimissioni di Richard Grenell non sono state né indotte, né provocate a causa del proprio orientamento erotico-sentimentale. E che non fosse stato messo in condizione di parlare pubblicamente di faccende di politica estera negli ultimi giorni, come il quotidiano Politico.com ha insinuato, indica solo che i vertici dello staff di Romney non si fidavano delle capacità comunicative dell’uomo alla luce anche del suo record twitteresco.
Quel che conta è che Grenell se ne sia andato di sua sponte e non cacciato "perché omosessuale" come ha insinuato anche il Corriere. L’ultima frase della sua nota di dimissioni è più che eloquente: “… Voglio ringraziare il governatore Romney per aver creduto in me e nelle mie abilità, e per la chiarezza con cui ha reso chiaro che il fatto che fossi apertamente gay fosse un non-problema, tanto per lui che per il suo team”. Tornando al titolo e al contenuto dell’articolo sulla faccenda de il Corriere.it, con il suo “…: Mi attaccano perché sono gay” (peraltro a quel che è dato sapere dichiarazione mai pronunciata da Grenell e riportata col solo intento di far emergere un presunto bigottismo nei confronti dell’omosessualità in campo Repubblicano) si dimostra una scelta poco saggia e incline al ruolo di mero moltiplicatore di notizie date altrove, magari sulle pagine pro-omo dell’Huffington Post.
Ci pare che si tratti di prendere atto che v’è una bella differenza tra l’attaccare, o addirittura spingere alle dimissioni, un professionista dichiaratamente omosessuale perché omosessuale (una posizione certo di retroguardia ma che dovrebbe essere comunque legittima sul piano politico se espressa in modo articolato e non violento), e attaccare un professionista omosessuale per le prioprie posizioni in materia di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Pure volendo pensar male – e prendendo le richieste fatte a Grenell da parte del team Romney a tornare sui suoi passi poco dopo l’annuncio solo come una necessaria ‘ammuina -, quel che è certo è che, se del caso, Grenell è stato spinto alla porta perché in favore delle nozze omo e non perché omosessuale. Chi non vuole vedere questa differenza, è probabile sia solo in malafede.