Ecco cosa si cela dietro le ambiguità americane sulla crisi dell’euro
31 Luglio 2012
di E.F.
Tra le varie domande che ancora non hanno trovato risposta quando parla di politica estera statunitense obamiana sull’Europa, due saltano agli occhi: qual è la partita che la Casa Bianca sta giocando sulla crisi fiscale dei paesi europei mediterranei e quali sono gli interessi che il governo statunitense sta cercando di tutelare? Si tratta di due domande da ‘un milione di dollari’, come si usava dire un tempo, e difficilmente un’analisi sarà dotata di validità unanime.
Ciononostante, val la pena tentare d’analizzare le mosse del governo americano in queste ultime settimane, anche alla luce del tour europeo del Segretario al Tesoro americano, Timothy Geithner il quale ha recentemente incontrato il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, e le quasi quotidiane conversazioni tra il presidente Usa, Barack Obama e il presidente Mario Monti.
Partiamo da Geithner. Solo due giorni fa, il capo del Tesoro Usa è stato ospite del suo omologo tedesco sull’isoletta tedesca di Sylt ove proprio Schäuble ha la sua residenza estiva, la stessa nella quale giorni fa il governatore Mario Draghi è stato a sua volta accolto.
E’ molto plausibile che Geithner sia andato a reiterare la posizione americana sulla crisi europea: agire con gli armamenti pesanti rispetto alla crisi in corso, o detto altrimenti, dare ai mercati una definizione chiara della tabella di marcia che la leadership europea intende intraprendere per risolvere i guai dell’area monetaria e la crisi fiscale dell’Europa del Sud.
Il governo del presidente Obama ha una grande urgenza di capire quali saranno le mosse che gli europei intendono mettere in capo per affrontare il caldo Agosto dei mercati, mese che, sì, è soggetto a un forte rallentamento negli scambi tra gli operatori finanziari e che è segnato generalmente da poca liquidità, ma in cui è alto il rischio volatilità (ne sa qualcosa il premier italiano Silvio Berlusconi).
Insomma il presidente Obama non vuole ritrovarsi a dover gestire una crisi europea in pieno Settembre, quando il giro di giostra conclusivo delle presidenziali avrà inizio. Le conversazioni telefoniche tra il presidente Barack Obama e un leader europeo come Mario Monti, un uomo considerato vicino all’America, dicono proprio che la leadership d’Oltre Atlantico intende monitorare da vicino il decision-making process, il processo d’assunzione delle decisioni europee e se possibile condizionarlo.
D’altronde la posta in palio si chiama ‘controllo della branca esecutiva del governo degli Stati Uniti’. Quel che però rimane poco chiaro, è la visione strategica che gli Stati Uniti vogliono esprimere sul futuro dell’Europa: hanno intenzione di sostenere un progetto come l’euro, seme fragile di un’unità politica, oppure fanno ‘ammuina’, ovvero intendono prepararsi in modo discreto alla fine dell’unione monetaria del Vecchio Continente, pronti a trarne vantaggio, come forse è giusto che sia per una nazione che agisce nel mondo in ossequio alla ricerca di un equilibrio politico tra principi e interesse nazionale?
Detto differentemente: Washington agisce ancora come potenza egemone che orienta e guida i fenomeni internazionali, oppure nella capitale americana è già avvenuto uno slittamento nel pensiero strategico dominante che mette fine all’era del laissez-faire nei confronti degli europei e che riporta al centro gli interessi puri dell’America?
Purtroppo, nel mondo che il politologo Ian Bremmer ha recentemente definito “G-Zero”, il ritorno in auge nel pensiero strategico statunitense della centralità dell’interesse nazionale americano non dovrebbe stupire. Questa è la multipolarità: ogni nazione per sé. Anche l’America sarà costretto a farlo se vuole sopravvivere e se l’agnello sacrificale della sua rinascita passerà ancora una volta per un’ulteriore perdita di potere dell’Europa, non c’è da contare su eventuali esitazioni della Casa Bianca, Dopo tutto, politics is politics, la politica è la politica.