Ecco dove finiscono i ragazzi arrestati dal regime e chi sono i carnefici

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Ecco dove finiscono i ragazzi arrestati dal regime e chi sono i carnefici

04 Luglio 2009

È possibile fare una rivoluzione via internet? È possibile sconfiggere un regime assassino guerrafondaio e folle tramite blog, forum, passaparola virtuali e comunicazioni fra i giornali di tutto il mondo? Non lo sappiamo, poiché è una sola la cosa che sappiamo: che bisogna provarci. E che quei ragazzi (ma anche distinti signori, professori, gente comune, uomini e donne) che a Teheran stanno rischiando la vita o l’hanno già persa non meritano d’essere lasciati soli da noi distratti occidentali, e se c’è un momento in cui ci sentiamo fratelli – cristiani, musulmani, europei, arabi, americani, persiani, laici, religiosi – è adesso, proprio in questo momento, contro il tiranno.

Allora, mentre la dittatura degli ayatollah ha appena fatto iniziare le pubbliche impiccagioni degli avversari politici, riportiamo con tenacia l’appello rimbalzato in queste ore dall’Iran, agli Stati Uniti, all’Italia, e segnalato dal celebre blog Secondo Protocollo, molto attento ai diritti umani. Le persone scomparse in Iran sono ormai migliaia e non se ne sa più niente, quindi all’orrore si somma la tragedia dei parenti tenuti all’oscuro sulla sorte dei propri cari secondo un ben noto modulo “argentino”. Qualcuno però continua a combattere cercando informazioni e denunciando le violenze, come per esempio Bahram Moshiri: iraniano trapiantato in Usa, da anni è attivista per i diritti umani tramite un blog e un suo canale televisivo che trasmette via satellite fino a poco fa visibile anche in Iran; non essendo legato a nessun gruppo politico particolare, la sua missione è solo salvaguardare i diritti umani nel proprio paese, quindi è il bersaglio ideale per i Pasdaran. Per mezzo di un attivista iraniano, Moshiri è riuscito a contattare la redazione di Secondo Protocollo con una documentazione importantissima sugli arresti illegali che vengono compiuti dal governo iraniano. Queste informazioni gli sono state a sua volta confidate da un ex sergente in pensione della NAJA (Islamic Republic Armed Forces), forse con qualche rimorso sulla coscienza. Ecco cosa ne viene fuori, come riportato da Secondo Protocollo.

«Il sergente (di cui Moshiri non vuole né può fare il nome) ha rivelato la strategia del regime e le persone coinvolte nell’oppressione del popolo iraniano fuori sulle strade. In particolare lui racconta che gli arrestati da tutte le province di Shiraz, Esfahan, Kermanshah, Ghazvin, Oroomie sono stati portati a Teheran, e assieme a quelli arrestati nella capitale vengono prima raccolti nella base di Eshrat Abad, a Teheran. Lo scopo dell’operazione è mettere i prigionieri sotto tortura, farli confessare e dire che sono stati ingaggiati dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per compiere una “velvet revolution” in Iran (in poche parole, che tutto è stato organizzato dall’Occidente). Gli arrestati vengono poi trasportati in una prigione segreta localizzata in prossimità di Shahr-e-Rey (fuori Teheran, verso sud), vicino alla località Khak Sefid nei pressi di Kahrizak (zona industriale con capannoni e magazzini), all’interno del deserto (http://maps.google.it/maps?hl=it&tab=wl&q=iran%20kahrizak).

I parenti di questi prigionieri li vanno a cercare in giro per le prigioni delle varie città, naturalmente invano e senza esito. La prigione è stata costruita l’estate scorsa per mantenere questo tipo di operazioni fuori dalla vista nel caso d’eventuali ispezioni da parte dell’Onu o di organizzazioni umanitarie. Il capannone è composto da quattro stanze, una quarantena, un numero imprecisato di stanze adibite a interrogatorio, una sala grande e nessuna struttura medico-sanitaria. C’è solo un’ambulanza in caso d’emergenza per accompagnare gli arrestati in alcune strutture sanitarie segrete. L’ordine imperativo è infatti che i prigionieri non devono morire prima di confessare. I prigionieri sono nutriti una volta al giorno con un pezzo di pane e patate. Vengono mantenuti nudi o al massimo in mutande. Non c’è né aria condizionata né riscaldamento. I prigionieri vengono picchiati e torturati. Sono interrogati generalmente nudi e vengono applicati i metodi più crudeli di tortura. Gli si rompono le dite e le gambe. Hanno gli organi interni danneggiati dai calci e dalle bastonate di ferro. L’ordine dall’alto è di farli confessare e poi giustiziarli, e il numero degli arresti ed esecuzioni deve assolutamente arrivare a essere molto elevato per mettere terrore tra la gente.

Ecco i nomi degli ufficiali che guidano l’operazione:

1) Mahmoud Barghe Zarrini

2) Ahmad Radan (cognato di Ahmadinejad)

3) Moghaddam

Ed ecco i nomi di chi interroga, tra i più feroci del regime:

1) Saeed Akbar Manafi

2) Alireza Ahmadi

3) Bahram Moghadam

4) Naser Kiasar

5) Reza Safari

6) Abbasali Ghomi

7) Akbar Mohamadi

8) Ahmad Ali Eidi

9) Abolhassan Zafarani

10) Seyed Ali Mohamad Hasani

11) AbdolHadi Zavalghadar

12) Sadeghi

13) Haaj Komeil

14) Haaj agha Abbassi

15) Seyed Mashalla».

Il presidente di Secondo Protocollo, Franco Londei, ricevute e controllate questi documenti, ha scritto una lettera all’Onu, alla Ue, e al Ministero degli Esteri italiano – in qualità di Paese ospitante il G8 – chiedendo formalmente un’immediata ispezione internazionale al carcere in questione: «Ho parlato personalmente col Ministero dove mi hanno confermato d’aver ricevuto il dossier», spiega Londei, «ma al momento non abbiamo avuto alcuna risposta ufficiale. Per l’Onu ci vorranno settimane, ma speriamo che almeno il governo italiano possa utilizzare queste informazioni per togliere il velo all’ennesima enorme violazione dei diritti umani perpetrata dall’apparato repressivo di Teheran. Ora tutti sanno dove sono i ragazzi spariti e detenuti senza alcun capo di accusa (e sono in migliaia). Occorre fare subito qualcosa».

Noi, da parte nostra, restiamo al fianco del popolo iraniano che chiede a gran voce la fine del regime khomeinista.