Ecco i pericoli legati ai fondi sovrani

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Ecco i pericoli legati ai fondi sovrani

La questione dei “fondi sovrani”, che queste colonne hanno affrontato una settimana fa, sta registrando un crescente livello di attenzione anche a casa nostra.

E questo – passateci la cattiveria – è un evento almeno in parte sorprendente, dal momento che i mezzi di informazione italiani ci hanno abituati alla loro lentezza nel captare le repentine evoluzioni dei mercati.

E tuttavia non potrebbe essere altrimenti, vista l’insistenza con cui questi fondi (che sono detti “sovrani” perché costituiti da Stati-nazione, che li alimentano con denaro pubblico e li gestiscono direttamente in proprio) si presentano sulle scene finanziarie di mezzo mondo negli ultimi mesi.

D’altra parte, l’attivismo dei “fondi sovrani”, le cui disponibilità si stimano attualmente pari a 3.000 miliardi di $, è certamente facilitato dalla debolezza dei principali istituti di credito e banche d’affari – Northern Rock, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Citigroup.

Gravemente colpiti nei propri bilanci dalla crisi della finanza sintetica, che li ha obbligati a svalutare crediti cartolarizzati per miliardi e miliardi di dollari, si sono visti costretti a ricorrere a robuste iniezioni di denaro pur di evitare il tracollo.

Il tutto, ovviamente, senza guardare in faccia a chi, questo denaro, lo scuce: in questi frangenti, più che mai, il denaro non ha odore. Per il vero, nel bel mezzo della crisi finanziaria che sta scuotendo i mercati, i politici occidentali sono restii a dare carta bianca ai veicoli “sovrani”.

Sia chiaro da subito, non si tratta di una questione di partiti. Non siamo cioé di fronte a scelte dettate dalla casacca della formazione di appartenenza. I “fondi sovrani” fanno infatti paura ai conservatori come ai progressisti: Sarkozy, la Merkel, Hillary Clinton sono solo alcuni di coloro che hanno denunciato i pericoli che i nuovi arrivati si portano dietro.

E cioé una gran quantità di problematiche anomalie (asimmetrie informative, opacità gestionale, ecc ecc) che le attuali regole dei mercati occidentali sono inadeguate a inquadrare.

Soprattutto, è forte il rischio che questi fondi, invece di inseguire la massimizzazione dei profitti, si disinteressino dei benefici economici per rincorrere obiettivi politico-strategici. Come l’ingresso nei capitali azionari di banche, assicurazioni, società di grandi opere: obiettivi prediletti dai “sovrani”, come denuncia una interessante cronistoria di attacchi – falliti e riusciti – a target occidentali preparata da due intraprendenti banchieri centrali polacchi (Opala, Rybiński, “Gordian knots of the 21st century”, 25 Ottobre 2007, disponibile gratuitamente su www.ssrn.com).

Sarkozy è stato tra i più espliciti nel denunciare i “fondi sovrani”, arrivando a ipotizzare un contro-fondo per resistere ad avances sui gioielli francesi, e individuando nella Cassa Depositi e Prestiti d’oltralpe il candidato per la missione.

La Merkel, a sua volta, ha avallato un sistema di veti e autorizzazioni preliminari in caso di acquisizioni da parte di soggetti stranieri (una misura precedentemente in vigore solo nel settore degli armamenti).

Gordon Brown, alle prese con il crollo verticale di Northern Rock, si è mostrato particolarmente acquiescente con i cinesi, invitando China Investment Corporation a stabilire la sua sede europea a Londra.

E in Italia?

A parte qualche rara presa di posizione netta e decisa – come quella del famoso economista e banchiere Paolo Savona, che dai fondi ha messo in guardia da un pezzo, o di Giulio Tremonti – i commenti molto democristianamente oscillano.

Secondo una lunga tradizione italica, i commenti propongono soprattutto in considerazioni incolore, della serie “da un lato….dall’altro”. Come a dire che di denaro c’è parecchio bisogno anche in Italia, e ci vorrebbe un’”operazione trasparenza”, all’insegna della reciprocità regolamentare.

Un’operazione, però, che dovrebbe inevitabilmente passare da istituzioni europee. Guardacaso, queste stesse istituzioni finora hanno scelto di non scegliere una linea comune, viste le diverse posizioni degli Stati Membri in materia.

Dalla comunità dei think tank americani – particolarmente seguiti dai giovani del partito popolare europeo – si leva la voce dell’American Enterprise Institute, che, di fronte ai tempi lunghi necessari per una regolazione compiuta dei “fondi sovrani”, suggerisce una vera e propria “castrazione finanziaria” nell’immediato.

Mediante la sterilizzazione dei diritti di voto collegati alle azioni acquisite dai fondi sovrani si potrebbero eliminare alla radice i comportamenti “politici” di questi soggetti.  I “fondi sovrani” non disporrebbero infatti del voto nelle assemblee delle società in cui entrano, la cui gestione verrebbe così lasciata nelle mani degli altri azionisti, interessati alla cara vecchia massimizzazione dei profitti.