Ecco la lista dei vincitori e vinti, ma con un po’ di sangue freddo si può rimediare
17 Maggio 2011
Il primo turno delle amministrative lo hanno vinto Luigi De Magistris e Nichi Vendola. Forse si può dire che ha vinto pure Beppe Grillo, ma la sua è una vittoria in solitaria, all’interno di un monologo ossessivo e niente affatto comico. C’è solo da sperare che i grillini siano meglio di Grillo.
Se questi sono i vincitori è più facile capire chi sono gli sconfitti, ed è una lunga lista. Cominciamo dal basso. Dire che De Magistris ha vinto vuol dire che ha perso Di Pietro e che la sorte dell’Idv già ampiamente contesa rischia di sfuggire di mano a Tonino in favore del più intransigente avversario ora incoronato dal consenso popolare napoletano.
Nichi Vendola ha vinto la partita più importante con il suo candidato Giuliano Pisapia, impostosi contro il bersaniano, Stefano Boeri nella sfida delle primarie con 5 punti di distacco. Questo vuol dire che il vendolismo è un fenomeno non più solo regionale ma ormai d’esportazione e che il Pd, oggi festante, dovrà farci sempre di più i conti in futuro.
Così arriviamo al secondo sconfitto di questa tornata elettorale, il Pd che, tranne Fassino a Torino dove si è confermata una continuità molto specifica di quella città, ha fatto correre solo candidati preterintenzionali. Di Pisapia abbiamo detto; Mario Morcone a Napoli è stato il risultato di una pazzesca involuzione delle primarie, con la confitta di Umberto Ranieri voluto dal Pd, la vittoria del bassoliniano, Andrea Cozzolino, le convulse trattative per farlo retrocedere, il tutto per sancire la scomparsa del Pd dalla scena partenopea. Persino il neo-sindaco di Bologna, Virginio Merola è stato il frutto di una serie di fallimenti, dopo le dimissioni forzate di Flavio Del Bono e il ritiro per motivi di saluti di Maurizio Cevenini.
Per il Pd non è affatto un buon auspicio il risveglio elettorale dell’estrema sinistra che pare essere la caratteristica saliente di queste elezioni. Dopo l’esilio sofferto a causa della “vocazione maggioritaria” di Veltroni, la sinistra antagonista ha avuto tempo per riorganizzarsi e trovare nuove forme di emersione dal letargo degli ultimi anni. Ne è una testimonianza il successo dei “grillini”, il ritorno di Rifondazione, la forma smagliante di Sinistra, Ecologia e Libertà, la tenuta dell’Idv, il peso di giornali come il Fatto Quotidiano e persino l’attivismo del fronte referendario. Tutti segnali che dicono nulla di buono per il Pd e in particolare per la leadership di Bersani.
Il segretario fa bene a godersi il tepore di questa affermazione del fronte anti-berlusconiano, ma farebbe bene a non scambiarlo per un successo del suo partito e soprattutto a prepararsi a future gelate.
Se le due principali città in palio, Milano e Napoli, sono andate ai ballottaggi si potrebbe credere, come Fini, Casini e Rutelli fanno con notevole iattanza, che si tratti di un succeso del Terzo Polo. Qualcosa che indichi che il bipolarismo è a fine corsa e che senza il supporto dell’opzione centrista non si governano le città e in prospettiva neppure il paese. Ma si tratta di una illusione ottica: è vero che i partiti maggiori perdono entrambi in termini percentuali, ed è vero che non polarizzano più l’elettorato come era successo nel 2008, ma questo, come abbiamo visto non va a vantaggio dei cosiddetti terzopolisti, che non sono decisivi nei ballottaggi: sicuramente non a Milano ma neppure a Napoli. Inoltre l’affermazione di candidati dipietristi o vendoliani mette i centristi in grave imbarazzo: sostenere l’odiato Berlusconi o buttarsi a sinistra? Alla fine resteranno nel vago e confermeranno così la loro inessenzialità.
Veniamo ora alle note più dolenti. La Lega va segnata nella colonna dei perdenti. Ha perso in termini percentuali rispetto al 2008, ha visto fallire il “laboratorio” di Gallarate dove ha tentato l’exploit in solitaria, e si è fatta sfuggire alcune altre tradizionali roccaforti. La delusione del partito di Bossi è forte e non può essere scaricata tutta su Berlusconi, soprattutto a Milano, dove la cattiva prova della Moratti vede Pdl e Lega condividere le responsabilità. Qualcosa non ha funzionato nelle ultime fasi della politica leghista: il doppio registro di lotta e di governo ha confuso gli elettori, scontentato sia i movimentisti che i governativi. Un fenomeno che ha avuto culmine nella gestione della vicenda libica, partita con un sussulto di celodurismo padano e popolare e terminato con una mozione papocchio “alla romana”. Si è avvertita anche una qualche incertezza nella leadership acuita dalle rivalità dei “colonnelli” e un certo eccesso di manovrismo da successione.
Finiamo la lista con Berlusconi e il Pdl. Il Cav. ci ha messo la faccia, la fatica e il sudore ma non è stato premiato: le sue preferenze a Milano si sono dimezzate. Qualcosa su cui riflettere. La politicizzazione estrema dello scontro milanese non ha pagato, così come non è servito concentrare l’attenzione su toghe rosse e dintorni. Il magro risultato di Lassini sta lì a dimostrarlo. C’è la sensazione che questa volta Berlusconi abbia perso la sintonia con il suo elettorato: gli parlava di giudici e loro si aspettavano buche, predicava contro la sinistra che non si lava e loro pensavano a una città da ripulire. Insomma troppa poca Milano in campagna elettorale mentre alla fine a votare sono i milanesi. Per questo è sonora anche la sconfitta della Moratti che il polso della sua città avrebbe dovuto averlo più preciso. Forse mal consigliata dai suoi spin doctor, il sindaco uscente ha provato a recitare una parte che non è la sua. Le avranno spiegato che era algida e snob e lei si è messa a ballare e cantare canzonette per far felice il volgo. Invece avrebbe dovuto fare meglio quello che sa fare: l’imprenditrice, la donna pragmatica e capace di decidere, quella che promette e mantiene metropolitane e servizi per i cittadini, una che sa parlare alla Milano borghese e moderata perché è da lì che viene. Meglio essere più convincenti in ciò che si è che improvvisarsi qualcuno di diverso. Se c’è qualche possibilità di un allungo che le consenta di superare Pisapia è su questa strada che deve correre. Che ne pensa il suo avversario del “socialismo municipale”, è pronto o no a privatizzare le “municipalizzate” per non farle gravare sulle tasse dei cittadini? O non è forse vero che il cuore di Pisapia batte per quell’assurdo referendum sull’acqua pubblica che va in direzione opposta. E cosa farà il campione dei centri sociali dei miliardi in ballo per l’Expo? Sarà in grado di non far perdere a Milano questa grande occasione o si barricherà dietro la retorica ecologista? Sono questi i temi da sollevare e sui quali chiedere il voto ai concittadini.
Ci sono 15 giorni per trasformare in un’altra storia lo sbandamento elettorale di domenica scorsa. E insieme c’è un governo da mandare avanti, magari con un po’ più di lucidità, concordia ed efficacia di quanto si sia visto finora. Se ognuno fa il suo lavoro sarà più difficile farselo sfilare di mano. Checché ne dica Bersani.