Ecco le tre prove che #formattiamoilPdl deve superare per sopravvivere

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Ecco le tre prove che #formattiamoilPdl deve superare per sopravvivere

04 Giugno 2012

Il 27 Maggio a Pavia è successo qualcosa che, nell’economia del Popolo della Libertà, ha dell’eccezionale. Per la  prima volta dalla fondazione del partito, 4 anni fa, un gruppo di giovani, riuniti sotto l’hashtag di Twitter #formattiamoilPdl, ha messo in discussione organizzazione, regole e cultura del partito berlusconiano formulando delle proposte di cambiamento.

“La prima volta?”. Alcuni, a questo punto, sgraneranno gli occhi: “E il caso di Gianfranco Fini e di Futuro e Libertà?”. Già, in cosa si differenzia l’iniziativa di Pavia dalla frattura che portò il Presidente della Camera alla rottura? Esattamente questo: la rottura. Fini, infatti, fece coincidere il giorno della proposta con quello della crisi. Tutto si consumò il 22  Aprile 2010 con accuse di tradimento e dita alzate. E’ vero che già  da qualche mese stavano spuntando, in giro per il Paese, i circoli di Generazione Italia, ma l’associazione era l’avanguardia (questa fu la parola usata), se non per il distacco, almeno per una corrente che rimettesse in discussione gli equilibri di potere.

Un caso ben diverso da quello dalla convention di Pavia: #formattiamoilPdl, infatti, non si presenta, almeno al momento, né con velleità di trasformarsi in una corrente strutturata né con un leader carismatico indiscusso. Non c’è nessun Berlusconi, non c’è alcun Fini, né, dietro le quinte, ci sono Montezemoli o Grilli a  tirare le fila e a fare da sponsor. Ci sono giovani sconosciuti o semisconosciuti che, tuttavia, hanno intrapreso il loro percorso politico nel Popolo della Libertà come amministratori locali o come collaboratori di politici.

Alcuni hanno lasciato intendere che  questo presupponga una gestione sotterranea ed etero diretta del movimento. Altri hanno persino fatto l’elenco dei “mandanti” che si nasconderebbero dietro il paravento dei caschetti gialli pidiellini. Ma quali sono questi nomi? Il sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo, Andrea Di Sorte, Piero Tatafiore, Federica De Benedetto, Alessandro Biafora, Giorgio Silli, Giuseppe Pedà, Mariachiara Fornasari, Lucrezia Pagano e Alberto Villa. Persone poco o per nulla note  al grande pubblico che rappresentano quelle seconde file di“manovalanza” largamente utilizzate dal Pdl in questi anni ma che sono state sorpassate, specie nelle liste protette, da individui selezionati attraverso criteri legati all’amicizia o alla fedeltà.

Le richieste di questi ragazzi non sono state, però, poltrone o quote, ma il recepimento di un programma in 10 punti. Almeno tre di questi sono vere e proprie randellate al partito di Berlusconi: primarie a tutti i livelli, no a candidature di chi ha la fedina penale sporca, facce nuove. Il Popolo della Libertà avrebbe potuto ignorare queste istanze anche perché, va detto, #formattiamoilPdl registra una certa ostilità di alcune frange del movimento giovanile, specie quelle più vicine all’ex Ministro delle Politiche Giovanili e parlamentare del Pdl Giorgia Meloni, che ha mantenuto il controllo di molti dei gruppi provenienti dall’area ex An. Il segretario Angelino Alfano,invece, si è recato a Pavia, dove prima di lui avevano avuto il coraggio di mettere piede solo un pugno di parlamentari, promettendo che non ci sarebbero stati più listini di paracadutati.

Inutile dire che, a seguito di questo impegno, quello che avrebbe potuto essere un Vietnam si è trasformato in una marcia trionfale, col segretario osannato mentre indossava il caschetto giallo simbolo della manifestazione. Tutto sembrava procedere a gonfie vele per i formattatori, finché…  Il 1 giugno, viene convocato un incontro congiunto dei gruppi parlamentari del Popolo della Libertà, alla presenza di Silvio Berlusconi. Ovviamente la riunione non è stata convocata per il caso pavese, ma per evitare lo smottamento che potrebbe portare ad autorevoli addii e per placare i malpancisti che, temendo di non essere più rieletti, vorrebbero accelerare la fine del governo Monti.

Il Cavaliere ha una parola per tutti, comprensivo e istrionico. Non si risparmia neppure la solita provocazione. Alla fine, però, resta il punto che grava come un macigno sull’assemblea. Che non è, a mio modo di vedere, quello di #formattiamoilPdl, ma l’indiscrezione riguardo ad una squadra di volti nuovi che il Presidente starebbe selezionando ad Arcore per lanciare un progetto più affine alle sue corde barricadere filogrilline. Molto più facile, a questo punto, denigrare i “ragazzotti” che vorrebbero governare l’Italia “senza di noi”, piuttosto che smentire il proprio progetto. E infatti sul “puntum dolens” Berlusconi sembra aver detto tutto senza aver detto, in realtà, assolutamente nulla. I formattatori incassano e, ricordando che il loro interlocutore è Alfano, cercano di mantenere una linea di dialogo aperta.

In realtà ciò che appare evidente è che Alfano tiene fermo il movimento mentre il Berlusconi lo attacca allo stomaco: giovani o non giovani, non ha mai consentito che un movimento ribelle uscisse dalle riserve indiane del dissenso silenzioso. L’unica volta che è capitato, con Fini, si è visto che è accaduto. Che opzioni restano attualmente ai formattatori per portare avanti la propria strategia? Tre.

La prima: abbassare i toni e consolidarsi. Utilizzare quello che si potrebbe chiamare il “metodo Maroni”. Consolidarsi a livello nazionale sfruttando tecniche di attacco mirato su obiettivi facili con rapide ritirate. Lasciare fare il lavoro sporco, di critica, agli amministratori locali, che possono godere di un proprio consenso elettorale indipendentemente dal supporto del partito. L’obiettivo dev’essere quello di cambiare il partito, senza cadere nella trappola di chi vorrebbe una scissione per isolare e distruggere un soggetto che sarebbe inevitabilmente ancora troppo debole per sopravvivere al di fuori del grembo materno.

Il secondo: cercare alleati. E’ paradossale che le correnti giovanili di rinnovamento che stanno nascendo all’interno dei partiti abbiano un atteggiamento snobista o di chiusura nei confronti le une delle altre. L’unico modo per ottenere risultati è creare piattaforme comuni, cercando sponsor al di fuori del mondo della politica. Cultura, impresa, volontariato sono costellazioni che stanno aspettando nuovi interlocutori, a patto che siano meno litigiosi e dogmatici dei professionisti che siedono attualmente in Parlamento e in altre assemblee elettive. Ovvio che un politico, invece, può sottoscrivere le istanze del mondo dei giovani, ma non può in alcun modo ambire a guidarle.

Il terzo: darsi struttura. Si dice che questi movimenti restano “puri” soltanto finché sono appannaggio di tutti e si mantengono in una forma liquida, nel web. La realtà è che tali movimenti non sono immacolati ma hanno un ben identificabile peccato originale: non hanno metodi decisionali e di risoluzione dei conflitti. La rete è un mezzo. Non può essere una regola. E la rete deve  essere utilizzata in modo funzionale alle esigenze di un movimento. Rete non è sinonimo di democrazia diretta. Essa può essere utilizzata per votare più facilmente, per comunicare più facilmente, per mobilitare più facilmente, per consentire il dialogo e anche per manovrare le informazioni o condizionare  le preferenze più facilmente.

E’ per questo motivo che occorre creare un’organizzazione con regole condivise. Più saranno semplici e chiare le procedure di gioco, tanta più gente proverà a giocare. Tre consigli per uscire dall’angolo. In caso contrario gli allori di Pavia rischieranno di diventare ben presto gli Ozi di Capua. O una vittoria di Pirro.