Ecco perché bisogna salvaguardare l’indipendenza della magistratura (e della stampa)

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Ecco perché bisogna salvaguardare l’indipendenza della magistratura (e della stampa)

Ecco perché bisogna salvaguardare l’indipendenza della magistratura (e della stampa)

29 Maggio 2020

Le intercettazioni diffuse in queste settimane dagli organi di stampa pongono in evidenza una serie di temi che meritano probabilmente di essere tenuti distinti.

Il primo tema attiene all’ordinamento giudiziario e riguarda specificamente le modalità di valutazione dei magistrati e di assegnazione degli uffici direttivi, da sempre pacificamente condizionate dall’appartenenzadei candidati all’una o all’altra delle correnti “para-ideologiche” di riferimento. Si tratta di un sistema che viene ancora strenuamente difeso da una buona parte della magistratura, secondo la quale si dovrebbe combattere con determinazione la “degenerazione” del fenomeno correntizio ma non già il fenomeno stesso.A fronte di simili posizioni, che lumeggiano tutte le ambiguitàle incertezze e le difficoltà di reazione diquella che dovrebbe essere la “parte sana” della magistratura, occorre a mio avviso affermare con forza che il solo fatto che i magistrati italiani debbano ancora oggi pesarsi ed organizzarsi secondo criteri legati alle diverse “interpretazioni politiche” del delicato ruolo che sono chiamati a svolgere, costituisce di per sé stesso un fenomeno aberrante. Pensare di poter migliorare il meccanismo di selezione intervenendo sul C.S.M. ma mantenendo in piedi le attuale correnti (che si fronteggiano del resto contestualmente anche all’interno dell’Associazione Nazionale Magistrati) significa nascondere quasi tutta la polvere sotto il tappeto.  

Il secondo tema riguarda le dinamiche di tipo personalistico, le raccomandazioni, gli scambi di favore. I magistrati sono uomini, con pregi e difetti, e non sono certamente tutti uguali in termini di riserbo, di autorevolezza personale e di rigore professionaleSi tratta di un aspetto che non può essere assolutamente sottovalutato perché la credibilità dello Stato coincide con la credibilità dei singoli magistrati. Sarebbe però profondamente sbagliato immaginare che queste intercettazioni possano legittimare una sorta di resa dei conti nei confronti dei magistrati apparsi più ambiziosi e spregiudicati o magari nei confronti di quelli che avevano impropriamente ritenuto di potersi ergere al di sopra degli altri cittadini, rivendicando una superiorità etica che è risultata clamorosamente smentita alla prova dei fatti. In molti, per le ragioni più varie, sentiranno comprensibilmente il bisogno di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, ma è forse opportuno ricordare anche questa volta che le intercettazioni telefoniche dovrebbero rappresentareesclusivamente un mezzo di ricerca della prova e non certo uno strumento di rivalsa o di diffamazione.

Il terzo tema riguarda invece la libera stampa. In una recente intervista Luciano Violante, a lungo considerato come punto di riferimento da una parte consistente della magistratura italiana, ha avuto il coraggio di sottolineare che una parte dei giornalisti italiani sono diventati una sorta di agenzia di stampa collettiva a servizio dei Pubblici Ministeri. Dietro al totem della libertà di informazione si nasconde troppo spesso un rapporto di scambio legato ad interessi reciproci che ha finito per trasformare i più importanti cronisti giudiziari in personaggi molto influenti, a loro volta temuti e corteggiati a seconda dei contesti e delle situazioni. Mentre il processo è complicato e non interessa a nessuno, le intercettazioni hanno molto più successo dei rotocalchi scandalistici e riescono spesso a determinare delle dimissioni immediate. In questo quadro, il Fatto Quotidiano è certamente riuscitointerpretare un ruolo assolutamente inedito nelle democrazie liberali (basti pensare che la relativa sezione è intitolata “Giustizia e impunità”), ma gli altri giornali italiani si sono spesso distinti solo per una maggior timidezza o per un diverso orientamento politico, non certo per una diversa interpretazione del loro ruolo.  

Il quarto tema riguarda invece la politica, perché sarebbe ingenuo nascondere il peccato originale della c.d. Seconda Repubblica. Una volta ammesso, con il placet dell’allora Presidente della RepubblicaScalfaro, che la magistratura potesse tranquillamente porsi al di sopra del Parlamento allo scopo diaffermare la “questione morale” in danno del pentapartito è difficile infatti pretendere che politica e magistratura possano tornare a separarsi come se nulla fosse accaduto.

Proprio per questo il definitivo disvelamento degli stretti rapporti esistenti fra la sinistra italiana e la magistratura organizzata non può passare inosservato, perché dimostra quanta ipocrisia ci fosse, e quanta ce ne sia tuttora, nella pretesa di invocare l’indipendenza della magistratura nei confronti degli avversari politici, salvo intessere contestualmente dei rapporti privilegiati in modo da porsi al riparo dai rischi inevitabilmente connessi all’azione di Governo.

Purtroppo le scorciatoie servono, ma non possono mai sostituire la strada maestra. Se si vuole davvero preservare l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura occorre reinserire l’attività giurisdizionale e la libera stampa all’interno di una cornice costituzionale che salvaguardi la presunzione di innocenza ed il principio democratico. Al processo penale compete il difficile compito di accertare le responsabilità individuali, non quello di legittimare la gogna mediatica o di influire sulle contese elettorali e sulle scelte parlamentari.