Ecco perchè col ritorno del Cav. il Pdl non può permettersi divisioni
17 Luglio 2012
Il cosiddetto ritorno in campo di Berlusconi ha rimescolatole carte all’interno del PdL e ha creato perplessità tra gli osservatori politici. Sul versante interno la sua recente decisione, infatti, ha costretto a un riposizionamento i vertici del partito, che hanno dovuto ricalibrare in fretta le proprie posizioni. Non si è trattato di servilismo o di piaggeria, ma di una obbligatoria prudenza.
Il PdL è sempre stato un partito carismatico, che negli ultimi tempi stava vivendo una non facile transizione per traghettarsi oltre la leadership originaria. Le ultime scelte del leader storico non interrompono questo percorso ma ne modificano i tempi. Non sappiamo come la vicenda evolverà, tuttavia un elemento appare irrinunciabile.
La dirigenza del PdL, al di là di qualunque divergenza di opinione, deve saper mantenere l’unità del partito, evitando dividersi fra neo entusiasti e scettici, ma cercando una linea di condotta comune. In questo il PdL deve saper cogliere l’unico grande insegnamento che la vecchia Dc ha lasciato. La Democrazia Cristiana era un partito diviso in correnti e che appariva frammentato, ma ha sempre mantenuto una unità senza conoscere mai scissioni, dando prova di riconoscersi in un progetto generale. Una caratteristica che si è mantenuta, paradossalmente, anche quando il progetto generale era oramai scomparso con il tramonto dei ‘cavalli di razza’.
Detto questo, è comunque opportuno analizzare le ragioni di questo repentino ritorno. Berlusconi ha sempre espresso una leadership atipica, non assimilabile a quella dei politici tradizionali, ma al contrario venata da forti inflessioni impolitiche o antipolitiche. Ciò dipendeva da un elemento caratteriale, ma anche dal retroterra culturale che portava nell’arena politica: quello di un imprenditore di successo nel settore della televisioni e, più in generale, della comunicazione.
A tal proposito occorre in primo luogo considerare che le maggiori competenze politiche dell’imprenditore milanese sono quelle relative al marketing politico e soprattutto al marketing elettorale. Perciò, appare del tutto logico che, con l’avvicinarsi delle elezioni, voglia far valere tali sue competenze. Peraltro, lo specifico know-how berlusconiano in materia trova il suo terreno più favorevole proprio in occasione delle elezioni politiche. La sua capacità di influire sull’elettorato in campagna elettorale, vale soprattutto nelle competizioni nazionali.
Nelle arene diverse (elezioni per istituzioni locali o sovranazionali), l’elettore risulta molto meno influenzabile da richiami nazionali o di politica generale. Le elezioni per il parlamento, invece, esaltano il valore aggiunto del marketing berlusconiano, che sollecita soprattutto elettori pigri e scarsamente interessati alla politica.
In secondo luogo occorre tenere presente che se tale disegno nasce dal desiderio di portare un contributo al centro destra per ottenere un successo elettorale, esso non è del tutto disinteressato. L’imprenditore milanese vuole risultare decisivo alle elezioni perché poi spera di trovarsi in una posizione favorevole per poter concorrere al Quirinale.
Non sappiamo (anche perché Berlusconi ha ancora alcune spinose pendenze giudiziarie) quanto queste aspirazioni siano fondate, ma ci preme rilevare un aspetto storico-culturale. Per quanto quella italiana sia una repubblica parlamentare (che, peraltro, a lungo si è caratterizzato per un parlamentarismo assembleare, solo parzialmente corretto dalla partitocrazia), nella scala dei valori correnti nella classe politica la presidenza della repubblica è sempre stata considerata l’obiettivo massimo, il traguardo più importante, il coronamento ultimo di una carriera politica,.
Per quel che concerne il funzionamento del sistema politico il berlusconismo ha innovato soprattutto superando gli assetti centristi e inaugurando la democrazia dell’alternanza. Ma non è riuscito a consolidare e fissare questo mutamento di fatto in regole condivise e stabili. Considerata in questa prospettiva, l’aspirazione al Quirinale dell’imprenditore milanese rivela i limiti culturali del berlusconismo. Una modernizzazione sistemica incapace di coerente proiezione istituzionale che resta prigioniera dell’orizzonte assiologico della prima repubblica.