“Ecco perchè dobbiamo riscoprire lo spazio della libertà”. Intervista a Gaetano Quagliariello

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“Ecco perchè dobbiamo riscoprire lo spazio della libertà”. Intervista a Gaetano Quagliariello

“Ecco perchè dobbiamo riscoprire lo spazio della libertà”. Intervista a Gaetano Quagliariello

03 Marzo 2020

“Nell’ambito del pensiero conservatore hanno trovato spazio solo sensibilità securitarie e/o
autoritarie: non c’è stato posto per un pensiero liberale. Uno degli obiettivi di questo libro è la riscoperta di questo spazio”. Così il Senatore Gaetano Quagliariello spiega una delle ragioni che lo hanno spinto a scrivere un libro – anzi, un dialogo – insieme al Cardinale Camillo Ruini, precursore del cosiddetto “ruinismo”, che è “un sistema di pensiero organico”. Dunque, il libro “Un’altra libertà” è l’oggetto principale di questa intervista. A questo, però, vengono affiancati altri temi importanti: come, ad esempio, quello di una classe politica che “non sta tralasciando il pensiero di fondo, sta tralasciando il pensiero tout court”.

Il tema centrale del libro è la libertà, la quale, però, sempre più spesso viene piegata alle ragioni di partiti, di enti o tribunali sovranazionali. Lei ritiene che il politicamente corretto abbia avuto e abbia un ruolo in questo?

Partiamo dal presupposto che il liberalismo non è un’ideologia coerente, è assai diverso dalle ideologie del Novecento. È un filone di pensiero molto diversificato al suo interno che, però, è essenzialmente costituito da due grandi correnti: la prima è di derivazione giacobina e continentale; la seconda, invece, è di derivazione anglosassone e, in particolare, scozzese. Queste due correnti sono identificate sotto una stessa etichetta – liberalismo, per l’appunto – ma, in realtà, sono profondamente differenti tra di loro: il liberalismo anglosassone è estremamente pragmatico e mette nel conto l’imperfezione; quello di derivazione giacobina è estremamente rigido nelle sue asserzioni e tende verso una concezione totalitaria della libertà.

Alla fine della stagione delle ideologie, c’è stato un periodo nel quale tutti si sono detti liberali. Nella realtà delle cose, però, le mentalità sono rimaste molto differenti e questa differenza è venuta fuori nel momento in cui il liberalismo non è stato più à la page. Tale mutamento ha fondamentalmente coinciso con il periodo della grande crisi economica apertasi nel 2008. In questo periodo, le preoccupazioni si sono spostate molto di più sul versante sociale e sulla sicurezza. È in questa fase che noi abbiamo assistito a un’eclissi del liberalismo pragmatico, mentre il liberalismo giacobino – quello diciamo tendenzialmente totalitario – ha resistito anche in quanto sorretto dai luoghi comuni del politicamente corretto. Ciò è accaduto perché nell’ambito del pensiero conservatore hanno trovato spazio solo sensibilità securitarie e/o autoritarie: non c’è stato posto per un pensiero liberale. Uno degli obiettivi di questo libro è la riscoperta di questo spazio. Anche perché, in questo momento storico, c’è grande bisogno di un liberalismo pragmatico, che sappia svilupparsi al di fuori e in antitesi agli schemi del politicamente corretto.

Il Cardinale Ruini, nel libro, parla esplicitamente di una visione relativistica della persona, che affligge questa epoca. Ecco, lei ritiene che sia reversibile questa sorta di “processo”, in base al quale è tutto sempre più relativo?

Sì, ritengo che mai come in questo momento ci sia bisogno di un pensiero forte, perché la mancanza di sicurezza sociale e personale implica la necessità di riferirsi a dei fondamenti. Il problema è saper offrire un pensiero forte, che non cacci dalla porta principale la propensione verso la libertà.

Siamo in un momento storico nel quale tutto cambia molto velocemente. Anche la Chiesa sembra aver trascurato la battaglia sui cosiddetti “valori non negoziabili”. Perché – come si intuisce dal libro – la Chiesa Cattolica non dovrebbe affannarsi a rincorrere questi cambiamenti, ma, al contrario, dovrebbe soffermarsi a ricordare le sue radici?

La Chiesa non è in una situazione semplice, perché il processo di modernizzazione sembra spiazzarla ampiamente. A questa situazione sono state date risposte differenti. Quella di Giovanni Paolo II, forse, per i tempi nel corso dei quali è maturata è stata anche la più efficace. Giovanni Paolo II non ha avuto remore a sfidare la modernità, ma, nello stesso tempo, ha fatto ciò utilizzando gli strumenti della modernità. Ha incarnato un carisma molto moderno, messo però al servizio di principi e valori che sono immutabili. Non è certo un caso che il libro del Cardinale e mio parta proprio dall’Evangelium Vitae. La risposta di Benedetto XVI è stata in continuità con quella di Giovanni Paolo II, ma ha insistito sul tema delle minoranze creative, cioè sulla necessità che la Chiesa accettasse di essere minoritaria, nella prospettiva di ricostruire una civiltà. A posteriori, ciò che si può dire sull’efficacia del suo pontificato è che un Papa deve occuparsi sempre di due stanze, quella dei libri e quella del potere: la soluzione di Benedetto XVI è passata molto dalla stanza dei libri e ha lasciato troppo sguarnita quella potere.

Infine la risposta di Francesco, che a me sembra differente, forse anche per la sua provenienza sud-americana. Questo papato sembra quasi voler assecondare la modernizzazione, infilandosi nelle sue pieghe e nelle sue contraddizioni, mettendo, però, in ombra i temi che, in qualche modo, potrebbero portare la Chiesa ad essere in minoranza, in particolare, appunto, i cosiddetti “principi non negoziabili”. Si badi bene, su questi, da parte del Papa, almeno nei discorsi ufficiali, non ci sono eccessivi cedimenti, perché su temi quali l’aborto, l’eutanasia, la difesa della vita, i discorsi di Francesco sono coerenti con quelli dei suoi predecessori. Allo stesso tempo, è un dato di fatto che nella comunicazione questo aspetto del magistero del Pontefice è tenuto in ombra, mentre si dà molto più spazio a temi più in voga, cercando di inserire la Chiesa all’interno delle contraddizioni che essi determinano.

La politica, per essere al passo con i tempi, sembra che stia trascurando sempre di più il pensiero di fondo che dovrebbe guidarne l’azione e lo fa in ragione dell’immediatezza, richiesta soprattutto dai social network. Questo è vero nella sua visione?

Sì. La politica non sta tralasciando il pensiero di fondo, sta tralasciando il pensiero tout court. Il problema è che oggi quel che conta è sempre più l’effetto immediato e ciò ha due conseguenze: la prima è che il pensiero si indebolisce; la seconda è che il tempo di sedimentazione di un messaggio diventa sempre più breve e questo causa anche un problema serio ai meccanismi della rappresentanza politica. Questi ultimi, infatti, presuppongono la necessità di un tempo di sedimentazione del pensiero; presuppongono che il corpo elettorale assuma le scelte dei suoi rappresentanti, le sedimenti e, infine, dia un giudizio. Se questo spazio di sedimentazione viene meno, si comprime così tanto fino a sparire, non c’è ragione per cui la democrazia debba essere rappresentativa e non diretta. La cosa incredibile è che questa deriva, secondo me, la stanno alimentando anche molti che poi, di fronte all’ineluttabile passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia diretta, giustamente, inorridiscono.

Questa Unione Europea ha abbandonato le sue radici – a partire da quelle cristiane – per trovarsi, poi, sempre di fronte alla necessità di crearne di nuove, al fine di non incorrere in una vera e propria crisi di identità. La nuova vulgata ambientalista ed ecologista può essere inquadrata in questa prospettiva, secondo lei?

Più che la vulgata ambientalista, credo che la vera “ideologia di sostituzione” dell’Unione Europea sia l’ideologia dei diritti. L’Europa è nata sul bisogno di riconquistare la sua identità. Davanti alla distruzione dell’identità originaria, prodottasi a partire dalla Prima Guerra Mondiale, proseguita con la negazione delle radici cristiane, fino ad arrivare ai lager, nel secondo dopo guerra il Vecchio Continente ha guardato indietro e ha cercato di ricostruire e tessere una trama comune. Questa Europa era essenzialmente cristiana, era l’Europa dei sei. Ora il problema è che questa esigenza originaria si è smarrita con il tempo e con gli allargamenti: infatti, un conto era l’Europa costituita dalla Francia, dalla Germania dell’Ovest, dall’Italia e dai Paesi del Benelux; un altro conto è l’Europa dei ventotto, anche in termini culturali. Oggi l’Europa è diventata un’assoluta necessità pragmatica, perché in tempo di globalizzazione è ridicolo pensare di poter far fronte a tutto rimanendo nei confini dello Stato nazionale; lo si vede in tante occasioni, anche ora, con i problemi posti dal coronavirus.

Tuttavia, è difficile stare all’interno di una realtà sovranazionale che non abbia una identità comune. Questa trama condivisa sta diventando l’ideologia dei diritti, in base alla quale l’individuo ha “diritti progressivi”: ogni diritto ne fonda un altro fino ad arrivare all’utopia dell’autodeterminazione assoluta. Questa dei diritti è una tipica ideologia di sostituzione. Presuppone un ideale perfetti sta. E ciò spiega perché l’Europa che era agli esordi avversata dai marxisti, con il tempo è stata conquistata da loro, dai loro eredi e da quel tipo di mentalità. Il paradosso al quale non bisogna cedere è che le diventino ostili quelli che l’avevano pensata e fondata.

Infine una curiosità: come mai ha pensato proprio al Cardinale Ruini come suo interlocutore? Crede in quello che viene chiamato “ruinismo”?

È accaduto questo: il Cardinale Ruini è per me da tempo un punto di riferimento imprescindibile, anche in politica. Ciò mi ha portato a dialogare con lui, e a un certo punto è nata l’idea di ordinare e mettere per iscritto un dialogo che in realtà durava da anni. Ho letto una recensione un po’ urticante, almeno nelle intenzioni, comparsa su ilfoglio.it, nella quale si afferma che il libro non consiste in un vero dialogo perché Quagliariello cede all’argomentare del Cardinale e si appiattisce sulle sue posizioni. C’è qualcosa di vero. Io ho voluto fare soprattutto da spalla, perché mi sembrava importante dare al Cardinale Ruini l’opportunità di ordinare il suo pensiero, e perché credo che il “ruinismo” sia un sistema di pensiero organico. D’altra parte, basterà leggere il libro per rendersene conto…

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