Ecco perché i termovalorizzatori sono sicuri

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Ecco perché i termovalorizzatori sono sicuri

12 Febbraio 2008

Per legge e per
logica la termovalorizzazione è un sistema sicuro, controllato e intelligente.
Vediamo perché oltre ogni ragionevole dubbio.

Chiariamo una volta per tutte i problemi relativi al
trattamento meccanico biologico?

Con il termine di trattamenti meccanico biologici (MBT) si
intendono una serie di processi solo apparentemente simili, che hanno come
scopo quello di intervenire sul rifiuto con processi di selezione e di
modificazione per via biologica dello stato fisico chimico delle diverse
componenti che lo compongono. Tali processi hanno come obiettivo la separazione
di flussi di rifiuti a prevalente matrice biologica (ovvero biodegradabili) da
flussi a prevalente matrice non biologica (ovvero non biodegradabili). Il
metodo prevede che, sfruttando l’attività microbica naturale seppure
controllata, si intervenga sulle componenti biodegradabili, in modo da rendere
tali frazioni stabili (cioè che non vadano più in putrefazione). Tra le
modalità di trattamento biologico applicabili ai rifiuti c’è la digestione
anaerobica. Si tratta di un processo in cui, in assenza di ossigeno, le
frazioni di rifiuto biodegradabili vengono distrutte dalla flora microbica e
batterica presente, fino a produrre un gas con un buon livello di metano. Tali
tecnologie, interessanti perché consentono di produrre energia da processi
biologici – e quindi a bassa temperatura – sono comunque idonee solo per
rifiuti ad alto contenuto biodegradabile e quindi paradossalmente sono non
applicabili come fase finale di un processo di raccolta differenziata, in cui
si ha proprio l’effetto di ridurre notevolmente il contento di rifiuti
biodegradabili. Rispetto ai trattamenti termici, i processi meccanico biologico
pongono il problema della maggiore quantità di materia che resta da destinare a
discarica, non essendo questi in grado di trattare le frazioni non
biodegradabili che, se non inerti, sono invece distrutte dai processi termici.

E’ vero che il trattamento meccanico biologico è
un’alternativa alla termovalorizzazione dei rifiuti?

È da premettere che qualunque programma di gestione dei
rifiuti, sulla base di un processo quanto più efficace ed efficiente possibile
di raccolta differenziata che permetta di ridurre il quantitativo di rifiuti da
destinare a smaltimento, non potrà avere altra alternativa al trattamento
termico di distruzione. Questo perché, il Decreto Legislativo 13 gennaio 2003,
n. 36 “Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di
rifiuti”, a partire dal 1 gennaio 2007 ha vietato lo smaltimento in discarica di
rifiuti aventi potere calorifico elevato (Art.6:
non sono ammessi in discarica rifiuti con PCI (Potere calorifico inferiore)
> 13.000 kJ/kg
). Il problema quindi riguarda la gestione di tutti quei
materiali che, se non riciclati adeguatamente, dovranno essere destinati a
trattamento termico. I processi MBT hanno visto larga applicazione in alcuni
paesi europei, segnatamente Spagna, Italia e Germania. In realtà rappresentano
una gamma molto vasta e variegata di tecnologie che hanno la funzione di
pretrattare il rifiuto al fine di renderlo idoneo o allo smaltimento in
discarica o per processi di recupero energetico.

Esistono altre tecnologie di termocombustione?
Altre opzioni tecnologiche prevedono la possibilità di
avere processi di gassificazione o di pirolisi, che, operando a temperature
medio alte, hanno come obiettivo la trasformazione del rifiuto in composti
gassosi, liquidi o anche solidi combustibili che possano trovare applicazione
in macchine di trasformazione energetica di tipo più convenzionale rispetto
agli impianti di incenerimento. Tali processi nonostante il notevole sforzo di
ricerca che negli anni è stato sviluppato non hanno ancora raggiunto una scala
di garanzia sufficiente a poterne evidenziare l’applicabilità se non in casi
specifici, per particolari condizioni di sinergia industriale o per particolari
tipologie di rifiuti.

La differenza tra nanopolveri e polveri sottili? Dal
camino del termovalorizzatore escono nanopolveri?

Qualunque processo di combustione ha come effetto
indesiderato la produzione di polveri che si caratterizzano in base alla loro
dimensione. Le più piccole sono quelle più difficilmente catturabili e più
pericolose dal punto di vista sanitario. Anche i processi di combustione dei rifiuti
hanno come effetto la produzione di polveri, da quelle più grandi a quelle di
dimensioni tanto piccole da poter essere assimilate per alcuni comportamenti
fisici a un gas. Rispetto ad altri processi di combustione, gli impianti di
incenerimento sono stati dotati obbligatoriamente di sistemi di abbattimento
delle polveri sempre più efficienti. Questo perché, dagli anni ‘90 e a partire
dalle esperienze nordeuropee, i livelli autorizzati sono molto bassi. Questi
sistemi di abbattimento delle polveri, che non hanno invece applicazione in
tutti gli altri processi di combustione, permettono di ridurre i quantitativi
di polveri prodotte e intervengono efficacemente anche sulle polveri finissime
che sono state rilevate applicando tecnologie oggi di largo impiego come i
sistemi di filtrazione a maniche. 

Qual è il risparmio di CO2 rispetto alla discarica?
Il risparmio di CO2 con la distruzione termica rispetto
alla discarica è dovuto a due motivi. Il primo riguarda la maggiore capacità di
produrre energia dai rifiuti anziché da altre fonti che ne produrrebbero di
più. Il secondo effetto di notevole importanza è il fatto che il carbonio
degradabile presente nel rifiuto, se sottoposto a combustione genera solo
anidride carbonica, mentre se lasciato in discarica produce un biogas che non
riesce ad essere completamente intercettato e finisce nell’atmosfera con un
effetto di alterazione climatica 21 volte maggiore dell’anidride carbonica.