Ecco perché il Senatùr spinge per il ricorso alle urne
09 Settembre 2010
Conoscendo la storia della Lega non sorprende poi tanto l’atteggiamento compulsivo del Bossi di questi giorni ed in ultimo l’ipotesi azzardata di sfiduciare il Cavaliere per ottenere il voto subito. Del resto è chiaro che l’unico attore politico a cui in questo momento conviene sopra ogni cosa il ricorso alle urne è proprio il Carroccio.
Si ripeterebbe infatti un risultato molto simile alle ultime amministrative e prima ancora alle elezioni europee, ovvero il registrasi di uno sfondamento leghista sulla spinta del proprio elettorato fidelizzato che fa da contraltare alla diaspora del Pdl ed in genere ad un molto probabile crescere del tasso di astensionismo. D’altra parte, in queste condizioni, la Lega non può che abiurare il decorso naturale della legislatura giacché Fini, e lo ha fatto intendere abbastanza subdolamente a Mirabello con il giochino dell’uomo decisivo in Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo, punterebbe innanzitutto a creare un polarizzazione Nord-Sud sulla riforma federalista per fare ottimizzare la rendita, anche mediatica, del suo nuovo soggetto politico ed insediarlo prevalentemente nel Mezzogiorno. La costruzione dell’utile politico di Fli su questo fronte comporterebbe come suo specchio e fattore il rallentamento e la rilettura costante dell’azione del Governo con continue richieste di modifiche e di condivisione, strumentale, della grande riforma federalista.
Il logoramento di questo progetto comporterebbe per il Caroccio una sorta di annichilimento perché, a differenza di altri partiti, il federalismo per la Lega non è soltanto un obiettivo ma il fondamento stesso della propria esistenza. Bossi dovrebbe spiegare al suo elettorato perché, dopo circa 10 anni di governo (e due diverse legislature), la riforma federalista non sia stata portata a definitivo compimento o comunque a compimento "annacquato"e a poco servirebbe dare la colpa a Fini in quanto i militanti padani, come tante volte dimostrato a Pontida, poco si appassionano alle speculazioni politiche-sistemiche e piuttosto danno retta alle recrudescenze ancestrali del territorio e della comunità del Nord. Per cui logico che nella testa di Bossi e di tutto lo stato maggiore leghista adesso ci sia il concetto tribale, ma efficace, del "voto o morte" ancora più comprensibile se si pensa che il tesoretto elettorale potrebbe anche essere reinvestito in un’OPA a Palazzo Chigi con un’ipotesi Tremonti che vedrebbe il definitivo soddisfacimento delle ambizioni leghiste di rivoltare come un calzino la nostra forma di Stato in senso autonomistico.
Come disinnescare allora questa terribile morsa che vede il Premier stretto tra Fini e Bossi, incudine e martello, nel paradossale scenario che vede l’alleato più fedele spingere per lo strappo traumatico delle elezioni subito e quello infedele attendere l’asfissia per logoramento? Per uscirne il Cavaliere, a dispetto delle strampalate operazioni di pallottoliere parlamentare, dovrebbe ancorare la legislatura a 2 grandi riforme: quella attuativa del federalismo ed il lodo Alfano costituzionale. A Bossi basterebbe spiegare che il compimento del federalismo sarà difeso ad obiettivo primario della legislatura anche a costo dello "show down", voto su voto con la pattuglia dei finiani e questi ultimi, d’altro canto, sarebbero inchiodati su 2 precisi "aut aut", contando che, dopo l’annuncio di Fini, dovrebbero per forza di cose convergere sullo scudo costituzionale al premier, senza ulteriori spazi tattici di manovra. Una legislatura per due riforme dunque, su cui brandire la questione di responsabilità nazionale e di conseguenza la fiducia al Governo. Se riesce a piantare queste 2 bandiere, il Cavaliere potrà dire con sicurezza di aver messo l’orma decisiva sul cammino di questa legislatura, del suo Governo e della sua storia politica.
*è autore del volume "Il Fenomeno leghista perché nasce perché si afferma ", Rubbettino 2008