Ecco perché, in Medio Oriente, un altro re rimarrà nudo

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Ecco perché, in Medio Oriente, un altro re rimarrà nudo

17 Settembre 2012

La Giordania è una bolla che sta per scoppiare. Per fine anno sono state indette le elezioni presidenziali e re Abdallah II fino al prossimo novembre (o inizio 2013: la data è ancora da fissare) dovrà camminare sui carboni ardenti attizzati dalle minacce della fratellanza musulmana forte della vittoria di Mursy in Egitto, dalla crescente crisi economica, dalla situazione del Sinai da dove arriva il rifornimento energetico, dall’incontinente arrivo dei profughi siriani, dagli influenti gruppi tribali spaventati dai centri di potere palestinesi che minacciano i leader tradizionali di discendenza hascemita. Vediamo i vari punti.

Il Fronte di Azione Islamica (FAI), l’ala politica dei Fratelli Musulmani in Giordania, ha celebrato l’elezione di Mohamed Mursy come se avesse vinto uno di loro: in tutto il regno sono state aperte le ventiquattro filiali per distribuire dolci e festeggiare davanti alle autorità giordane e per la prima volta, dopo quasi un decennio, sono stati ricevuti dal re Abdallah II.

La Fratellanza Giordana (Ikhwan al-Muslimeen), fondata sulla stessa ideologia totalitaria del ramo egiziano, nasce nel 1945 e da allora è riuscita a ramificarsi in tutto il Paese creando una rete di istituzioni sociali e assistenziali, moschee e centri religiosi.
Con il vecchio re i rapporti tra la corte e la fratellanza sembravano solidi, nel corso del 1950 re Hussein, costretto a destreggiarsi tra pan-arabisti, comunisti e minacce interne dei gruppi tribali, definì i Fratelli musulmani addirittura come "vera opposizione leale". La popolarità del gruppo è poi è aumentata con la Guerra dei Sei Giorni ma già durante gli anni ‘80 tra la corte giordana e la fratellanza qualcosa iniziò a cambiare a causa di proteste antiregime di quest’ultima, fino al boicottaggio delle elezioni del 1997, quando re Hussein non soddisfa le richieste del FAI (fondato nel 1992) che consistevano nel cambiare il sistema elettorale, alleggerire le restrizioni dei media, migliorare l’autorità parlamentare, attuare le politiche economiche senza l’influenza occidentale USA e annullare il trattato di pace siglato con Israele nel 1994.

Nel 1999 con la morte del vecchio re hashemita e l’arrivo al trono di re Abdallah II per il FAI inizia un duro periodo. Il nuovo re inizia con l’imprigionare alcuni dei leader della Fratellanza e a svolgere un rigoroso controllo delle loro attività ispirate dallo slogan "L’Islam è la soluzione". Ma, oltre ad ereditare il trono, re Abdallah ha ereditato gli stessi problemi domestici del precedente regime acuiti dallo scoppio delle rivolte arabe che hanno incendiato diverse nazioni dell’Area vedendo l’ascesa della fratellanza (e di Al Jazeera).

Re Abdallah II per esorcizzare i venti delle primavere arabe proprio quest’anno ha proposto una nuova legge elettorale dove si prevede che ogni persona possa dare due voti: uno a un candidato dell’elenco di rappresentanti locali e l’altro a uno dei 27 candidati nella lista nazionale con tetto massimo di 5 seggi. Inoltre, questa legge porterà all’attuazione di una norma che consentirà di presentare candidati solo ai partiti autorizzati prima del 2012, e di fatto, quindi, escluderà una determinante rappresentanza alla camera bassa del parlamento giordano dei gruppi più influenti del regno hashemita, cioè la corrente islamica e i giordani di origine palestinese (più del 60% della popolazione) che minacciano di boicottare le elezioni, favorendo invece i clan tribali fedelissimi al re.

Le prossime elezioni, dunque, non si svolgeranno in un clima sereno e ai giordani, oltre alla preoccupazione del sistema elettore, interessa soprattutto conquistare la libertà dei diritti fondamentali ancora minacciati ultimamente da una legge approvata lo scorso 22 agosto che consente allo Stato di“l’oscurare siti internet che rappresentino una minaccia o che siano inadeguati per i cittadini” ma i cittadini non hanno gradito l’ennesima censura da parte del governo accusato da Human Rights Watch di avere messo in atto un giro di vite contro gli attivisti dell’opposizione: "L’arresto da parte delle forze di sicurezza di oltre una quindicina di attivisti pacifici a partire dal 7 settembre – afferma in una nota l’organizzazione per la difesa dei diritti umani – è prova di un atteggiamento più duro del governo di fronte alle richieste di riforme politiche nel regno".

Oltre a ciò va considerata la grave crisi economica che minaccia il regno hascemita su cui grava il peso del continuo arrivo di profughi siriani: dall’inizio delle violenze in Siria, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha registrato oltre 87mila siriani scappati in Giordania, di cui più di 27mila vivono in campi profughi; la crisi economica, dunque, ha spinto due settimane (dopo la preghiera del venerdì) migliaia di persone a scendere in piazza per manifestare una “giornata della rabbia” contro gli aumenti di prezzi dei generi alimentari di prima necessità e di altri prodotti di uso quotidiano: diversi fornitori di telefonia mobile, ad esempio, hanno dichiarato alle agenzie di stampa giordane di aver visto diminuire del 30 per cento le vendite di android e apparecchi di telefonia vari da quando è stata fissata un’imposta dell’8 per cento sui dispositivi mobili. Mentre, proprio la scorsa settimana, il porto di Aqaba, l’unico della Giordania, è stato paralizzato a causa di uno sciopero indetto dal sindacato dei lavoratori nell’ambito di una vertenza salariale. 
Re Abdullah ha spiegato così all’Associated Press la causa della crisi economica giordana: “Il numero uno dei motivi di questo deficit di bilancio senza precedenti è l’aumento del debito nazionale causato dalle interruzioni della fornitura di gas dall’Egitto. Niente di peggio per un Paese che importa il 96 per cento della sua energia e l’87 per cento del suo cibo. Il gasdotto nel Sinai è stato fatto saltare in aria più di 14 volte da febbraio 2011 e quest’anno l’Egitto è riuscito a pompare solo il 16 per cento dei quantitativi contrattuali e solo circa il 30 per cento lo scorso anno”.

Oltre a fantastici proclami, come quello di costruire una Giordania nucleare -visto che secondo stime governative sarebbe stato trovato un giacimento di 20 mila tonnellate di uranio- il re per garantire sicurezza della pipe-line del Sinai egiziano intanto si è mosso per interessere nuovi rapporti con Hamas, padron di Gaza e dunque molto presente in quell’Area.

Grazie alla mediazione del Qatar, quest’anno Abdullah ha incontrato ufficialmente per ben due volte il leader di Hamas Khaled Meshaal il quale si è recato in Giordania anche per viaggi molto brevi, per partecipare al funerale del padre e vedere la madre malata. Le relazioni tra Hamas e la Giordania sono congelate dal 1999, quando le autorità giordane espulsero Meshaal e altri tre membri di Hamas da Amman, accusando il gruppo terrorista palestinese di minacciare la sicurezza e la stabilità del regno. Dopo anni i rapporti sembrano cambiati. Durante il secondo meeting Meshaal ha dichiarato: "L’incontro è utile a stabilire un coordinamento e tra cooperazione tra le due parti. Hamas è pronto a sviluppare nuove relazioni con la Giordania”.

Anche se l’ultimo attentato contro i soldati egiziani di stanza al valico di Rafah non ha fatto fare una bella figura ad Hamas nei confronti di Egitto e Giordania che lo vorrebbero watchdog dell’incandescente terra dei beduini, re Abdallah attraverso “le nuove relazioni” con Hamas punterà a garantire la sicurezza del gasdotto che dal Sinai disseta di oro azzurro la Giordania e Israele (aspettando Leviathan) e saranno “nuove relazioni” utili a mantenere in piedi i gragili equilibri tra i gruppi tribali giordani, la corte hascemita e più del 60 per cento della popolazione che è di origine palestinese, residente nei conglomerati più affollati della Giordania, e sempre più insoddisfatta di un ectoplasmatico Abu Mazen rispetto all’impetuoso Meshaal accolto nei Paesi toccati dalle ‘primavere’ come fosse un capo di Stato e non il membro di un’organizzazione terrorista.

Re Abdallah, dunque, oltre a far dimettere Primi ministri (dal 2009 ne sono cambiati quattro), ad usare il bastone e la carota con la piazza e i gruppi più influenti del suo Paese, a proclami demagogici non sembra fare nulla. In medio oriente , insomma, un altro re rimarrà nudo.