Ecco perché la Russia teme un altro 1991

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Ecco perché la Russia teme un altro 1991

04 Gennaio 2013

E’ ormai sempre più evidente che a Mosca si considera con crescente preoccupazione l’ipotesi di una disgregazione del paese. Insomma, una ripetizione di quello che avvenne alla defunta Unione Sovietica nel 1991.

Quella che in precedenza era una fissazione degli ambienti più nazionalisti, e che si indirizzava soprattutto alla situazione della Cecenia, ha decisamente contagiato i piani alti della politica. Come è noto, il presidente Putin considera la fine dell’impero sovietico una disgrazia senza pari. E non a caso ogni suo sforzo è per ricostruirlo, tramite unioni di tipo economico, politico e militare.

Tuttavia, allo stesso tempo, teme un collasso interno con conseguente disintegrazione nazionale. E’ giusto precisare come nella storiografia russa,nella quale Putin crede, i popoli sovietici vivevano liberi e felici sotto Mosca, ma un complotto occidentale distrusse lo stato, approfittando del fatto che 14 delle 15 repubbliche sovietiche vedevano i russi etnici in minoranza.

A noi può sembrare una visione curiosa delle cose, ma è quella che guida la dirigenza del Cremlino. Ne consegue che il potere centrale ora vede nell’esistenza di numerose regioni, create in base alla presenza di minoranze etniche presenti da secoli, lo stesso pericolo che rappresentarono le repubbliche sovietiche per la sopravvivenza dell’U.R.S.S.

Nel caso, tanto per fare un esempio, di crollo del prezzo del petrolio e conseguente gravissima crisi economica interna, potrebbe esserci un altro “complotto internazionale” che userebbe queste regioni per provocare uno sfaldamento della Federazione Russa?

Fatti successi di recente fanno pensare che la risposta che ci si è dati a Mosca sia affermativa. In breve successione temporale si sono poste in evidenza tre idee destinate e stravolgere lo status quo e una è già stata realizzata.

Prima la “spontanea” protesta dei genitori di etnia russa contro l’obbligo, esistente in alcune regioni con una popolazione “titolare” differente da quella russa, di dedicare alcune ore di studio alla lingua locale, tipo il tartaro nel Tatarstan. Poi la proposta di cambiare i nomi delle regioni “etniche” con nomi geografici al posto di quelli che ricordano la presenza di etnie locali non russe. Insomma, la Cecenia diventerebbe “Grozny”, l’Inguscezia sarebbe “Magas” e via dicendo.

La terza, e più dirompente di tutte, propone addirittura la fusione delle regioni “etniche” con le confinanti regioni a maggioranza russa, in modo che in tutto il paese resterebbe una sola regione con i russi in minoranza, quella del “Caucaso russo” che unirebbe le repubbliche autonome caucasiche ora esistenti.
In tal modo nessun territorio potrebbe staccarsi vantando una maggioranza etnica differente da quella dominante, a eccezione del Caucaso, che molti considerano già perduto.