Ecco perché Monti proseguirà ad avere un ruolo determinante nel Paese
19 Novembre 2012
Nelle stesse ore in cui veniva indicata, a seguito di un accordo tra le più alte autorità dello Stato, la data del sempre più probabile election day (e di conseguenza anche la data dello scioglimento delle Camere) nel corso di una settimana tragicamente costellata da manifestazioni violente e da contestazioni di diversi ministri (compreso il presidente del Consiglio), per il governo Monti ricorreva un anno dalla sua costituzione.
L’esecutivo dei tecnici, nato sotto l’auspicio di grandi speranze, in un’apoteosi di incoraggiamenti lusinghieri, è diventato, strada facendo, un compagno di viaggio scomodo per il Pd che non vuole perdere l’occasione per vincere le elezioni e per lo stesso Pdl che non è stato in grado di intestarsi l’appoggio a un governo che pure ha portato avanti con coerenza e meticolosità (pur con qualche concessione all’imperante demagogia come con la legge anticorruzione, criticata persino dalla Cassazione e con il pasticcio di una ristrutturazione delle province, disegnata sulla carta geografica con criteri casuali e cervellotici) la linea di condotta del governo Berlusconi.
Ma anche i sostenitori della continuità dell’esperienza Monti nella prossima legislatura si stanno rivelando deboli, divisi e soprattutto orientati a un’alleanza con la sinistra, quella stessa coalizione, cioè, che dichiara di voler correggere i principali provvedimenti dell’attuale governo e, soprattutto, di pensare a una diversa politica europea, senza tener conto del fatto che persino François Hollande, in Francia, si è dovuto rassegnare ad una politica del rigore e della stabilità monetaria. Probabilmente non sarebbe stato possibile realizzare un tale disegno anche a causa della insipienza dei suoi necessari protagonisti, a partire dalle incertezze del Pdl, ma la sola opportunità in campo per contrastare una vittoria della trojka Bersani-Vendola-Nencini (in competizione con il M5S) sarebbe stata quella di raccogliere intorno a Mario Monti il rassemblement dei moderati e non solo un movimento – come quello visto a Roma sabato – che è pronto a governare con la sinistra in un ruolo di subalternità.
Ed è altrettanto illusorio pensare di imporre – tramite una legge elettorale rivolta ad impedire di proposito la governabilità – un ‘’richiamo alle armi’’ dell’attuale premier. Se ci fosse chiesto di scommettere oggi quel centesimo che Alfano e Bersani, con ben poco fair play, si sono rifiutati di puntare sul Monti-bis, lo faremmo molto volentieri con l’ottimismo della volontà e con la determinazione della speranza. Ma sarebbe molto difficile vincere la scommessa.
Ovviamente con grave nocumento per questo povero Paese. Eppure, tanto i nemici di Monti quanto i suoi sedicenti amici faranno fatica a liberarsi di lui, perché il professore non è solo un tecnico prestato alla politica, ma un commissario incaricato di governare l’Italia da coloro che stanno <là dove si puote ciò che si vuole>. Non si tratta ovviamente di scomodare l’Onnipotente; basta accontentarsi dei partner europei e internazionali e di quelle <intelligenze strategiche> che orientano i mercati. Mi fanno morir dal ridere quanti invocano la sovranità nazionale, un concetto desueto in un mondo globalizzato ed integrato economicamente, dove uno starnuto un po’ più rumoroso del Presidente Obama produce, nel giro di qualche minuto, uno scossone nella City che di lì rimbalza in ogni parte del pianeta.
Ma è mai esistita davvero la sovranità nazionale del nostro come di altri Paesi? Volendo limitarsi soltanto al secondo dopo guerra, gli italiani erano forse padroni di farsi governare dal Pci, nonostante che il voto fosse libero e segreto e che i comunisti partecipassero da protagonisti alla vicenda politica ed amministrativa? E il Paesi dell’Est avevano forse la possibilità di scegliere quale ordinamento politico, economico e sociale fosse di loro gradimento?
Oggi, è vero, non va più a spasso l’Armato Rossa e non si organizzano più congiure di colonnelli o golpe militari. Ma un Paese che crea problemi alla economia degli altri appartenenti alla comunità internazionale, può essere messo in ginocchio non da una congiura degli <gnomi di Zurigo> (la definizione è di Harold Wilson, leader laburista dei magici anni ’60) ma dalla normale attività dei centri finanziari che orientano i flussi dei capitali mondiali, dalle multinazionali che vanno ad investire altrove, dai Paesi fornitori di materie prime, soprattutto energetiche, che non si fidano più della solvibilità di taluni partner acquirenti. Quei teppisti che aggrediscono le forze dell’ordine dimostrano proprio di non aver capito nulla. I rivoluzionari del passato se la prendevano sempre con classi dominanti detentrici di una ricchezza reale destinata a restare e a durare nel tempo anche se cambiavano i rapporti proprietari (la terra, gli opifici: i mezzi di produzione e di scambio, come si diceva un tempo).
Quelli di oggi contestano le banche, dimenticando che le ingenti risorse che esse custodiscono nei loro Palazzi d’inverno possono trasformarsi in carta straccia nel giro di poche ore, se dovessero venir meno i presupposti elementari di un’economia di mercato. Ecco perché Monti avrà sempre un ruolo rilevante nel determinare la politica del nostro Paese. A Palazzo Chigi o al Quirinale. O forse soltanto al ministero dell’Economia, dove, prima di lui stettero altri <garanti>: Ciampi, Padoa Schioppa e Tremonti.
E se non sarà Monti, sarà Mario Draghi o qualche altro civil servant che non senta il bisogno di governare con il consenso dell’elettorato, il quale comunque è perfettamente in grado di capire come va il mondo. Prendiamo esempio dalla Grecia: chiamati alle urne i greci diedero la vittoria alla sinistra radicale, quella che pretendeva (come tanti del Pd) di ‘’rinegoziare’’ le regole della Ue. Messi alle strette, nel giro di pochi mesi hanno completamente cambiato orientamento. Hanno capito che fuori dall’Europa e dall’euro c’è soltanto un declino inesorabile.