Ecco perché non siamo ancora usciti dall”era Berlusconi’

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Ecco perché non siamo ancora usciti dall”era Berlusconi’

12 Novembre 2012

La sveglia siciliana sembra aver sciolto la lingua a Bersani chiusa quella di Casini, , frastornato l’intero PDL (non Berlusconi). Grillo assiste, tra il divertito e l’attonito, al temporale scatenato dal 52% dei siciliani astenuti e si interroga su come istituzionalizzare il suo drappello di deputati nell’ARS. Nessuno però sembra ancora accettare che la crisi rimane sociale prima che politica per la profondità del solco tra cittadinanza e classe politica. Mentre la disillusione dei cittadini va trasformandosi in rabbia.

Rabbia che gorgoglia nella case nelle campagne e nelle fabbriche dell’Italia che lavora. E in quelle della maggioranza silenziosa urbana che ha consentito il cinquantennio di egemonia democristiana (e tangentopoli); che ha rilasciato un assegno in bianco a Berlusconi non rinunciando al diritto di palesare il suo disappunto di fronte a cadute di stile ed eccessi.

L’Uomo Qualunque, Massimo de Carolis, forse lo stesso primo Craxi, di certo il partito Radicale di Cicciolina, poi Mario Segni, la Lega sono, essi stessi, tratti distintivi di una protesta mugugnata contro i  tentativi di rilanciare i metodi moro-dorotei dopo gli anni di piombo.

Questa modalità di dissenso è stata successivamente sostituita prima da forme esplicite di dissenso e oggi dal ritiro. Con l’astensione, il Popolo adotta il “nascondimento” che fu del Dio cristiano nel medioevo e abbandona la classe politica in balia di se stessa.

In questa cornice si muove una politica nuda di riferimenti valoriali, incapace di autocritica etica, confusa nei propositi programmatici. Tutte condizioni che ne aumentano la distanza dal paese reale il quale di fronte all’impoverimento economico ha comunque mostrato spirito di sacrificio, riscoperto la solidarietà tra estranei, coltivato la voglia di coerenza.

Grillo ha annusato, inconsapevolmente, questa rivendicazione di scelta etica da parte degli Italiani e cerca di transitarne il disappunto in comportamenti politici reattivi. Non contestativi: perché M5S scommette sul desiderio degli Italiani di assumere degli addetti alle pulizie. Ma allo stesso tempo la crisi dimostra che non siamo ancora nell’era post-Berlusconi. La stella dell’ex Presidente del Consiglio andrà pure tramontando (se non altro per ragioni anagrafiche) ma è sempre e solo lui a far fibrillare il sistema. Ed è facile capire perché.

La ricordata maggioranza silenziosa che si astiene dal voto e parte di quella che vota o ammicca a Grillo sono suoi orfani. Che rimangono silenti perché non gli hanno ancora perdonato il modo con cui ha gestito il caso Ruby, non Ruby; la debolezza con chi all’interno del PDL ha impedito le riforme, non  la sua vita privata; i proclami sull’inesistenza della crisi non le feste di Arcore, la sua mancanza di fiducia nella capacità di sacrificio degli italiani, non il suo conflitto di interessi. E non gli perdonano di non aver scovato un Matteo Renzi nel centrodestra; di non averlo affiliato, adottato e lanciato.

Angelino Alfano è un ottimo segretario del PDL ma non ha il carisma che oggi pretende la leadership di un paese. Ci contro i discorsi di Renzi bucano, imponendo un nuovo spartiacque con la sinistra italiana. Renzi non parla al popolo della sinistra tantomeno ai militanti del PD ma a tutti. La rivendicazione del suo essere cattolico in un mondo dove i cattolici sono figli di un dio minore; l’invito al decisionismo, il rifiuto di demonizzare la diversità politica e la comunicazione (in un paese ancora ossessionato dalle tv commerciali), il suo attacco a Facebook per l’incapacità di creare legami emotivi; l’attacco all’egualitarisimo con la difesa contemporanea delle pari opportunità collettive e del talento individuale; l’invito a mettere a reddito il patrimonio culturale e immobiliare piuttosto che cederlo; l’occhiolino alla Finanza ed alle Imprese a patto del riconoscimento del primato della politica sono tutti temi che Renzi affronta con coraggio e sarcasmo. Rischiando, ma molto meno di quando attacca gli effetti perversi di nomine inconcepibili negli enti pubblici e la polverizzazione dei finanziamenti europei perchè distribuiti secondo criteri politici.

Però Renzi pagherà il prezzo dell’isolamento nel PD con la sconfitta alle primarie mentre Alfano vincerà quelle del centrodestra nonostante il delfinato scricchioli e antagonisti come Galan e Tremonti. Come dire: forse i cittadini non perdoneranno l’ex Presidente del Consiglio ma certo lo rimpiangono. E mal sopportano il minuetto tra i vertici di un PDL che con lui perderebbe ma senza di lui -temono- scomparirà. Lasciandoli senza riferimenti organizzativi oltre che politici.

Raccontano di un Berlusconi tentato di stressare il PDL, che non considera più suo, per distillarne quelli -ai suoi occhi- non contaminati da saprofitismo. L’idea è una sua lista da presentare alle prossime competizioni elettorali. Ghost-Thinker quel Giuliano Ferrara che ha ripetutamente sacrificato ai colonnelli di Forza Italia prima e PDL poi, salvo rimpiangerlo ogni volta che gli eventi ne confermavano la lungimiranza. Nell’eventualità si porrebbe il problema di come conciliare l’iniziativa con il timore che il PDL si frantumi in almeno tre sigle. Condannate in ogni caso a collegarsi elettoralmente tra loro e con Lui stesso quale inevitabile punto di riferimento politico.

Il che suggerisce di approfondire l’utilità di una Lista del Presidente non accompagnata dal rinnovamento integrale della classe dirigente del PDL. Perché inutile nascondersi dietro un dito: Berlusconi sembra addebitare la crisi del PDL ai seguaci che non hanno saputo uccidere il padre, come si pretende in ogni buona famiglia da parte del figlio (naturale o adottato) che intende succedere al padre perché se ne sente capace. Sorge così legittimo il dubbio che con la Lista del Presidente, Berlusconi intenda solo allontanare i figli maggiori e dedicarsi ai minori per farne i suoi eredi politici.